LA SURVEY

Lo smart working piace, ma la legge rimane sconosciuta

Survey InfoJobs: il 63,8 delle aziende e il 92,7% dei lavoratori non conosce i contenuti del provvedimento al vaglio del Parlamento. Ma per entrambi il lavoro agile è driver di produttività

Pubblicato il 25 Feb 2016

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Lo smart working, o lavoro agile, è uno dei temi più caldi del dibattito sulla riforma del mercato del lavoro e sulle forme organizzative più efficaci per conciliare produttività ed equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Se fino a qualche anno fa l’effettiva applicazione di politiche di smart working era resa difficile dalla limitata disponibilità di strumenti adeguati al lavoro da remoto, oggi, grazie alla rivoluzione digitale e alla piena diffusione di device mobili e strumenti cloud, il lavoro agile è finalmente una prospettiva concreta per milioni di lavoratori.

Anche il Parlamento si sta interessando al tema, tanto che in Senato inizierà a giorni la discussione su un disegno di legge che mira a fare chiarezza su una disciplina rimasta finora ai margini delle diverse riforme del mercato del lavoro susseguitesi negli anni. In questo contesto InfoJobs ha chiesto ad aziende e lavoratori cosa ne pensano della prospettiva di adottare politiche di lavoro agile in una survey cui hanno preso parte oltre 40.000 lavoratori e 400 aziende.

Da questa indagine emerge un quadro sfaccettato, in cui aziende e candidati restituiscono la complessità di una tematica in cui cultura aziendale, tecnologia e normativa si intersecano, in uno scenario in cui il legislatore sarà chiamato a mettere ordine. Il dato più evidente è la scarsa conoscenza dei contenuti sulla proposta di legge che sarà all’esame del Parlamento: il 63,8% delle aziende e il 92,7% dei candidati non conoscono i contenuti della proposta di legge (39% delle aziende e 62% dei candidati non sanno nemmeno che esista una proposta di legge). Solo l’8,1% delle aziende e il 7,2% dei candidati ne conosce approfonditamente gli elementi.

I due target concordano invece sull’impatto positivo dello smart working nella produttività e nell’equilibrio tra vita privata e lavoro: il 36,8% dei candidati e il 25,6% delle aziende afferma che migliorerebbe le condizioni lavorative dei dipendenti, la loro motivazione e inciderebbe positivamente sulla produttività, a cui si aggiunge il 49,7% di candidati e il 63,3% delle aziende secondo cui potrebbe in alcuni casi portare a dei benefici anche se non in tutti i settori. Solo l’11,1% delle aziende e il 13,5% dei candidati pensa che lo smart working non porterebbe vantaggi in termini di produttività.

“Il dibattito in Aula sul tema del lavoro agile è fondamentale per disporre di una legge ad hoc su questa disciplina, che ormai è divenuta uno strumento di lavoro comune per molte aziende italiane – spiega Giuseppe Bruno, general manager di InfoJobs – La futura legge diventerà così uno strumento per fare chiarezza sulla materia, favorire ulteriormente l’adozione dello smart working ed educare aziende e lavoratori sui suoi benefici.”

Ad oggi – sempre secondo InfoJobs – il 44,2% delle aziende utilizza il lavoro agile, ma in maniera strutturata solo il 13,6%, a cui si aggiunge il 30,6% del campione che adotta politiche di smart working solo in alcune aree. Dal punto di vista dei candidati, le percentuali sono ancora più nette con il 78,5% degli intervistati che dichiara di non essere al corrente di politiche di smart working nella propria azienda, a cui si oppone l’11,6% del campione secondo cui il lavoro agile viene adottato in alcuni casi isolati e solo il 7,8% nella cui azienda c’è una politica di lavoro agile strutturata di cui tutti i dipendenti sono a conoscenza. I motivi alla base di questa situazione sono la mancanza di una normativa certa sul tema (per il 37,2% delle aziende) o del supporto tecnologico necessario (18,6%).

Sull’aspetto tecnologico emerge inoltre come il 49% delle aziende non reputi la propria struttura pronta, dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica, a implementare politiche di smart working, percentuale che sale al 68% dal punto di vista dei candidati. Per quanto riguarda la motivazione dei lavoratori, il 39,9% dei candidati si dice disposto a lavorare in smart working, convinto che orari più flessibili inciderebbero positivamente sulle prestazioni. Oltre alle performance, anche l’impatto sulla vita privata gioca un ruolo importante, con il 32,7% dei candidati che accetterebbe di lavorare in smart working proprio per gli effetti positivi che questa modalità avrebbe sulla vita familiare. Solo il 23% dei candidati lo reputa deleterio, motivando però il rifiuto del lavoro agile con la volontà di tenere separati lavoro e vita privata.

LE PROSPETTIVE FUTURE DEL LAVORO AGILE. Se questo è lo status quo, qual è la prospettiva immediata per lo smart working nelle aziende italiane? I risultati della survey mostrano che solamente il 28,5% delle aziende ha in programma l’implementazione di politiche di smart working nei prossimi 3 anni (percentuale che scende all’11,8% se si parla di un arco temporale di 5 anni). Il 46,2% del campione afferma, invece, che non implementerà questa modalità di lavoro. Le ragioni di questa chiusura risiedono per il 34,1% dei datori di lavoro nella natura del settore in cui opera, che sarebbe incompatibile con il successo del lavoro da remoto; per l’8,6% del campione il motivo è invece la mancanza di abitudine a lavorare in autonomia che porterebbe a una perdita di produttività.

Anche nella prospettiva di approcciare una nuova realtà lavorativa, la prospettiva di una maggiore flessibilità può giocare un ruolo importante, tanto che il 17,5% dei candidati accetterebbe condizioni economiche meno favorevoli a fronte della possibilità di lavorare in smart working, a cui si aggiunge il 39,2% del campione che a parità di offerta economica sarebbe incentivato nella scelta di un’azienda dalla possibilità di lavorare da remoto. Dello stesso avviso il 34,4% dei datori di lavoro, secondo cui è un elemento differenziante a cui sempre più lavoratori guardano con interesse, a cui fa eco il 48% del campione secondo cui costituisce un incentivo, anche se il grado di responsabilità e le condizioni economiche sono più importanti nell’attrazione e ritenzione dei migliori talenti. Di parere contrario il 43,3% dei candidati, per cui questa prospettiva non costituirebbe un incentivo nella scelta di un nuovo lavoro, e il 17,6% dei datori di lavoro, che non crede sia un elemento differenziante nell’attrazione e ritenzione dei talenti.

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