L'INTERVISTA

Purassanta (Microsoft Italia): “Stop alla fuga di cervelli”

L’ad della divisione nazionale del gruppo Usa: “L’Ict è leva di crescita per il Paese e offre enormi opportunità di lavoro. I nostri imprenditori ce la possono fare, anche senza andare all’estero”

Pubblicato il 26 Nov 2013

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“Gli italiani hanno grandi capacità imprenditoriali e grandi idee: per questo Microsoft Italia ha deciso di investire nel Paese, e in particolare nelle piccole e medie imprese, nei giovani e nella education. Siamo convinti che non c’è bisogno di andare all’estero per fare impresa”. A dirlo è Carlo Purassanta, amministratore delegato della divisione nazionale del gruppo statunitense, illustrando il progetto “Digitali per crescere” che punta a raggiungere capillarmente sul territorio un milione di Pmi e 200mila giovani italiani.

Dove volete arrivate?

Vogliamo incentivare occupazione e crescita facendo leva sulle potenzialità delle nuove tecnologie. In un Paese come il nostro, con ancora troppa incertezza sul miglioramento del contesto economico e produttivo, la tecnologia continua a rappresentare una leva di crescita economica e occupazionale senza pari. Le opportunità di lavoro offerte dalle tecnologie informatiche e di comunicazione sono enormi: si stima che entro il 2015 il 90% delle professioni in tutti i settori richiederà competenze tecnologiche. È perciò fondamentale che questa domanda trovi una risposta nella nostra società e che non manchino le persone qualificate per ricoprire i ruoli richiesti dal mercato.

Non è rischioso scommettere su un’Italia ancora in crisi e poco avanzata sul fronte tecnologico?

Gli italiani hanno caratteristiche uniche come capacità imprenditoriale, molto più che in altri Paesi del mondo. Poi hanno la capacità di passare dall’idea alla pratica, hanno capacità relazionali, sono in grado di recuperare meglio di altri dopo aver affrontato un problema: questo fa il Dna di un Paese. Sono fattori essenziali ed abilitanti per il futuro dell’Italia. È vero: mancano ancora le infrastrutture e, più in generale, un contesto adeguato, però noi crediamo che questo si risolverà per il fatto stesso di essere all’interno dell’Unione europea. Con il tempo l’Europa potrà fare da traino e nei prossimi 10 anni l’Italia cambierà anche nelle infrastrutture e nelle leggi. Per questo vogliamo dire alle imprese che, se intendono tornare in cima alla classifica internazionale, è possibile farlo qui, senza dover andare in Cina o altrove.

Capacità imprenditoriale: la stiamo coltivando nel modo giusto?

Ci sono tanti startupper che cercano di fare. Gli italiani si devono riappropriare del senso di imprenditorialità che li ha contraddistinti per secoli. Dobbiamo riprenderci in mano la voglia di fare impresa. Il tasso di persone che escono dall’università e che vogliono fare gli imprenditori, piuttosto che essere dipendenti, rimane alto in Italia. Ma negli ultimi anni è diminuito del 10%. Non va bene. Negli Stati Uniti il 60%-70% dei lavoratori è self employed. Noi in Italia abbiamo 6 milioni di aziende, dovremmo avere molte più start up, ma in realtà ne abbiamo appena 2mila. Ce ne vogliono mille volte di più.

È anche per questo che Microsoft ha deciso di puntare su Pmi, università e giovani?

In Italia si è investito finora in informatica circa la metà rispetto ad altri Paesi europei o agli Stati Uniti, perciò abbiamo pensato che, se cominciamo a utilizzare il digitale come acceleratore della crescita, abbiamo davanti a noi un’autostrada di opportunità. Dato che l’Italia ha un’economia “granulare” sul territorio, abbiamo scelto di portare le idee il più vicino possibile alle imprese che poi dovranno utilizzarle, piuttosto che nelle solite Milano e Roma. Ci è poi venuto in mente di farlo con le università come doppia scommessa: dare elementi di formazione alle aziende ma anche permettere agli studenti di fare un passo dentro le imprese in vista del loro futuro lavorativo. Allora abbiamo deciso di portare all’interno delle università un laboratorio di esperienza digitale con pc, tablet, applicazioni, e in sostanza con delle “storie”, dei progetti, formare un certo numero di studenti su queste “storie” e poi organizzare le “giornate di innovazione” durante le quali un nostro partner porta clienti negli atenei in modo che interagiscano con gli studenti. In questo modo si generano idee e progetti e le aziende possono approfondire temi a loro cari: come accedere al credito, come internazionalizzarsi, come vendere attraverso l’e-commerce, come sviluppare un’applicazione sullo smartphone o come farsi pubblicità sui dispositivi mobili.

Ma i giovani potrebbero sfruttare l’esperienza con voi per progetti autonomi?

A noi interessa che siano portavoce di novità e che possano aiutare le Pmi a capire come usare tablet, pc, siti Internet o qualsiasi altro elemento informatico che si diffonderà da qui ai prossimi anni. Noi li formiamo per aiutare le aziende ma anche perché diventino professionisti dell’informatica. Organizzeremo corsi specifici per spiegare cos’è un progetto informatico e in prospettiva, se lo desiderano, avranno la possibilità di collaborare con noi. Per esempio potrebbero scegliere un progetto di tesi attinente alla digitalizzazione e alla trasformazione di impresa: da un punto di partenza può scaturire la partecipazione a progetti, per esempio in forma di stage remunerati.

Agli inizi di ottobre Google ha annunciato un piano per valorizzare le eccellenze e le competenze digitali dell’Italia. Analogie con la vostra iniziativa?

È giusto che lo faccia Google, così come noi o anche altri. Non ci interessa l’esclusività di un’iniziativa: se c’è un’altra impresa dell’informatica che vuol fare la stessa cosa e investire nelle stesse università, o in altre, ben vengano perché l’opportunità è enorme e l’uscita dalla crisi è essenziale. Non possono riuscirci soltanto Microsoft o soltanto Google: è importante agire tutti insieme. Si parla spesso di Agenda Digitale: Agenda vuol dire “fare”. Noi preferiamo fare le cose.

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