IL DOSSIER

Iva e-book, Italia in pressing sulla Ue

Il nostro Paese in pole position in asse con Francia e Germania per la riduzione dell’imposta: ma bisognerà fare la conta dei Paesi europei disposti a scendere in campo. La Commissione svelerà la sua proposta nel 2016

Pubblicato il 11 Giu 2015

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L’Italia assapora una piccola ma significativa vittoria politica. Tra le pieghe della Strategia per il Mercato unico digitale la Commissione Ue assume l’impegno a intervenire sul nodo dell’Iva sugli e-book. Un dossier sul quale il Belpaese, in asse con la Francia, si è molto speso negli ultimi mesi. Con l’obiettivo condiviso anche da Germania e Polonia di mettere rapidamente fine all’insensata discriminazione fiscale patita dai libri elettronici, che rispetto agli omologhi fisici non possono beneficiare di un’aliquota ridotta per effetto di una normativa comunitaria che l’anno prossimo spegnerà ben dieci candeline.

A confermare la sponda dell’esecutivo europeo nei confronti delle richieste di Roma e Parigi è sceso in campo perfino il suo comandante in capo in persona. Pochi giorni dopo la presentazione della Strategia, parlando ad una conferenza organizzata dalla federazione degli editori tedeschi, Jean-Claude Juncker ha tenuto a precisare che “la Commissione Ue proporrà nel 2016 la riduzione dell’Iva sugli e-book e sui giornali online”. Una prospettiva confermata anche da Andrus Ansip durante un suo intervento al Parlamento europeo.

Insomma, si parte sotto i migliori auspici. Ma il percorso, occorre ricordarlo, presenta ostacoli da non prendere sottogamba. Per prima cosa, non è detto che tutti i paesi membri siano pronti a sposare l’iniziativa. Tant’è vero che durante il Semestre di presidenza italiana il ministro della Cultura Dario Franceschini ha tentato invano di farla discutere e adottare dal Consiglio Ecofin.

E poi c’è la scontata incognita dei tempi. L’abbattimento dell’imposta sul valore aggiunto applicata agli e-book, stando a quanto si evince dal testo del pacchetto sul Mercato unico, andrà ad inscriversi in una più ampia riforma della legislazione europea sull’Iva. Si tratta di un processo di revisione farraginoso e delicato, che secondo gli osservatori potrebbe impegnare anche tutto l’arco della legislatura.

“Il testo avrebbe potuto essere più coraggioso perché il riferimento alla riforma dell’Iva rischia di implicare tempi molto lunghi, ma è importante che il tema sia sul tappeto”, è l’opinione del presidente dell’Associazione Italiana Editori, Marco Polillo. Il che non depone bene per il governo Renzi. In assenza di un’azione spedita da parte di Bruxelles l’Italia corre incontro ad una procedura di infrazione in virtù del taglio dell’aliquota per i libri elettronici, dal 22 al 4%, varato in dicembre in aperta violazione delle norme comunitarie.

Da ricordare che sugli unici due paesi che hanno già adottato provvedimenti analoghi, Francia e Lussemburgo, pende ormai una sentenza di censura della Corte di Giustizia europea. Ma, si diceva, la Strategia prefigura un’azione di più ampio respiro sul tema della fiscalità dell’economia digitale.

Di qui la promessa d’introdurre una soglia di Iva comune per Pmi e startup che vendono servizi o prodotti digitali. Uno sforzo di armonizzazione inteso a controbilanciare gli effetti delle norme in vigore dal 1° gennaio che hanno spostato l’applicazione dell’Iva digitale dal paese in cui ha sede il venditore a quello dell’acquirente. Se le regole sono state concepite per contenere gli abusi dei grandi Ott, d’altro canto hanno fatto insorgere le aziende digitali più piccole che denunciano il rischio di trovarsi alle prese con un fardello burocratico insostenibile (dovendo, sulla carta, confrontarsi con 28 regimi fiscali diversi).

E proprio i big della Silicon Valley sono i principali target di un altro provvedimento annunciato dalla Strategia e da tempo invocato dai paesi membri: si tratta della presentazione di un piano d’azione sulla corporate tax “grazie alla quale i profitti dovrebbero essere tassati dove il valore è effettivamente generato”.

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