SCENARI

Le attività di lobbying virano sul Coronavirus. Facebook e Apple i big spender

Zuckerberg aumenta la posta del 19% seguito da Cook al +18%. Anche Amazon sale: +3%. Stabile Microsoft mentre Google, in controtendenza, disinveste per il 34%. La maggior parte delle iniziative legate all’emergenza sanitaria. Per le big tech anche un modo per migliorare l’immagine dopo le numerose inchieste su privacy e questioni antitrust

Pubblicato il 23 Apr 2020

Antonio Dini

dollari

Amazon e Facebook accelerano nelle spese per le attività di lobbying a Washington. Nel primo trimestre dell’anno, secondo le dichiarazioni depositate presso l’amministrazione federale americana, Facebook ha speso il 19% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, portando il totale a 5,3 milioni di dollari. Invece Amazon ha alzato la posta del 3%, portando il totale della sua spesa a 4,3 milioni. In controtendenza Google che ha invece ridotto del 34% le spese di lobbying, scendendo a 1,8 milioni di dollari. L’azienda aveva già iniziato a ridurre le spese l’anno scorso e ha ridotto anche la spesa con i suoi fornitori, chiudendo la collaborazione con una mezza dozzina di società di relazioni pubbliche specializzate nelle attività di lobbisti.

In generale, con l’inizio della pandemia, i comportamenti dei big del tech sono stati discordi. Mentre da un lato Google e Apple hanno infatti annunciato che avrebbero collaborato con i progetti del governo di Washington e con le amministrazioni di tutto il mondo nel tracciamento della pandemia, gli investimenti delle due aziende hanno seguito strade diverse. Google ha ridotto, mentre Apple ha aumentato del 18%, arrivando a quota 2,2 milioni di dollari. Microsoft ha sostanzialmente mantenuto lo stesso livello di spesa, cioè 2,4 milioni (con un incremento marginale dello 0,2%).

Uno dei temi che è stato sollevato dalla stampa americana in questo periodo è se le aziende di tecnologia, che da due anni assistono un peggioramento della loro percezione da parte del grande pubblico ma anche da parte dei regolatori e del legislatore americano, stiano invece attraversando un periodo di grazia nei rapporti con pubblico, amministrazione e stampa per via del coronavirus e degli sforzi che stanno facendo per collaborare al contrasto della pandemia.

Gli ultimi tre anni e l’inizio del 2020 sono stati segnati da scandali legati alla privacy, dalle proteste da parte delle startup per pratiche predatorie, dalle investigazioni dell’antitrust nei confronti di Google e Facebook a livello federale e statale, e dalle indagini simmetriche su Amazon e Apple del Dipartimento di giustizia. Adesso invece, con lo sforzo fatto dai big del tech per aiutare l’economia e la società durante l’emergenza coronavirus, è cambiata in maniera netta la percezione esterna.

Amazon, Apple e Facebook hanno sottolineato nelle relazioni depositate a Washington che parte dei soldi sono andati in operazioni di lobby per temi legati al coronavirus. Anche Microsoft ha dichiarato sostanzialmente la stessa cosa, aggiungendo però di aver speso anche per chiedere la realizzazione di uno stimolo per l’economia.

Se si filtrano le spese per le attività lobbistiche dei big del tech da quelle legate agli effetti del coronavirus, emerge una differente classifica di argomenti. Facebook ha fatto attività di lobby nei confronti del governo federale su temi come la crittografia, le politiche di gestione dei contenuti, la privacy e la normativa sulla pubblicità di tipo politico. Inoltre, sull’emissione dei visti per i lavoratori stranieri. Apple ha invece spinto su temi come la riforma della normativa sui brevetti, il contrasto alla falsificazione dei prodotti, gli accordi commerciali, la competizione e la richiesta di dati sugli utenti da parte del governo. Microsoft ha invece speso soldi in attività di lobby per il contratto del Pentagono da 10 miliari di dollari che ha vinto lo scorso anno contro Amazon.

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