LO STUDIO

Pubblicità, Ad Blocking per il 13% degli italiani. Che accadrà al biz delle aziende?

Il dato scende al 7,6% per gli smartphone. Il 21% degli utenti web conosce la tecnologia di blocco ma la utilizza ad intermittenza. La fotografia scattata dallo studio Assocom, Fcp-Assointernet, Fedoweb, GroupM, Iab Italia e Upa: “Servono alternative che vadano incontro alle esigenze del mercato e alle richieste degli utenti”

Pubblicato il 28 Set 2016

F.Me

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L’Ad blocking in Italia vale il 13% del mercato pubblicitario ma il dato scende al 7,6% sul mobile. Lo rileva la ricerca “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia” promossa da Assocom, Fcp-Assointernet, Fedoweb, GroupM, Iab Italia, Upa e commissionata a Comscore e Human Highway.

Nel dettaglio il 21,9% degli utenti web italiani dichiara di conoscere e utilizzare in qualche occasione l’Ad blocking ma l’uso, per la maggior parte degli utenti, è tattico: si attiva/disattiva l’ad blocker e/o si inseriscono i siti in whitelist secondo opportunità e secondo i diversi device utilizzati.

Il risultato che ne deriva, a livello mensile, è che il 13% degli utenti Pc utilizza un Ad blocker su almeno uno dei propri browser. Questa è la vera incidenza del fenomeno dell’Ad blocking in Italia: utilizzato dal 13% degli utenti, riguarda il 15% delle pagine viste, dato che invece nella rilevazione diretta FCP-Assointernet, sui siti dei propri associati, evidenzia un’incidenza media dell’11% sui volumi di pagine.

Il fenomeno a livello di smartphone è limitato al 7,6% degli utenti. Il profilo degli utenti di Ad blocker è prevalentemente composto da uomini, giovani, studenti, persone con titolo di studio elevato e abitanti nei grandi centri.

Oltre agli utilizzatori attuali, il 12% degli intervistati ha dichiarato che potrebbe installare un Ad blocker in futuro. La ricerca permette di capire anche quali sono le motivazioni che spingono gli utenti verso gli Ad blocker. In primo luogo si usano gli Ad blocker a causa dell’impatto dell’ advertising sulla user experience di navigazione (formati invasivi, affollamento elevato, rallentamento nel caricamento dei contenuti). Nel caso dello smartphone invece sono prevalenti gli aspetti più marcatamente funzionali: consumo del traffico dati e della batteria da parte dell’adv.

A seguire gli aspetti relativi al planning pubblicitario (eccessiva frequenza degli annunci, pubblicità targettizzate poco o male) e, all’ultimo posto, motivazioni legate alla sicurezza/privacy.

Tuttavia installare un Ad blocker non significa utilizzarlo sempre. Spesso gli utenti installano gli Ad blocker solo su alcuni device/browser e ben il 63% degli utenti di Ad blocker ne fa un uso tattico, utilizzando “whitelist” per permettere l’erogazione di adv da parte di alcuni siti o mettendo in pausa l’ad blocker per accedere ad alcuni siti/contenuti. E ben l’ 81% degli utilizzatori di Ad blocker si dichiara disposto a rivederne il proprio utilizzo se un sito eliminasse i formati pubblicitari più invasivi.

Il 55% degli utilizzatori di Ad blocker non è a conoscenza del patto pubblicitario, ovvero del ruolo dell’advertising nel finanziamento dei produttori di contenuti fruiti dagli utenti online, spesso gratuitamente.

Portati a riflettere sul tema, gli intervistati mostrano una maggiore apertura verso un modello di finanziamento legato ad un’advertising meno invasiva e più in linea con i propri interessi, piuttosto che al modello di business più radicale dei servizi a pagamento.

“Il fenomeno dell’Ad blocking è presente in Italia e conosciuto dai consumatori, ma l’impatto per il mercato pubblicitario italiano è attualmente contenuto, attestandosi poco sopra il 10% dei volumi di consumo di internet sul PC. L’impatto è ancora più limitato su smartphone, il device che assumerà una quota di navigazione online sempre più elevata nel prossimo futuro e sul quale l’adozione degli Ad blocker è iniziata più tardi – spiegano le associaziini che hanno promosso lo studio – Tuttavia si segnalano prospetticamente alcune problematiche: l’incidenza specifica dell’Ad blocking su alcuni target difficili da raggiungere, che potrebbe parzialmente limitare l’efficacia delle pianificazioni online delle aziende interessate a tali target; lo spazio di crescita del fenomeno se non verranno offerte risposte al disagio degli utenti e il rischio di un “contagio” dell’ Ad blocking dal PC allo smartphone; la percezione critica da parte degli utenti di alcuni formati video, un comparto che sta trainando lo sviluppo del mercato dell’online advertising”.

“In questo senso l’intera industry pubblicitaria è chiamata ad uno sforzo di miglioramento di sistema, per darsi regole sostenibili e condivise ma che al contempo diano risposte concrete ai segnali di disagio mostrati dagli utenti. E i singoli player che sapranno raccogliere la sfida di un ambiente online più user friendly potranno contare su importanti aperture di credito da parte degli utenti, che spesso si ritrovano a installare gli Ad blocker in mancanza di alternative che ne rispettino il diritto ad una navigazione piacevole – concludono – Non secondario sarà il ruolo delle associazioni nel promuovere il valore dell’advertising e il patto pubblicitario online, che viene riconosciuto da meno della metà degli utilizzatori di Ad blocker. Le prossime wave della ricerca, a partire da quella in previsione a fine ottobre/inizio novembre, ci daranno le prime indicazioni di trend del fenomeno dell’Ad blocking sul mercato italiano”.

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