INNOVAZIONE

La realtà virtuale può dare una mano a Apple?

Caccia grossa a idee e manager esperti nella tecnologia per rafforzare la crescita in nuovi mercati. Ma gli osservatori sono critici: “Apple, non farlo!” è il grido della prestigiosa rivista Re/Code: dispositivi troppo invadenti, privacy a rischio e nessuna garanzia per nuovi grandi volumi

Pubblicato il 04 Feb 2016

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Le visite di manager Apple al centro di realtà virtuale dell’Università di Stanford, nel cuore della Silicon Valley, si stanno intensificando. E l’azienda californiana sta facendo shopping di competenze: due startup specializzate in tecnologie di realtà virtuale e aumentata, manager, expertise da settori diversi.

Dal 2013 l’azienda ha cominciato a costruire il suo team di realtà virtuale. E a visitare le università, per cercare la frontiera dell’innovazione (come fece Steve Jobs alla fine degli anni Settanta quando “scoprì” l’interfaccia grafica dei futuri Macintosh nei laboratori dello Xerox Park). “Apple dice Jeremy Bailenson, direttore del laboratorio Virtual Human Interaction dell’Università di Stanford – non si è più fatta vedere al mio laboratorio per 13 anni e poi negli ultimi tre mesi i suoi dirigenti sono venuti tre volte”.

Questa accelerazione lascia capire che l’azienda è sempre più interessata a questo settore, così come a quello delle auto che si guidano da sole (l’Apple Car è il “segreto di Pulcinella” più popolare della Silicon Valley, come dicono gli analisti) e in passato per gli orologi di lusso. E non è sola: da Sony fino a Microsoft passando per Facebook, tutti vogliono giocare la carta della realtà virtuale (visore ottico tridimensionale che trasporta in un mondo sintetico e immersivo creato dal computer come Oculus Rift acquistato da Facebook oppure gli strumenti analoghi allo studio di Sony e il Gear VR di Samsung) oppure di realtà aumentata (occhiali che sovraimpongono all’ambiente delle altre informazioni o addirittura immagini, come quelli gli occhiali di Google e le HoloLens a cui lavora Microsoft).

Solo che, per quanto riguarda Apple, arriva anche una doccia gelata. “Per favore, Apple, non farlo”. A dirlo è l’autorevole Re/Code, la testata indipendente della tecnologia più seguita di tutta la Silicon Valley, creata da Walt Mossberg (ex guru della tecnologia personale del Wall Street Journal) e la collega Kara Swisher, la collega con la quale aveva creato D: All Things Digital.

Secondo Re/Code, infatti, la realtà virtuale è innanzitutto legata a dispositivi appariscenti e intrusivi, troppo “geek” per le persone normali. Come ha fallito la prima volta Google con i suoi glass, percepiti come uno strumento capace di violare la privacy delle persone e sostanzialmente per nerd, appunto, così falliranno anche i nuovi dispositivi al di fuori ad esempio dal settore dei videogiochi e dell’intrattenimento, dove invece potrebbero avere un uso di nicchia ma con un buon mercato.

Anche Microsoft avrebbe in realtà molto ridimensionato le sue ambizioni su HoloLens, il prodotto simbolo del rilancio nell’era di Nadella. Proprio il Ceo di Microsoft ha chiarito che i video fantascientifici di persone con gli occhiali che interagiscono con un ambiente popolato di immagini e oggetti virtuali ma percepibili come reali, una sorta di “materializzazione virtuale” degli effetti speciali dei film di fantascienza, saranno in realtà molto meno potenti, almeno all’inizio. Per i critici di Microsoft, un altro esempio di un prodotto inesistente mostrato per sgambettare i prodotti delle concorrenza e poi presentare qualcosa di molto meno e meno efficace: una tecnica che Bill Gates ha padroneggiato per decenni anche se questi bluff tecnologici (annunci di quello che nella Silicon Valley viene chiamato “Vaporware”) sono diventati sempre meno efficaci.

Google gioca un’altra carta, mentre Facebook cerca di conquistare uno spazio di realtà virtuale da videogiocatore hardcore con il suo Oculus Rift, startup innovativa (Oculus VR) comprata a suon di miliardi direttamente dopo una fortunatissima campagna su Kickstarter e dopo decine di prototipi che propongono un ambiente di gioco immersivo ma anche disturbante, con nausea e mal di mare per chi lo utilizza a lungo oltre al rischio di incidenti se utilizzato in ambienti non protetti perché l’utilizzatore diventa praticamente cieco a quello che gli succede attorno. La carta di Google sono i video “3D” su YouTube, realizzati tramite separazione dello schermo in due parti e presentazione delle immagini sfalsate per dare l’effetto tridimensionale dell’immagine. Accanto a questo, Google ha prodotto due app (per Android e per iOS) e vende a una decina di euro anche via Amazon un visore di cartone che vincola il telefono al viso, trasformandolo in un display di realtà virtuale e usando i sensori degli apparecchi telefonici per capire il movimento e la direzione in cui questo è girato. Questa versione molto casereccia di apparecchi di fascia alta (come quello di Facebook) avrebbe raccolto quasi 5 milioni di utenti.

Vale la pena tutto questo? Una Apple sempre più alla ricerca di espansione su nuovi mercati, spinta dalla competizione di Google che per la prima volta con la sua holding ha superato il valore di capitalizzazione di mercato di Apple (e Facebook si avvicina, in quarta posizione subito dopo Exxon) e che vede rallentare tutti i suoi valori fondamentali di crescita a partire dai volumi di vendita di iPhone, deve trovare nuovi mercati esplosivi. L’orologio Apple Watch va bene ma non è così esplosivo. Nuovi prodotti come iPad Pro sono non solo rivoluzionari per il modo di intendere il tablet di grandi dimensioni con penna (possiamo chiamarlo il primo strumento per le “Belle Arti digitali”) ma hanno anche un notevole successo di mercato. In pochi mesi iPad Pro secondo gli analisti ha venduto più di tutte le edizioni dei Surface di Microsoft sommate. Però queste cifre non bastano: la crescita esponenziale di Apple per essere sostenuta si deve basare su costanti innovazioni e volumi di vendita pazzeschi. Insostenibili con prodotti semplicemente “di successo”.

Potrebbe la realtà virtuale essere questa nuova strada per grandissimi volumi? Secondo Re/Code, no.

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