E-JUSTICE

Processo civile telematico, Gorga: “Poca attenzione agli utenti”

L’avvocato analizza i limiti del progetto: “Chi ha elaborato l’architettuta del Pct ha tenuto conto dei soli interessi del ministero e degli uffici giudiziari”. E affonda: “L’onere economico dell’innovazione si è scaricato sugli avvocati”

Pubblicato il 01 Giu 2015

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La dottrina giuridica più aperta all’utilizzo delle tecnologie dell’innovazione nel mondo del diritto segnala da tempo che con l’introduzione del PCT si è creato un vulnus nel processo civile che concepito dal legislatore come processo eminentemente orale nel tempo, in ragione delle frammentarie ed episodiche riforme, è stato trasformato in un processo prevalentemente scritto. Con l’introduzione del documento informatico, poi, che si surroga alla carta, pare che la scelta di un “processo esclusivamente scritto” sia diventata una scelta definitiva dovendo surrogare, almeno nelle intenzione del recente legislatore, il documento informatico quello cartaceo.

Per uno dei padri dell’informatica giuridica, il compianto Renato Borrusio, invece, l’utilizzo dell’informatica nel processo, limitata alla sola gestione della trasmissione degli atti, avrebbe dovuto avere il compito di esaltare l’oralità processuale che oggi, diversamente da ieri, può utilizzare le nuove tecnologie che non richiedono la compresenza fisica, bensì solo virtuale, degli operatori del processo nello stesso luogo.

Dagli atti parlamentari, invece, la richiesta dell’introduzione del doppio binario (cartaceo e telematico) riporta al processo di ”carta” e, quindi, sostanzialmente al solo processo scritto. Anche in parlamento, quindi, pare definitivamente smarrita la “ratio” ispiratrice dell’utilizzo dell’informatica nel processo, così come, parimenti, pare non essere stato compreso che il PCT rappresenta, nella realtà attuale, il più grande esperimento, su scala nazionale, di “telelavoro” da sperimentare nella P.A.

Dagli stessi atti parlamentari risulta che le infrastrutture per il PCT sono obsolete e che la procedura non è allineata alla normativa della digitalizzazione. Scopriamo che chi ha elaborato l’architettura del PCT ha tenuto conto dei soli interessi del ministero e degli uffici giudiziari senza preoccuparsi degli utenti; che manca la formazione degli operatori amministrativi; che si è scaricato sugli avvocati l’onere economico dell’innovazione essendo il sistema di accesso alla giustizia passato dall’originaria “ intranet”, a carico del ministero della giustizia, a quella di “internet” con il conseguente corollario che applicativi e programmi di accesso al PCT a pagamento a carico degli utenti-cittadini, che così pagano due volte per avere lo stesso servizio giustizia.

Nel corso di questi mesi poi sono emerse criticità legate ad una non chiara ed univoca disciplina delle cosiddette anomalie di deposito che espongono gli avvocati ai rischi di incappare nelle dannose conseguenze della decadenza dei termini di deposito in ipotesi di malfunzionamento del sistema. A questo si è aggiunto il disorientamento provocato dalla contraddittoria Giurisprudenza sulla improcedibilità e inammissibilità delle domande causate dall’utilizzo irregolare ed improprio del PCT con il conseguente e inevitabile accollo di pesanti responsabilità professionali per gli avvocati. All’orizzonte, infine, sempre più minaccioso appare il rischio che molti processi possano essere definiti sulla base di allegati artatamente manipolati le cui falsità non potrà mai essere riscontrata sui vecchi monitor in uso agli uffici giudiziari e che pongono l’ulteriore problema della necessità, per il giudice, di poter riscontrare l’autenticità degli atti su cui basare la sua decisione.

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