Il momento migliore per andarci è in autunno, quando gli aceri si tingono di rosso. Ed è un autunno intenso ma premonitore dell’inesorabile inverno che in molti avevano presagito (sbagliando) per quell’impianto fra le colline che costeggiano l’Hudson, a una cinquantina di chilometri a nord di New York. Lì si trovano i Poughkeepsie Lab, “patria” dei mainframe di Ibm. Lì il 7 aprile 1964 è stato tenuto a battesimo il System 360, primo mainframe commerciale della storia, capostipite di molte generazioni di computer sempre più piccoli e potenti. Tanto che oggi un qualunque pc che portiamo nello zainetto è capace di prestazioni superiori a quelle del colosso di allora. I nipoti hanno superato il nonno. Ma senza l’S/360, probabilmente, non ci sarebbero stati i nipoti o sarebbero molto diversi.
Un nonno dal fisico così ingombrante che a Poughkeepsie hanno dovuto costruire dei pavimenti iperspeciali per reggere i quintali di peso del System 360. Hanno persino provato a vestirlo di un appeal estetico-pratico: ce n’era persino una versione a divanetto, con dei cuscini tra una armadio di rack e un altro, su cui sedersi e conversare.
Una grande storia, non c’è dubbio. Simbolo della superiorità tecnologica (e non solo) dell’America degli anni ‘60 e ‘70, ha ispirato libri e film: il supercomputer che da Houston guidava il viaggio della navicella di “2001 Odissea nello spazio” traeva ispirazione da lì. E non solo ispirazione. Senza i mainframe di Ibm, Neil Armstrong non avrebbe passeggiato sulla luna il 20 luglio 1969. “Un grande passato, ma nessun futuro”: così da una decina d’anni si sente ripetere da più parti. Non certo in Ibm dove sono più che sicuri che non faranno la fine di un altro impianto industriale che molti anni fa esisteva a Poughkeepsie: quello della Fiat. Aprì nel 1909, chiuse nel 1942. Ma a Poughkeepsie di mega-macchine targate Ibm se ne continuano a costruire ancora, eccome.
Scommesse sbagliate sul futuro incerto dei mainframe non sono mai mancate. A partire dal primo. Thomas J. Watson Jr, mitico presidente e figlio del fondatore di Big Blue, presentò il System 360 premettendo ai giornalisti che si trattava del “più importante annuncio nella storia della società”. Aveva ragione. Ma Fortune rispose che era un azzardo da 5 miliardi di dollari (sarebbero 36 miliardi calcolati sul potere d’acquisto di oggi): tanto era costata la messa a punto del progetto. L’azzardo di Watson jr. era non di presentare una supermacchina da calcolo finita in se stessa (sino ad allora solo pochissime aziende potevano permettersi), ma un “sistema” capostipite di una famiglia di supercomputer, affrontabile da un mercato più ampio, pur se sempre di big player. Con una caratteristica assolutamente innovativa: software e periferiche compatibili con altri prodotti Ibm e intercambiabili. Nel giro di due anni il System 360 era già diventato il prodotto dominante nel mercato dei mainframe, tanto che la sua architettura divenne uno standard de facto. Oggi l’era del software e gli ambasciatori della superiorità tecnologica americana hanno altri nomi: Google, Facebook, Amazon per farne alcuni. Più che all’hardware si guarda al software, più che alla macchina ai servizi, più che alla proprietà al cloud use e pay.
Basta per dichiarare morto il mainframe? Lo pensano i competitor che scommettono su “leggerezza” e “flessibilità”. In Ibm sono di tutt’altro parere: “Il mainframe ha ancora un lungo futuro davanti. È una tecnologia destinata a durare: c’è molto valore che viene dalla nostra storia”, risponde Steve Mills, Senior VP e Group Executive di Ibm Software & Systems.
Per dimostrarlo, Ibm ha scelto proprio il 50° anniversario dell’S/360 per presentare a New York (in attesa che compia i suoi passi la rivoluzione del cognitive computing battezzata Watson in memoria dei due padri di Big Blue), una serie di nuovi prodotti che ai tradizionali punti di forza del mainframe (sicurezza e capacità di calcolo, in primis) aggiunge flessibilità d’uso e ricchezza di funzioni tipiche del cloud. Nella convinzione che il mainframe sia “la piattaforma ideale per servizi mission critical basati sul cloud”, spiega Linda Sanford, senior vp Enterprise transformation, presentandoci il nuovo Enterprise Cloud System di Ibm. “La sua forza – spiega – risiede non solo nella tradizionale capacità di elaborare i dati ma anche di analizzarli, di trarne una senso”. Se i primi 50 anni sono stati all’insegna della pesantezza, i secondi potrebbero essere all’insegna della leggerezza. Relativa.