DESI INDEX 2020

Italia terzo Paese Ue per il 5G, ma ultimo sulle competenze digitali

Nella classifica generale ci piazziamo al 25mo posto, molto indietro rispetto alle prime della classe. L’uso dei servizi Internet resta sotto la media ma l’emergenza Covid-19 ha spinto l’attenzione del Governo verso le politiche digitali

Pubblicato il 11 Giu 2020

DESI

L’Italia è il terzo Paese Ue sul fronte 5G, mentre arranca ancora nell’ambito dell’alta velocità sul fisso con una “modesta” 17ma posizione. Ma a penalizzarci maggiormente nella classifica generale, che vi vede 25mi su 28, sono le competenze digitali: siamo l’ultimo Paese in lizza e anche sul fronte della digitalizzazione delle imprese e dell’uso dei servizi pubblici digitali non siamo messi bene. È quanto emerge dall’edizione 2020 del Desi (QUI IL REPORT COMPLETO) l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società appena pubblicato dalla Commissione europea.

“Rispetto alla media UE, l’Italia registra livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi. Anche il numero di specialisti e laureati nel settore Ict è molto al di sotto della media UE -si legge sul report -. Queste carenze in termini di competenze digitali si riflettono nel modesto utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. Solo il 74% degli italiani usa abitualmente Internet. Sebbene il paese si collochi in una posizione relativamente alta nell’offerta di servizi pubblici digitali (e-government), il loro utilizzo rimane scarso. Analogamente, le imprese italiane presentano ritardi nell’utilizzo di tecnologie come il cloud e i big data, così come per quanto riguarda l’adozione del commercio elettronico”.

Riguardo allo scarso progresso dei servizi di connettività  – siamo al 17mo posto con un incremento di appena 4 punti percentuali nella connettività over 100 Mbps (dal 9% al 13%) – “l’entità dell’intervento pubblico messo in campo in questi anni ed affidato alla concessionaria Open Fiber avrebbe dovuto condurre a risultati ben diversi – sottolinea l’Ad di Infratel Marco Bellezza -.  Dall’inizio dell’anno abbiamo avviato un dialogo continuo con la concessionaria per superare le criticità nella realizzazione del piano Bul e contiamo di conseguire risultati più soddisfacenti nel prossimo Desi”. Bellezza aggiunge che “appaiono in via di risoluzione le questioni evidenziate dalla concessionaria circa il rilascio dei permessi e le semplificazioni nella realizzazione delle opere che Infratel Italia ha accolto favorevolmente per accelerare la realizzazione dell’infrastruttura a banda ultralarga. Ora la concessionaria ci espone criticità nel reperimento di personale per le aziende di rete che realizzano le opere. Nella fase di ripartenza riteniamo che tutti debbano fare la propria parte senza risparmiarsi e invitiamo la concessionaria a porre in essere tutte le misure necessarie per realizzare gli obiettivi a piano per il 2020. Da lunedì prossimo sarà attivo il nuovo sito Bul che in maniera semplice darà contezza dello stato del progetto Bul in modo da consentire ai cittadini l’esercizio di un controllo diffuso sull’attività di Infratel Italia e del concessionario Open Fiber”.

Il rapporto, appena pubblicato, indica che peggio di noi fanno solo Romania, Grecia e Bulgaria, ma anche che noi siamo i più indietro in assoluto per quanto riguarda il capitale umano, dove ci piazziamo all’ultimo posto registrando livelli di competenze digitali di base e avanzate fra i più bassi in Ue. “Un disastro annunciato – commenta Cesare Avenia presidente di Confindustria Digitale – i nostri allarmi sono rimasti inascoltati, nonostante esattamente un anno fa avessimo presentato un Piano straordinario per accelerare la trasformazione digitale del Paese attraverso misure strutturali atte a colmare il ritardo tecnologico e di competenze”. “L’Italia vive una contraddizione insostenibile – conclude Avenia – fra l’essere nei primi dieci paesi industrializzati al mondo e fra gli ultimi nel ricorso all’innovazione. Una contraddizione che si trascina da anni e che si è tradotta in un vero e proprio blocco delle capacità non solo di crescita, ma anche di progettare un paese nuovo, più semplice, performante ed efficiente, in grado di attrarre investimenti e aprire nuove opportunità ai giovani”.

Dunque forse andrà meglio nell’edizione 2021 ma è ancora presto per dirlo: “L’Italia ha adottato numerose iniziative in ambito digitale per far fronte alla crisi Covid-19. Il governo ha adottato un pacchetto di misure volte a rispondere all’aumento del consumo di servizi di comunicazione elettronica e di traffico di rete. Agli ospedali pubblici sono state fornite connessioni Wi-Fi gratuite.  Il governo ha anche rivolto la propria attenzione alle scuole, promuovendo la diffusione di strumenti e piattaforme digitali, la fornitura di dispositivi agli studenti meno abbienti e l’accesso a connessioni ultraveloci e ai servizi connessi”.

L’Italia al top per il 5G

L’Italia si colloca al terzo posto per quanto riguarda l’indicatore sulla preparazione al 5G. Nel paese il 94% dello spettro armonizzato a livello UE per la banda larga senza fili è stato assegnato. Le sperimentazioni del 5G, iniziate nel 2017, sono ancora in corso, sia nell’ambito del programma lanciato dal Ministero dello sviluppo economico “5 città per il 5G”, sia in base agli accordi volontari tra operatori e comuni. Nel 2019 alcuni operatori italiani hanno avviato la commercializzazione delle offerte 5G nelle principali città. L’Italia ha completato l’asta delle tre “bande pioniere 5G” nel 2018. Con riferimento a queste bande, laddove le bande 3,6 GHz e 26 GHz sono già assegnate e disponibili, le autorità italiane stanno ancora adottando le misure necessarie per rendere disponibili i 700 MHz entro il 2022. Il ritardo rispetto alla scadenza del 30 giugno 2020, fissata dalla decisione (UE) 2017/899 relativa alla banda UHF (Ultra high frequency), è dovuto principalmente alla necessità e alla complessità di garantire la migrazione tecnica di ampie fasce di popolazione verso standard di trasmissione avanzati. I servizi commerciali 5G sono stati lanciati in alcune delle bande assegnate e disponibili. Lo spettro 26 GHz è attualmente utilizzato principalmente per i test FWA (Fixed Wireless Access).

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Banda ultralarga fissa: sull’Nga appena un punto percentuale di crescita

Con un punteggio complessivo in termini di connettività pari a 50,0, l’Italia si posiziona al 17º posto tra gli Stati membri dell’UE. Rispetto al 2018, la diffusione (“take-up”) complessiva della banda larga fissa è aumentata di un punto percentuale. La diffusione della banda larga fissa ad almeno 100 Mbps è passata dal 9% nel 2018 al 13% nel 2019. La diffusione della banda larga mobile (89 abbonamenti ogni 100 persone) è rimasta stabile rispetto al 2018. Tutti i dati sopra riportati sulla diffusione della banda larga sono inferiori alla corrispondente media UE. La copertura delle reti d’accesso di prossima generazione (NGA) ha continuato ad aumentare, ma solo di un punto percentuale, raggiungendo l’89% delle famiglie e superando così di tre punti percentuali la media UE (86%). Per quanto riguarda la copertura VHCN, l’Italia ha accelerato il ritmo di diffusione della fibra ma resta ancora indietro (con solo il 30%) rispetto alla media UE del 44% (che tuttavia comprende anche il passaggio delle reti via cavo al DOCSIS 3.1)(1). In termini di preparazione al 5G(2) l’Italia si colloca ben al di sopra della media UE. Anche per quanto riguarda i prezzi, l’Italia si posiziona al di sopra della media UE per tutti i panieri dei prezzi considerati (fisso, mobile, convergente). Il punteggio dell’Italia nell’indice dei prezzi della banda larga è pari a 73 rispetto a una media UE di 64.

Competenze digitali: perse due posizioni, ora siamo ultimi

Nel 2019 l’Italia ha perso due posizioni e si colloca ora all’ultimo posto nell’UE per quanto riguarda la dimensione del capitale umano. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’UE). Sebbene sia aumentata raggiungendo il 2,8% dell’occupazione totale, la percentuale di specialisti TIC in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%). La quota italiana di laureati nel settore TIC è rimasta stabile rispetto alla relazione DESI 2019 (sulla base dei dati del 2016). Solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline TIC (il dato più basso nell’UE), mentre gli specialisti TIC di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici (cifra leggermente inferiore alla media UE dell’1,4%). L’Italia sta avviando iniziative volte a rafforzare le competenze digitali e affrontare il tema dell’inclusione digitale. Intensificare e concentrare gli sforzi contribuirebbe a ridurre il divario digitale tra la popolazione e a garantire che la maggioranza disponga almeno di competenze digitali di base. Un altro passo importante in questo ambito sarebbe un approccio globale al miglioramento delle competenze e alla riqualificazione della forza lavoro, che comprenda un rafforzamento delle competenze digitali avanzate

Uso dei servizi Internet, curva piatta

Nel complesso, l’uso dei servizi Internet in Italia rimane ben al di sotto della media UE. La posizione in classifica del paese è rimasta invariata rispetto alla relazione precedente (26º posto su 28 Stati membri). Lo scarso uso dei servizi Internet riflette il basso livello di competenze digitali. Il 17% delle persone che vivono in Italia non ha mai utilizzato Internet; tale cifra è pari a quasi il doppio della media UE e colloca il Paese al 23º posto nell’UE. Le attività online più diffuse sono l’ascolto di musica, la visione di video o giochi, seguite dalle videochiamate, dalla lettura di notizie e dall’uso dei social network. Seguire un corso online e vendere online sono le attività meno diffuse.

Nessun progresso sull’ntegrazione delle tecnologie digitali

L’Italia si colloca al 22º posto nell’UE per quanto riguarda l’integrazione delle tecnologie digitali. Non vi è stato quasi nessun progresso per gli indicatori di cui sopra, se non con riferimento all’uso dei social media. La percentuale di imprese che utilizza i social media è salita al 22% (vicina alla media UE del 25%). L’uso dei servizi cloud è rimasto stabile (utilizzati dal 15% delle imprese italiane) e appena al di sotto della media UE (18%). Nonostante una diminuzione tra il 2017 e il 2019, il ricorso alla condivisione elettronica delle informazioni rimane più elevato tra le imprese italiane rispetto alla media UE (35% delle imprese italiane rispetto alla media UE del 34%). Il divario tra l’Italia e l’UE si sta allargando per quanto riguarda il commercio elettronico. Solo il 10% delle PMI italiane vende online (cifra ben al di sotto della media UE del 18%), il 6% effettua vendite transfrontaliere in altri paesi dell’UE (8% nell’UE) e trae in media l’8% del proprio fatturato dalle vendite online (11% nell’UE).

Servizi pubblici digitali, scarsa interazione fra PA e cittadini

Per quanto riguarda i servizi pubblici digitali, l’Italia è al 19º posto nell’UE, la stessa posizione occupata nel 2019. Tale posizione colloca il paese al di sotto della media europea, nonostante le buone prestazioni nell’ambito dell’offerta di servizi digitali e di dati aperti (Open Data). L’Italia supera l’UE per quanto riguarda il livello di completezza dei servizi online, i servizi pubblici digitali per le imprese e i dati aperti. La bassa posizione occupata dal paese nella classifica generale è dovuta allo scarso livello di interazione online tra le autorità pubbliche e il pubblico in generale. Solo il 32% degli utenti italiani online usufruisce attivamente dei servizi di e-government (rispetto alla media UE del 67%). Questo dato è addirittura diminuito tra il 2018 e il 2019.

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