In una lettera aperta inviata al Presidente della Federal Communications Commission Tom Wheeler e ai leader del Congresso degli Stati Uniti, la Telecommunications Industry Association (TIA) ha assunto una posizione netta ed inequivocabilmente contraria sulla net neutrality. La missiva è sottoscritta dal fior fiore delle società più note del mondo IT – da Cisco ad Alcatel-Lucent, da Qualcomm a Intel, da Panasonic a IBM. In essa il presidente della TIA Grant Seiffert chiede in modo esplicito alla FCC di non riclassificare la banda larga quale servizio di telecomunicazione come vorrebbero i sostenitori della net neutrality, fra cui il presidente USA Barack Obama. Come si ricorderà, il mese scorso il Presidente Obama si era apertamente pronunciato per ‘un’Internet aperta e libera’ – una condizione che, secondo il presidente USA, può essere garantita soltanto equiparando la banda larga ad un servizio di pubblica utilità, assoggettandolo alla disciplina prevista dal Title II del Communications Act.
Paradossalmente ma non troppo, anche la TIA fa riferimento all’improrogabile necessità di mantenere la Rete ‘libera ed aperta’. Solo che ritiene che tale obiettivo possa raggiungersi solo se si lascia che sia il mercato a dettare il successo di questa o quella scelta, sia tecnologica che di prodotto o di servizio. In particolare, la TIA si dichiara apertamente in favore della ‘paid prioritization’ (la possibilità di poter pagare per avere ‘corsie veloci’) – uno dei punti più invisi ai sostenitori della net neutrality e esplicitamente menzionato da Obama come una delle cose da evitare per la Rete del futuro.
Secondo i membri della TIA, la probabile conseguenza della riclassificazione della banda larga sotto il Title II sarebbe quella di una forte diminuzione degli investimenti infrastrutturali da parte delle varie società impegnate a espandere la Rete: “Non si fa un investimento se non si ha la certezza di poterlo recuperare”, si dice nella missiva a Wheeler. La tesi proposta è chiaramente quella a suo tempo ventilata da AT&T (peraltro non un membro della TIA) dopo la presa di posizione di Obama. Alle parole del presidente Usa il Ceo di AT&T Randall Stevenson aveva infatti replicato dicendo che l’incertezza creata dal dibattito sulla net neutrality avrebbe portato l’azienda a rivedere gli investimenti pianificati per la posa di fibra ottica.
A supporto della sua posizione, la TIA cita uno studio secondo cui il rallentamento negli investimenti derivante dalla riclassificazione potrebbe essere compreso fra i 28 e i 45 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni (vale a dire dal 17 al 32 percento sul totale previsto).
L’affermazione però sembrare in netto contrasto con le dichiarazioni recentemente fatte agli analisti di Wall Street da Francis Shammo, Chief Financial Officer di Verizon – vale a dire una società non propriamente sostenitrice della net-neutrality. Va ricordato che proprio Verizon è all’origine del dibattito apertosi sull’ipotesi di riclassificazione della banda larga in virtù della causa intentata – e vinta – contro la FCC che aveva implementato principi, peraltro assai blandi, di neutralità della Rete. Ebbene, proprio dai vertici di questa azienda viene la dichiarazione che la querelle sulla net neutrality non influenza il modo in cui gli investimenti vengono decisi. Shammo, pur ribadendo che la FCC non ‘ha bisogno di procedere alla riclassificazione sotto il Title II per regolamentare la Rete’, ha infatti affermato che “noi continueremo a investire nei nostri network e nelle nostre piattaforme, laddove riteniamo sia necessario. E niente potrà influenzare queste decisioni”. D’altronde, ha concluso il CFO Verizon, “siamo nati da una società che operava in un ambiente fortemente regolamentato, e sappiamo come ci si comporta in questi casi”.