IL REPORT

L’Italia delle smart city è in fase di test, manca una “vision”

Metà dei Comuni è a lavoro ma il 63% dei progetti è sperimentale. Difficoltà ad estendere le iniziative all’intero territorio e integrarle in una strategia di lungo termine. Pesa la carenza di competenze e la mancanza di una chiara governance. L’analisi Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano

Pubblicato il 15 Nov 2017

Federica Meta

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La città intelligente in Italia è ancora in fase di test. Il 48% dei comuni italiani ha già avviato almeno un progetto Smart City negli ultimi tre anni, una quota rilevante ma la maggior parte delle iniziative – il 63% del totale – risulta ancora in fase sperimentale. La fotografia è scattata dalla ricerca sulla Smart City dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al convegno “Smart City in cerca d’autore: quali strategie per (ri)partire?”

Per il 2018 tre comuni su quattro hanno in programma nuovi progetti per rendere le città “intelligenti” ma resta la difficoltà ad estendere le sperimentazioni all’intero territorio cittadino e integrarle in una strategia di lungo termine. Negli ultimi tre anni le iniziative di Smart City si sono concentrate soprattutto su illuminazione intelligente (nel 52% dei comuni), servizi turistici (43%), raccolta rifiuti (41%), mobilità (gestione del traffico 40%, gestione parcheggi 33%) e sicurezza (39%). Per il prossimo anno si continueranno a orientare su questi ambiti, ad eccezione di un netto calo dell’attenzione verso i servizi turistici (indicati solo dal 12% dei comuni).

Ci sono segnali di miglioramento, ma l’Italia delle Smart City non ha ancora compiuto il salto di qualità in termini di maturità dei progetti. Le principali barriere sono costituite dalla mancanza di risorse economiche (individuata dal 71% dei comuni) e dalla mancanza di competenze (61%), più il problema trasversale della governance, a causa dell’alternarsi di amministrazioni diverse in pochi anni e della moltitudine di attori proprietari degli asset sul territorio. Per queste ragioni è difficile rendere i progetti economicamente sostenibili e la maggior parte si arena dopo la prima fase.

Ma una maggiore comprensione dei reali benefici economici può contribuire a superare il problema dei fondi: in una città come Milano sono sufficienti appena 1-2 anni per ripagare gli investimenti in un progetto di gestione dei parcheggi (sensori per monitorare la disponibilità di singoli posti auto e App per prenotare e pagare via smartphone); servono 2-4 anni per una raccolta dei rifiuti “smart” (cestini con sensori di riempimento per ottimizzare la raccolta); 3-5 anni per l’illuminazione intelligente (lampioni che adattano l’intensità alla luminosità dell’ambiente, sistemi di manutenzione predittiva e ottimale dei lampioni); 6-9 anni per soluzioni di Smart Building in edifici pubblici (gestione di riscaldamento, climatizzazione e illuminazione). A questi vantaggi si aggiungono i benefici in termini di migliori servizi, sostenibilità e vivibilità: ogni utente delle città può risparmiare l’equivalente di 3 giorni all’anno, attualmente persi per cercare un parcheggio libero. E i benefici per l’ambiente: nella sola area di Milano si possono ridurre le emissioni di anidride carbonica di oltre 60.000 tonnellate di CO2 all’anno grazie a soluzioni di smart building, illuminazione intelligente e gestione parcheggi.

“L’Italia delle Smart City presenta ancora un quadro a luci e ombre – afferma Angela Tumino, direttore dell’Osservatorio Internet of Things – Si denota la spinta innovativa di tanti comuni che hanno avviato sperimentazioni attraverso tecnologie digitali, ma anche la presenza di barriere che frenano progetti di ampio respiro, come mancanza di competenze, risorse economiche limitate, modelli di governance poco definiti. Anche se si intravedono alcune luci: emerge una strategia più chiara in diversi programmi di Smart City, prendono il via alcune interessanti collaborazioni tra pubblico e privato, seppur ancora troppo limitate, e si espande la presenza di nuove reti di comunicazione, in grado di abilitare lo sviluppo più rapido di nuovi servizi a costi ridotti”.

Alcune grandi città come Milano e Torino, ma anche realtà di medie dimensioni, come Cremona e Firenze, stanno portando avanti programmi di ampio respiro sulla scia delle grandi città europee come Barcellona, Amsterdam e Londra, mettendo a fattor comune sia progetti avviati dalla stessa municipalità che di attori terzi, come utility, società di trasporto, aziende che gestiscono la raccolta rifiuti. “La direzione è quella giusta, ma appare ancora troppo circoscritta per poter cogliere i benefici delle Smart City a livello di sistema Paese – continua Giulio Salvadori La Smart City in Italia risulta ancora ‘in cerca di autore’. Ma i possibili autori sono diversi: i comuni, lo Stato centrale e anche i privati, con cui è necessario sviluppare modelli virtuosi di collaborazione”.

La governance – Per affrontare adeguatamente progetti di Smart City, i comuni chiedono alla PA centrale soprattutto più fondi (nel 45% dei casi) e più formazione (38%), ma anche linee guida (36%), condivisione di best practice (34%), definizione di impegni e priorità (28%). Per far ripartire la Smart City oggi in Italia infatti è cruciale innanzitutto affrontare la questione della governance: “Per superare la situazione attuale è fondamentale una strategia nazionale condivisa – afferma Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things -: a livello centrale bisogna stabilire impegni e priorità per i comuni cercando di trovare il giusto compromesso tra l’attuale anarchia dei progetti, in cui ogni città si trova a dover affrontare i problemi autonomamente, e il rischio di un’eccessiva centralizzazione che non consentirebbe di tener conto delle peculiarità dei comuni e della loro autonomia decisionale”.

La collaborazione pubblico-privato – Per far ripartire la Smart City inoltre è necessarie potenziare la collaborazione con i soggetti privati, che oggi in Italia risulta ancora molto rara. La ricerca dell’Osservatorio Internet of Things rivela che nel 61% dei comuni italiani analizzati non è attiva alcuna iniziativa privata di Smart City, mentre nel 27% dei comuni queste sono attive ma non c’è collaborazione con la Pubblica Amministrazione. Solo nel 12% dei casi c’è una qualche forma di collaborazione tra l’attore pubblico e il privato.

Il ruolo dei Comuni – In questo senso, è importante il ruolo che assume il comune nell’avvio e nella gestione dei progetti. La maggior parte delle amministrazioni cittadine (il 66%) immagina di avere un ruolo da “promotore”, cioè il soggetto capofila che delinea le applicazioni prioritarie, la strategia per migliorare la qualità della vita dei cittadini e aumentare il livello di attrattività del territorio e che si impegna in prima persona a guidare i progetti. Quasi un comune su due in Italia (il 47%) vorrebbe un ruolo da “abilitatore”, che crea le condizioni per lo sviluppo di progetti Smart da parte di privati (es. mettendo a disposizioni infrastrutture, dati,…), sull’esempio di Barcellona dove la municipalità con la società privata Tunstall offre a più di 70.000 cittadini teleassistenza gratuita. Solo il 22% dei comuni italiani, infine, immagina per sé un ruolo da “utilizzatore”, che usufruisce dei dati condivisi da attori terzi per erogare a sua volta servizi, come il bike sharing senza stazioni fisse avviato a Milano e Firenze con le società Mobike e OFO.

La raccolta dei dati – Due comuni italiani su tre non utilizzano i dati raccolti all’interno dei progetti di smart City perdendo importanti opportunità per abilitare nuovi servizi per i cittadini. Nel dettaglio, solo il 34% delle amministrazioni utilizza i dati raccolti e, tra questi, appena il 12% li condivide con altri. Il 53% dei Comuni invece non utilizza internamente i dati raccolti, ma dichiara che saranno utilizzati in seguito. Nel 13% dei casi i dati non sono utilizzati internamente e difficilmente lo saranno in seguito.

Le nuove reti di comunicazione – Nel 2017 si segnalano alcune importante evoluzioni nelle reti di comunicazione per l’IoT che consentono di ridurre costi e complessità nello sviluppo di nuovi servizi digitali per i cittadini. Alle nuovi reti come SigFox e LoRa, si affianca la rapida diffusione sul territorio italiano della rete Narrow-Band IoT e le prime sperimentazioni di reti 5G che coinvolgono già molte città, come Bari, L’Aquila, Matera, Milano e Prato. “Grazie alle nuove reti disponibili e alla maggiore facilità di connessione di oggetti intelligenti, una municipalità ha la possibilità di giocare un nuovo ruolo nello sviluppo di applicazioni e servizi per i cittadini – spiega Antonio Capone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet of Things -. Gli impatti positivi delle nuove tecnologie di rete sul ritorno dell’investimento e sulla riduzione di complessità di avvio e di gestione dei progetti, aprono nuove opportunità di collaborazione con attori privati anche nel campo della condivisione di dati per servizi di pubblica utilità. L’abbassamento delle barriere d’ingresso consente maggiori opportunità di sperimentazione di nuove applicazioni anche con start-up”.

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