Poletti: “Per lo smart working servono regole light o si rischia il boomerang”

Il ministro del Lavoro a CorCom: “Se il lavoro ‘agile’ non verrà regolato sarà inevitabilmente attratto da forme inadatte alla nuova sfida”

Pubblicato il 06 Nov 2015

Mila Fiordalisi

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«Se il lavoro ‘agile’ non sarà regolato inevitabilmente verrà attratto dalle forme di lavoro regolate. Con il conseguente rischio che la regolazione di quelle forme, applicata ad un contesto cui non è adatta, finisca per danneggiarlo». Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti considera determinante la definizione di regole ad hoc per spingere la diffusione dello smart working e soprattutto per non rischiare che la “macchina” si impantani a causa di questioni burocratiche o dalla mancanza di un quadro di norme adeguato a far fronte alle nuove istanze. “Credo che una buona regolazione possa essere realizzata partendo dal principio di essere molto ‘leggeri’ e anche pronti a rideterminare la regolazione e i relativi contratti che ne deriveranno, a fronte di un’evoluzione che sarà, prevedibilmente, molto rapida.

Poletti, cosa sta facendo il ministero a tal proposito?

Il tema del “lavoro agile”, quindi di una nuova tipologia che va persino oltre quelle che avevamo iniziato ad ipotizzare come il telelavoro, è oggi all’ordine del giorno. Il ministero del Lavoro se ne sta occupando, anche nel contesto di una riflessione generale sulle tematiche che non sono state affrontate nell’ambito del Jobs Act. Stiamo infatti lavorando ad un “Jobs Act per il lavoro autonomo”. Da questo punto di vista pensiamo ad un intervento che parta da un constatazione di fatto: oggi sempre di più il lavoro viene – deve – essere valutato sulla base del risultato e non, come storicamente è avvenuto, del tempo impiegato per rendere la prestazione, quindi della presenza fisica in un luogo di lavoro. Affrontare questo tema non è semplice perché è, appunto, un elemento di profonda innovazione. Credo però, che sia possibile farlo in un equilibrio positivo tra una normativa leggera, che affronti le tematiche essenziali, ed un rimando alla contrattazione che ne definisca più puntualmente le caratteristiche in relazione ai settori di attività, con una flessibilità più alta in termini di regolazione ed un suo adeguamento più veloce. Naturalmente, questo pone l’esigenza di un passaggio parlamentare per varare una normativa che formalizzi questa tipologia di lavoro che nella realtà si sta già sviluppando, affrontandone le questioni essenziali, ma mantenendo una leggerezza nell’intervento che non contrasti con l’esigenza di un lavoro che, per definizione, deve essere agile.

Come può un universo “rigido” come quello del lavoro – con contratti e norme che, abbiamo già avuto modo di sperimentare, sono difficilmente modificabili – adattarsi ad un mondo “iperflessibile” come quello disegnato dalle nuove tecnologie?

L’attuale rigidità del lavoro è figlia di una storia, che ci ha consegnato leggi, regole e contratti che guardano ad un mondo che conosciamo bene. Oggi ci sono forti elementi di novità e, quindi, anche la regolazione dovrà essere in grado di sperimentare questi cambiamenti ed essere adattabile in modo rapido. Naturalmente, qui ci sono alcuni temi da affrontare che riguardano, in primo luogo, l’esigenza di garantire la sicurezza, di tutelare la salute; senza trascurare la necessità di evitare che, con questa nuova modalità di lavoro, si producano disallineamenti e quindi, potenzialmente, una concorrenza sleale tra un lavoro regolato, che ha anche un trattamento economico e tutele definiti, ed un lavoro che rischia di sfuggire ed essere utilizzato non per specifiche esigenze organizzative e produttive, ma in modo strumentale. Quindi occorrerà definire un trattamento economico ed un inquadramento normativo del lavoro agile che deve essere pari a quello del lavoro svolto in azienda. Abbiamo cioè l’esigenza di una normativa che tuteli il lavoro anche da questo punto di vista.

Secondo lei i lavoratori sono favorevoli ai cambiamenti, ma soprattutto i sindacati riusciranno a intercettare le nuove istanze?

Questo tipo di lavoro è una novità per tutti: imprese, lavoratori, sindacati. Sarà possibile arrivare ad un buona sintesi se tutte le istanze – quelle del lavoratore, delle tutele generali, dell’impresa – troveranno un punto di ragionevole equilibrio. Insomma, tutti questi soggetti debbono impegnarsi a mettere in campo una riflessione ed un’elaborazione adeguate a questa novità. Credo comunque che, in termini generali, il tema del rapporto tra lavoro e opera, cioè tra il lavoro ed il suo risultato, diventerà sempre più significativo, anche all’interno delle formule classiche della contrattazione e dei rapporti di lavoro. Quindi, le innovazioni che si potranno produrre su questo versante sulla spinta del lavoro agile, probabilmente potranno agevolare una riflessione più generale sulla contrattazione e sulle regole del lavoro nel nostro paese.

Le norme in vigore consentono di adottare modelli innovativi e “sperimentali” oppure bisognerà riscrivere ex novo le regole?

Le norme tendono a produrre elementi di rigidità, di stabilizzazione delle forme. Perché le codificano, le definiscono. Ed ogni definizione include e, allo stesso tempo, esclude. Ma senza norme c’è sempre il rischio di abusi da un lato e di penalizzazioni e contestazioni dall’altro, perché se una materia non è regolata finisce per essere attratta dalla regolazione generale che vige per quell’ambito. Quindi è necessario intervenire”.

Ci sono aziende che si sono rivolte al ministero del Lavoro per “segnalare” la questione smart working?

Fondamentalmente ci siamo trovati di fronte più ad aziende “giovani” che ad aziende strutturate. Ci sono stati molti giovani che lanciano startup che non hanno già una struttura assestata del lavoro, ma che avrebbero bisogno di una grandissima capacità di raccogliere apporti ed anche di poterli valutare dal punto di vista del risultato. E molti di loro ci hanno chiesto la possibilità di disporre non di una strumentazione che garantisca maggiori tutele, bensì di una strumentazione molto leggera che consenta loro di associare in qualche misura allo sforzo creativo, di promozione e sviluppo della loro idea persone con le quali hanno rapporti. Oggi molte di queste iniziative si costruiscono anche con rapporti a distanza, in rete, magari scoprendo che c’è qualcuno che lavora alla tua stessa idea e che può collaborare al tuo progetto. Noi siamo abituati a pensare che la collaborazione è un fatto fisico; oggi molte idee innovative vengono realizzate da gruppi di giovani che magari risiedono anche in paesi diversi ed ognuno apporta le proprie competenze e la propria creatività. Abbiamo bisogno di strumenti capaci di interpretare queste particolari tipologie di lavoro.

Crede che se ne verrà a capo in tempi ragionevoli, ossia in linea con i tempi veloci del digitale?

Non sarà affatto semplice, ma credo che vada fatto, proprio perché è un’idea che guarda molto al futuro e, in termini generali, credo sia molto interessante perché tende a migliorare la qualità della vita riequilibrandone la relazione col lavoro. Veniamo da una storia nella quale la nostra vita è stata radicalmente organizzata in ragione delle logiche del lavoro e della sua produttività. Credo che se riusciremo a promuovere un migliore equilibrio tra questa esigenza e la qualità della vita di ogni individuo avremo fatto una cosa utile dal punto di vista sociale.

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