IL FLOP

ItsArt chiude i battenti: fallisce la “Netflix” della cultura italiana

In liquidazione la piattaforma voluta dall’ex ministro Franceschini. I sindacati chiedono di aprire un confronto sul futuro dei lavoratori

Pubblicato il 09 Gen 2023

itsart

ItsArt chiude i battenti. Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha deciso di non rifinanziare e di mettere in liquidazione quella che il suo predecessore e promotore, Dario Franceschini, aveva chiamato la “Netflix della cultura italiana”.

Attiva dal 31 maggio 2021, ItsArt offriva contenuti esclusivi disponibili in Italia e all’estero per “celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo”, si leggeva sul sito.

Il progetto ItsArt

Nel 2020 l’allora Mibact, insieme a Cdp, aveva dato il via alla costituzione della nuova società partecipata al 51% da Cdp e al 49% da ChiliSpa. Il progetto era aperto alla collaborazione della Rai e di altre istituzioni e soggetti del settore culturale, pubblici o privati, ma non è decollato.

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La direzione ha visto avvicendarsi tre diversi amministratori delegati in un solo anno: prima Giano Biagini, poi Guido Casali e ultimo Andrea Castellari.

Inoltre i ricavi sono stati bassissimi: 246mila euro, tra 141mila utenti registrati e voucher, a fronte di 5,970 milioni di spese per servizi e godimento beni di terzi, hanno portato al Mol negativo per 6,622 milioni e alla perdita di 7,447 milioni nel 2021 con un patrimonio netto di 16,650 milioni.

Le reazioni

Per senatore leghista Roberto Marti, presidente della settima Commissione permanente (Cultura, Patrimonio culturale, Istruzione pubblica), chiudere ItsArt era un dovere. “Pochi utenti, molte spese, contenuti neppure esclusivi: chiudere Itsart, la tv di casa Franceschini, era un nostro dovere – dice – La cultura deve essere davvero alla portata di tutti e non appannaggio di una elite. Un concetto che viene spesso inneggiato dal Pd, ma, stando ai fatti, solo a parole”.

“Alla Tv voluta da Franceschini si sono registrati solo 141 mila utenti in totale, che hanno portato appena 246 mila euro di incassi. Cifre importanti ma comunque inconsistenti, se pensiamo ai costi sostenuti per lanciare Itsart. Solo nel 2021 sono stati spesi 7,5 milioni di euro per mantenere la piattaforma. Di questi, 900 mila euro sono andati al personale. In totale, l’investimento iniziale è stato di 10 milioni di euro da parte dello Stato e a danno dei cittadini, e di 9 milioni da parte di Chili. Come Lega, siamo stati i primi e i soli nella scorsa legislatura ad intervenire più volte sulla questione, sollevando le criticità con interrogazioni e question time. Bene ha fatto il ministro Sangiuliano, ben venga la chiusura di Itsart. Il settore cultura ha ben altre priorità. Penso ad esempio alle novità introdotte con la manovra, a partire dai due strumenti di Carta Cultura Giovani e Carta del merito per avvicinare i giovani alla cultura, e dal Fondo nazionale per lo spettacolo dal vivo, con fondi e criteri di accesso più rasparenti per arginare il fenomeno del precariato, tanto diffuso tra i lavoratori del settore”.

“Invece di finanziare contenitori mangiasoldi per pochi, c’e’ necessità di provvedimenti che diano continuità e sostegno costante al settore creativo-culturale, un settore che raggiunge purtroppo solo il 2,6% del pil nazionale (pari a circa 40 miliardi di euro) e che invece potrebbe diventare, con interventi strutturali, un vero traino del turismo e dell’economia dei territori e del nostro Paese” conclude Marti.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Presidente della commissione Cultura della Camera, deputato Fdi Federico Mollicone. “Bene ha fatto il governo Meloni a mettere in liquidazione ItsArt Il progetto fallimentare voluto da Franceschini è stato da sempre denunciato da Fdi con numerosi atti sottolineando – come giá fece il cda Rai con Rossi e Salini che negó l’inclusione della Rai – come rappresentasse un progetto di business superato, rispetto il potenziamento di RaiPlay sul modello inglese della BBC o pubblico-privato francese, aggregando le produzioni nazionali su un’unica piattaforma in grado di competere con gli over-the-top. Eravamo l’unica voce a denunciare l’uso di denaro pubblico per ItsArt l’ennesimo esempio del fallimento del centrosinistra”.

L’allarme dei sindacati

La Slc Cgil chiede l’apertura di un confronto dopo la notizia della liquidazione di Its Art, la piattaforma che ambiva a diventare la “Netflix della cultura” e che dava lavoro a 15-16 persone.

“Con la notizia della messa in liquidazione della piattaforma che – afferma Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil – sarebbe dovuta diventare la ‘Netflix della cultura italiana’ si chiude una vicenda sulla quale già a suo tempo avemmo modo di esprimere tutti i nostri dubbi. In particolare sulla estemporaneita’ di un progetto che, pur partendo da una esigenza condivisa, la creazione di un luogo che potesse veicolare i tanti patrimoni della cultura italiana, appariva da subito più come una operazione avulsa da qualsiasi progettualità complessiva. Del resto parlare di strumenti per veicolare e promuovere la cultura del Paese senza aprire un ragionamento sul ruolo di un’azienda quale la Rai tradiva già la scarsa lungimiranza del progetto, i cui risultati aziendali tutt’altro che lusinghieri sono sotto gli occhi di tutti. Ora apprendiamo della decisione del ministro Sangiuliano. È l’inizio di un ragionamento diverso o siamo semplicemente davanti a un ennesimo episodio di ‘spoil system’? Chiudiamo l’esperienza di ItsArt per aprire un confronto serio sui luoghi e gli strumenti di produzione e promozione della cultura del Paese, a partire dal futuro della Rai, o lo facciamo semplicemente perché figlia “del governo precedente” e in forza degli scarsi risultati oggettivi?”

Ora, prosegue il sindacalista, “la cosa più urgente è capire cosa sarà delle lavoratrici e dei lavoratori interessati. Giova ricordare che stiamo parlando di una società controllata al 51% da Cassa Depositi e Prestiti, ci aspettiamo quindi che ci sia subito la disponibilità ad un confronto per una piena ricollocazione di tutte le professionalità coinvolte. Chiediamo pertanto un immediato confronto col ministero della Cultura a partire dai risvolti occupazionali di questa decisione e che apra finalmente un ragionamento complessivo sugli strumenti di produzione e promozione della cultura a partire dal ruolo della Rai nella rivoluzione digitale del Paese”.

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