INNOVAZIONE

Nell’Europa degli incubatori l’Italia scala la top ten

Il Polihub di Milano è al secondo posto nella classifica stilata da Ubi Global: “E la garanzia di aver lavorato bene – dice il consigliere delegato Stefano Mainetti – Nel 2013 eravamo noni in classifica ma l’anno scorso ci siamo aperti all’esterno e i risultati si vedono”

Pubblicato il 28 Nov 2015

Maurizio Di Lucchio

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L’Italia è nella top ten europea degli incubatori universitari con il secondo posto del Polihub di Milano nella graduatoria stilata dall’ente di ricerca svedese UBI Global. L’incubatore del Politecnico di Milano si è piazzato alle spalle dell’inglese SETsquared, legato agli atenei pubblici di Bath, Bristol, Exeter, Southampton e del Surrey. Per raggiungere questo risultato, la struttura guidata da Stefano Mainetti ha cercato di indirizzare la trasformazione del proprio modello operativo – da incubatore prettamente dedicato a startup e spinoff interni al Politecnico a “hub” più aperto a tutto l’ecosistema dell’innovazione – lungo le linee guida e gli standard indicati da Ubi Global. “È la garanzia di aver lavorato bene: un bollino di qualità”, dice a CorCom il consigliere delegato Stefano Mainetti. “Nel 2013 eravamo noni in classifica e avevamo un modello diverso rispetto a quello attuale.

L’anno scorso ci siamo aperti all’esterno, abbiamo individuato e incubato molte startup in più e abbiamo assestato i processi di scouting, mentoring e di supporto al finanziamento. Con il cambio di modello, molti indicatori di performance erano nuovi ed eravamo usciti dai primi dieci del ranking ma gli investimenti operati ci hanno permesso di raccogliere i frutti nel 2015 con questo secondo posto in Europa”. Tra i macrocriteri di cui l’ente svedese ha tenuto conto nel redigere la classifica c’è innanzitutto il valore concreto che l’incubatore universitario riesce a dare all’ecosistema, ovvero i posti di lavoro creati, il fatturato aggregato delle nuove imprese incubate e la capacità di ricevere finanziamenti da parte della comunità di investitori. “In due anni – dichiara Mainetti – siamo arrivati a più di 50 startup incubate, oltre 11 milioni di finanziamenti, un fatturato aggregato di 17 milioni di euro e 350 posti di lavoro full time equivalent”.

Un altro parametro utilizzato per misurare la qualità dell’incubatore è il valore generato per i clienti, ovvero le stesse startup: in questo caso, viene preso in considerazione il numero di ore dedicate all’attività di coaching e di mentoring per ciascuna nuova impresa ospitata e la quantità di partner industriali in grado, potenzialmente, di sostenere le startup nel processo di industrializzazione dei progetti. Riguardo a questo ultimo elemento, Polihub è stata la base di lancio per le call for ideas di grandi aziende, anche italiane, attive in settori come hi tech, information technology, finanza, assicurazioni, media, telecomunicazioni e pharma (tra cui Microsoft, Ibm, Samsung, Sap, Smau, CheBanca, Bnp Paribas, Aviva, Mediaset, Vodafone, Novartis). “Altre grandi compagnie, invece, hanno fatto iniziative mirate ma non le hanno rese pubbliche per non renderle note ai propri competitor”, aggiunge il consigliere delegato. Un terzo metro di misurazione era l’attrattività della struttura per l’ecosistema dell’innovazione. “In sostanza, hanno tenuto conto del numero di idee imprenditoriali che abbiamo ricevuto”, spiega Mainetti. “Sono state 850 nel 2014 e 1.200 nel 2015”. In più, UBI Global ha rilevato il tasso di sopravvivenza sul mercato delle startup uscite dall’incubatore – 83% nel caso di Polihub – e il numero e valore delle “exit”. “Di per sé questo valore non è male, anche se purtroppo non siamo ancora riusciti ad avere la soddisfazione di vedere una startup incubata in Polihub raggiungere la quotazione in borsa”.

Dai ranking UBI Global, stilati anche per incubatori semplicemente associati con un ateneo (classifica in cui l’Italia è presente con il terzo posto di H-Farm e l’ottavo di The Hive), emerge che tra i premiati ci sono alcune strutture, tra cui la prima classificata e la nona (la portoghese BLC3 Incubadora), che aggregano gli incubatori di più università. Una prospettiva anche per Polihub e per gli altri incubatori universitari italiani? “Anche in Italia è possibile, anche se fare sistema non è mai facilissimo”, ammette Mainetti. “Collaborazioni virtuose, come nel caso del PNI Cube (l’associazione che riunisce gli incubatori e le business plan competition accademiche italiane, ndr), esistono già e si può pensare ad aumentarle e a valutare vere e proprie aggregazioni. Ma spingere su una politica di aggregazione è una scelta che va oltre i singoli incubatori e riguarda i decisori pubblici. È da lì che potrebbero arrivare importanti indicazioni in questo senso”.

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