La banda larga mobile mette in discussione la nostra salute? Molte posizioni si scontrano, spesso in un mare di confusione di dati scientifici messi al servizio di interessi contrapposti.
È pur vero che un principio che non può essere discusso è quello della precauzione: non faccio una cosa finché non sono sicuro che la stessa non provochi danni, ma a volte il fine sembra giustificare i mezzi, anche in materia di emissioni radioelettriche.
L’Italia è indubbiamente arretrata nelle reti di nuova generazione (trentaseiesima nel mondo), a causa di un suicidio perfetto: la messa ai margini della televisione via cavo per la sciagurata previsione normativa di metà degli anni Settanta (il cavo “monocanale”, contraddizione in termini), il blocco del monopolio telefonico, l’assenza di un visione collettiva sull’importanza di internet.
Ora, si sta correndo ai ripari, ma con una strategia massiva, tale da mettere sullo stesso piano le fibre ottiche, l’utilizzo del satellite, wi-fi e, soprattutto, l’ultima generazione (Long term evolution, Lte) della telefonia mobile. Strumenti, quelli dei collegamenti mobili, che appaiono spesso la soluzione per mille problemi.
Non per caso, la “Strategia per la banda ultralarga” elaborata dal governo, in corso di consultazione pubblica, appare soprattutto finalizzata a portare una potenza di 100 megabit al 50% della popolazione entro il 2020 almeno fino all’edificio. Poi si utilizzeranno per l’allaccio finale le frequenze hertziane, ritenute invece invasive da una parte della letteratura scientifica. Il legislatore varò negli anni passati due provvedimenti di rilievo: il decreto n.381 del 1998 e la legge quadro n.36 del 2001, che fissarono in 6 Volt/metro il limite di esposizione. Obiettivo di qualità, in linea con le raccomandazioni europee. Allora prevalse la cultura della cautela.
Il successivo decreto del 2003 conservò l’impianto. Negli ultimi anni invece inversione di tendenza a partire dalla legge n.221 del 2012, che ha convertito il cosiddetto decreto-crescita: il limite dei 6 Volt/metro non più misurato nell’intervallo di 6 minuti, bensì diluito nell’arco delle ventiquattro ore.
Recentemente altro intervento, con il decreto-sblocca Italia, divenuto nel novembre scorso la legge n.164/2014. All’articolo 6 c’è una sostanziale deregulation per la modifica degli impianti esistenti, che possono essere potenziati con semplice autocertificazione (art. 87 ter aggiunto al Codice delle comunicazioni del 2003). Quindi, il combinato disposto della verifica svolta sull’arco dell’intera giornata e l’opportunità di incrementare le potenze, nel contesto della corsa contro il tempo per la banda ultralarga, innesta una marcia inversa rispetto alle prudenze di un tempo. Giusto o sbagliato che sia, quello che appare certo è la mancanza di un organismo che in modo indipendente faccia chiarezza per l’opinione pubblica sui danni o meno delle onde elettromagnetiche.