L'EDITORIALE

Ponti e strade sicure, la miopia italiana sul digitale

Sensori in grado di segnalare qualsiasi anomalia in tempo reale, droni per il rilevamento e l’ispezione, piattaforme predittive per la manutenzione intelligente. Le tecnologie ci sono eppure non sono ancora adeguatamente sfruttate. Non sarà ora di passare all’azione?

Pubblicato il 17 Ago 2018

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Il crollo del ponte Morandi a Genova è l’ennesimo disastro figlio della mancanza di un piano per il recupero delle infrastrutture strategiche e non. Già gli eventi sismici, che negli ultimi anni hanno colpito duramente il nostro Paese, hanno svelato una fragilità più volte segnalata da commissioni, esperti, indagini. Eppure rimasta inascoltata.

Gli edifici e le infrastrutture a rischio sono talmente numerosi che si fa fatica persino a censirli. L’osteoporosi delle infrastrutture è una malattia alla quale non si può porre totalmente rimedio: bisognerebbe ricostruire, ristrutturare e nei casi più gravi abbattere. I soldi non ci sono, o non ce ne sono abbastanza. Oppure non li sfruttano adeguatamente, come nel caso delle risorse messe a disposizione dall’Europa. E i tempi biblici per muoversi fra regole e autorizzazioni non aiuta. È evidente che serve una strategia-Paese. Ma è altrettanto evidente che non si può aspettare all’infinito.

Sorprende rilevare che nonostante gli avanzamenti tecnologici sul fronte hardware e software ci se ne lasci sfuggire il potenziale. E non è certo questione di costi. O non abbastanza. Monitorare le infrastrutture montando ponteggi e mobilitando decine di risorse umane è decisamente più oneroso che posizionare sensori intelligenti in grado di comunicare immediatamente eventuali anomalie, cedimenti, malfunzionamenti. Ed è molto più costoso che usare droni in grado di ispezionare parti “nascoste” o difficilmente raggiungibili e persino di svolgere piccole attività manutentive, quantomeno per evitare danni maggiori. Per non parlare delle piattaforme di analisi predittiva, capaci di simulare scenari e di mettere a punto vere e proprie roadmap di intervento individuando nel dettaglio le porzioni specifiche sulle quali intervenire.

In materia di infrastrutture stradali l’unico progetto degno di valore in questo momento, anche se deve ancora passare dalla carta alla “strada”, è quello portato avanti dall’Anas. Si tratta del progetto Smart Road e vede in campo in qualità di progettista l’architetto Carlo Ratti, professore al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston. Avviato dall’Anas nel 2016 è tra i primi a livello internazionale a coinvolgere oltre 2.500 km di strade e autostrade su tutto il territorio nazionale. Il progetto prevede la gestione intelligente dell’infrastruttura anche attraverso il monitoraggio in tempo reale di aree “critiche” come ad esempio tunnel e gallerie. E visto quel che sta succedendo nel nostro Paese ci si chiede se non sia il caso di “replicarlo” anche al di là delle aree di competenza dell’Anas o di potenziarlo per accelerare la roadmap.

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