COPYRIGHT

Polillo: “Serve colpire i siti, non i singoli utenti”

Il presidente di Confindustria Cultura interviene sul dibattito sulla tutela del copyright online: “La pirateria ostacola lo sviluppo di offerta legale, ma oggi abbiamo i mezzi per bloccare le piattaforme
illegali in Italia”

Pubblicato il 19 Giu 2013

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“Le principali piattaforme illegali operative in Italia non sono in tutto più di una quindicina: bisogna bloccarne l’accesso agli utenti italiani e farlo in fretta, perché la pirateria online impoverisce gravemente la nostra industria culturale. Per questo siamo favorevoli alla strada presa da Agcom verso l’elaborazione di un provvedimento ad hoc”. Lo sostiene Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura Italia.

L’impoverimento è misurabile?

In realtà è difficile produrre studi esaustivi sulla materia. Posso dire che nel 2013, in Italia, prevediamo di lasciare sul campo qualche migliaio di persone e diverse centinaia di milioni di euro di perdite di fatturato. Una cosa è certa: il Congresso Usa ha inserito l’Italia nel suo “2012 International Piracy Watch List”, penultimo step prima di finire definitivamente dietro la lavagna.

Lo sviluppo dell’offerta legale è un modo efficace per contrastare la pirateria?

Sì, ma è vero anche il contrario: se si colpiscono i siti pirata, si dà modo all’offerta legale di espandersi. Nessuno di noi è contrario alla cultura veicolata dal digitale, che anzi è da anni un’importante realtà. Ma serve un atteggiamento rigido contro i responsabili di attività illegali.

Bisogna colpire le piattaforme colpevoli di massicce violazioni oppure gli end-user?

Le piattaforme, naturalmente, che hanno spesso sedi oltreoceano e sono in grado di mettere a disposizione quantità enormi di file “piratati”. Sono paragonabili a ricettatori, che rubano i contenuti altrui e li rivendono per ricavarne profitti. Invece non bisogna perseguire il privato che si scambia file con l’amico. Peraltro il diritto d’autore serve essenzialmente a garantire l’autore: se si accorge che componendo canzoni o scrivendo libri non riesce più a portare soldi a casa, smette di scrivere e di comporre. E l’industria culturale rischia di morire.

Cosa pensa dell’approccio ‘follow the money’ già adottato da alcune grandi aziende, che mira a “strangolare” le piattaforme illegali rifiutando di collocare la propria pubblicità su quei siti?

Non è sempre detto che le aziende sappiano quali siti hanno un’autorizzazione legale e quali no. Oppure a volte certi siti hanno l’autorizzazione per offrire determinati prodotti ma non altri. Però, secondo le associazioni che studiano la pirateria, in Italia le principali piattaforme illegali sarebbero al massimo una quindicina. Oggi ci sono tutti gli strumenti tecnologici per bloccare questi siti. Del resto abbiamo già visto che in altri campi, per esempio per la pedofilia, i siti illeciti vengono chiusi da un giorno all’altro senza problemi. Perché non fare lo stesso con quelli dei pirati informatici?

Cosa rispondete a chi, in prospettiva di futuri interventi sui siti “pirata”, paventa il rischio di censura della rete?

È ridicolo accusare i produttori di contenuti, che anzi si sono sempre battuti contro qualsiasi forma di censura. Bisogna invece poter fermare chi si arricchisce alle spalle degli altri. Il diritto alla cultura ha un significato relativo: partendo da questo principio, dal momento che ognuno di noi ha diritto alla sopravvivenza gli è forse permesso andare dal fornaio e portarsi via il pane gratis? Non credo proprio. Ci vuole ragionevolezza.

E gli Ott? Quale ruolo giocano nella partita “anti-pirateria”?

Tra loro c’è chi è parte attiva nella lotta alle violazioni e chi invece adotta un atteggiamento passivo: in apparenza è contrario ma poi non fa nulla per contrastarla. Ma quello che conta è che passi il concetto: i pirati online vanno combattuti e sconfitti. Sono convinto che l’Agcom farà un lavoro buono, ragionato e, speriamo, in tempi molto veloci.

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