IL CASO

Paradise Paper, Apple nella bufera: “Paghiamo ogni dollaro dovuto”

Anche l’azienda di Cupertino nella lista delle società con strutture segrete nei paradisi fiscali. La replica: “Nessun beneficio fiscale dalla modifica che punta invece ad assicurare la nostra solvibilità nei confronti degli Usa”

Pubblicato il 07 Nov 2017

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“Riorganizzazione fatta per preservare pagamenti tasse negli Usa”. Con queste parole Apple si difende dalle accuse di aver parcheggiato miliardi di dollari non tassati nei paradisi fiscali. Secondo quanto scrive il New York Times, citando i Paradise Papers e documenti segreti dello studio legale Appleby, con base nelle Bermuda, Apple avrebbe accumulato più di 128 miliardi di dollari di profitti offshore, che non sono tassati dagli Stati Uniti o da altri Paesi. Strategie come quella usata da Apple per l’isola di Jersey, e usate da altri colossi – secondo il Nyt – costano ai governi a livello mondiale circa 240 miliardi di dollari di entrate perse ogni anno, in base ai dati dell’Ocse. Apple avrebbe scelto Jersey dopo le indagini del Congresso americano sull’elusione fiscale e dopo il giro di vite lanciato dalle autorità irlandesi.

Secondo il team di giornali che sta svelando i dettagli dei Paradise Papers- oltre il Nyt ci sono Guardian, New York Times, Le Monde, Süddeutsche Zeitung e L’Espresso – la struttura segreta consentirà ad Apple di evadere miliardi in tasse. Apple smentisce però che la struttura abbia consentito di evadere e che “non ha ridotto i pagamenti in nessun Paese”.

La Mela ribatte con una nota articolata nella quale ammette l’esistenza della struttura a Jersey. Ma, rivendica di averlo fatto “esclusivamente per assicurare che gli obblighi e i pagamenti fiscali negli Stati Uniti non venissero ridotti”. Una linea, per inciso, che in futuro potrebbe beneficiare della volontà manifestata da Casa Bianca e repubblicani di tagliare le imposte federali sulle società, in contrasto alla web tax imposta dall’Unione Europea.

A Cupertino, però, dichiarano di dare priorità al principio secondo il quale “i profitti di un’azienda sono tassati in base a dove il valore è creato”. E siccome “la maggior parte del valore dei prodotti Apple viene creata negli Stati Uniti, dove vengono realizzati progetti, sviluppo, ingegneria”, Apple sostiene che la maggior parte dei tributi vada versata agli Usa. Dopo il trasferimento a Jersey, si legge pure nella nota, l’azienda “ha pagato miliardi di dollari di imposta statunitense sui redditi da investimento di questa controllata”. Inoltre “non c’è stato alcun beneficio fiscale per Apple da questa modifica e, soprattutto, questo non ha ridotto i pagamenti fiscali o le imposte di Apple in nessun Paese”.

In ogni caso, sottolinea la multinazionale della tecnologia, “il dibattito sulle tasse di Apple non si riferisce a quanto dobbiamo pagare, ma dove dobbiamo farlo”. E rivendica di essere “il più grande contribuente al mondo”: “Abbiamo pagato più di 35 miliardi di dollari di imposte sul reddito aziendale negli ultimi tre anni, oltre a miliardi di dollari in più di tassa immobiliare, imposta sul reddito, imposta sul reddito e iva”.

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