IL REPORT

Quadrato della Radio: “Telco nel guado, il futuro si gioca su big data e new skill”

L’associazione presieduta da Stefano Pileri in pole position sul tema delle competenze: “Puntiamo a dare contributo alle politiche di indirizzo per lo sviluppo del capitale umano”. La data economy opportunità per tornare alla crescita

Pubblicato il 27 Mag 2019

digital_604231253

Spingere sulle nuove competenze e sul reskill e estrarre valore dai big data per tornare a generare revenues e non farsi schiacciare definitivamente dai “Famga”, alias dal quintetto Facebook, Apple, Microsoft, Google e Amazon. È su questi due pilastri che si gioca il futuro delle telco italiane (e non solo) secondo quanto emerso dal convegno annuale del Quadrato della Radio, l’associazione presieduta da Stefano Pileri. La kermesse, andata in scena nel “campus” di Orvieto di Vetrya, azienda sponsor dell’edizione 2019, come da tradizione ha riunito a dibattito soci ed esperti del settore per fare il punto sull’andamento del settore delle Tlc nel nostro Paese e soprattutto per delineare la roadmap operativa dei prossimi mesi tenendo conto delle sfide che attendono il settore e dell’evoluzione tecnologica.

Il tema delle competenze è stato indicato dai più come quello più “urgente” da affrontare. Anche perché il gap Nord-Sud si sta facendo sempre più forte in particolare sul fronte delle iniziative legate al piano Industria 4.0.  A tal proposito l’Associazione ha deciso di farsi promotrice di un’iniziativa – sotto la responsabilità del Segretario generale Salvatore Improta – che punta a dare un contributo fattivo alle politiche di indirizzo per lo sviluppo del capitale umano con l’obiettivo di spingere la digital transformation delle telco in primis ma anche di tutte le aziende italiane, con un’attenzione particolare alle pmi, facendo leva anche sulla formazione accademica. Non a caso l’evento di Orvieto ha fatto da palco alla proclamazione dei vincitori del Premio dedicato alle tesi di laurea “innovative”: sul podio Francesca Ponti della Sapienza di Roma, per la sua tesi sul deep learning per l’analisi di immagini georadar e Mattia Brambilla del Politecnico di Milano per quella dedicata a un innovativo metodo di localizzazione cooperativa per migliorare le prestazioni del Gps.

A fare gli onori di casa il presidente del Quadrato della Radio Stefano Pileri e il presidente e Ad di Vetrya Luca Tomassini.

Stefano Pileri: “AI e blockchain i pilastri della digital transformation”

Il presidente del Quadrato della Radio e Ad di Italtel nel ripercorrere le tappe dei piani Industria 4.0 e Impresa 4.0 ha evidenziato l’importanza di continuare a sostenere i due progetti. “L’innovazione normativa è stata dirompente: con gli incentivi governativi non più a bando ma automatici si è data una spinta forte all’adozione di strumenti hardware prima e poi anche software da parte delle aziende italiane. Si è presa tardivamente coscienza del profondo skill gap sulle competenze stem, ma molta strada è stata fatta dal 2015 ad oggi in termini di consapevolezza. L’ammodernamento e l’innovazione delle nostre industrie manifatturiere è determinante per preservare e consolidare il nostro ruolo in Europa e nel mondo. Ma bisogna insistere anche su tutte le altre imprese, andando oltre il comparto industriale. È indispensabile puntare sugli abilitatori infrastrutturali che l’impresa deve avere in proprietà o in uso ma anche sui cosidetti digital enabler e sulla revisione dei processi. Le tecnologie che abilitano la trasformazione digitale crescono molto più della media di mercato. E intelligenza artificiale e blockchain crescono ancora di più. Quindi è in questa direzione che deve orientarsi la strategie delle imprese e devono concentrarsi gli investimenti”.

Luca Tomassini: “Le telco devono valorizzare i dati per vincere sfida con Ott”

Secondo il presidente e Ad del Gruppo Vetrya il vero ostacolo sul cammino italiano è rappresentato da una visione schizofrenica che da un lato spinge verso l’adozione di strategie votate alla digitalizzazione ma dall’altro ne rallenta lo sviluppo. “Il piano Industria 4.0 è partito bene ma poi è stato rallentato dalla politica. Ora c’è da giocare la partita 5G che rappresenta un asse portante dello sviluppo dell’Inustria e dell’Impresa 4.0. Il 5G però è un modello molto costoso soprattutto per gli operatori. È sostenibile? Ci si augura. Ma non bisogna dimenticarsi che la partita e il futuro stesso delle telco si gioca sui servizi. La vendita di voce e dati non può bastare. Ma le telco hanno tutte le carte in regola per valorizzare i dati come hanno fatto e faranno sempre di più gli Ott. La rete Internet disintermedia tutto e cambia i modelli economici e sociali, con posti di lavoro che vengono rimodulati. La catena del valore dunque è entrata profondamente in crisi. Per i nativi digitali la rete è un utility a tutti gli effetti e pari alle altre: dunque è sui servizi che bisogna distinguersi”.

Umberto de Julio: “Le telco dimostrino capacità di innovazione”

Il futuro delle Tlc? È fatto di luci e ombre secondo Umberto de Jiulio, presidente di Anfov. “Le luci arrivano dall’innovazione e le ombre dalla lettura delle trimestrali: fatturati e margini sono in diminuzione come conseguenza di una competizione sempre più agguerrita soprattutto sui prezzi. E di qui a 3-5 anni ci si troverà di fronte a sfide importanti a partire dalla realizzazione delle infrastrutture ultrabroadband. Il modello wholesale only di Open Fiber ha riscontrato consensi anche da un punto di vista regolatorio e sta riscontrando interesse anche in altri Paesi. E nel mondo del mobile si vanno prefigurando modelli di separazione delle infrastrutture, a partire dalle torri con Cellnex e Inwit che crescono e diventano attori sempre più importanti. La trasformazione digitale riguarda sia la capacità e la velocità con cui le tlc riusciranno a trasformarsi per guadagnare efficienza sia quella di posizionarsi sul mercato come abilitatori della trasformazione digitale delle imprese. Ad oggi gli operatori non hanno dimostrato grandi capacità su questo fronte. Un’altra importante sfida è quella delle economie di scala. Negli Usa, per non parlare della Cina e dell’India, competono pochissimi operatori mentre in Europa ce ne sono centinaia. Molte operazioni di acquisizione e merger sono state stroncata dall’inizio o sono stati messi paletti tali da non poter attuare il consolidamento come è avvenuto in Italia con la fusione Wind-Tre agganciata allo sbarco di Iliad. La Commissione europea non ha dunque favorito uno sviluppo più sostenibile. Ma c’è anche da dire che le telco, da parte loro, non hanno dimostrato fino ad oggi grande capacità di innovare per cavalcare il grande tema della trasformazione digitale e dunque migliorare il loro posizionamento. Saranno capaci di farlo in futuro? È questo il dilemma ed è qui la chiave”.

Maurizio Dècina: “Cloud chiave di volta, serve una politica di incentivi”

“Il cloud è la chiave di volta per le pmi italiane”: ne è convinto il presidente di Infratel Maurizio Dècina. “Fino ad oggi in Italia le politiche di incentivazione si sono concentrate sull’hardware, si pensi a quanto fatto sui decoder tv per fare un esempio, ma mai sui servizi. Ma in questa fase è indispensabile puntare sui servizi. La realizzazione dell’infrastruttura a banda ultralarga resta la priorità, perché senza una rete efficiente è impossibile il salto di qualità sul fronte dei servizi. Ma non bisogna sottovalutare l’incapacità delle aziende, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, di comprendere realmente i benefici derivanti dalla virtualizzazione di una parte cospicua di attività. Il messaggio non è arrivato appieno e il problema culturale resta forte. Per non parlare della mancanza di competenze adeguate e sull’importanza delle nuove sfide legate alla cybersecurity. È per questo che serve un intervento normativo accompagnato da incentivi. L’obbligo della fatturazione elettronica ha generato l’adozione dello strumento e ci ha fatto avanzare nelle classifiche internazionali. E anche sugli open data l’Italia ha dimostrato di potersi trasformare in una best practice. Ora bisogna puntare sul cloud. I “Famga” (Facebook, Apple, Microsoft, Google e Amazon), campioni del cloud, fanno il 70% del traffico di internet le stime di qui ai prossimi anni li vedono andare verso il 90%. Gli standard dunque li decidono loro.E con l’avvento dell’Iot aumenterà il problema della cybersecurity. Dunque è necessario che le aziende si organizzino e che si dotino di piattaforme in grado di trovarli pronti alle nuove sfide. Le telco stesse dovranno fortemente riorganizzarsi: sono le più lontane dalla digital transformation che significa agilità, orchestrazione, postazioni fluide, massimo uso di smartphone e applicazioni. Già oggi senza intelligenza artificiale non può esserci manutenzione e gestione delle infrastrutture di Tlc. Le analisi che vengono fatte mostrano che si può attaccare la rete a tutti i livelli nell’edge computing e anche le interfacce core possono essere attaccate per non parlare del cloud. L’intelligenza artificiale sarà il pilastro del 6G ed è in questa direzione che devono evolversi le telco”.

Mario di Mauro: “Un’industria che distrugge valore non può stare in piedi”

“L’industria delle Tlc ha bisogno dell’impegno di tutti e di uno switch culturale profondo”: questa la tesi di Mauro di Mauro, Ad di Sparkle. “L’ottimismo si costruisce su un sano realismo. Abbiamo di fronte un decennio che sarà segnato dal 5G e deve rappresentare una svolta. Nel decennio alle spalle le cose non sono andate bene. Nel 2007 il mondo è cambiato con l’arrivo dell’iPhone, che avrebbe dovuto rappresentare prospettive di sviluppo per le telco ma così non è andata. E la crisi che si è innescata nel 2008 ha messo il carico da novanta e le telco hanno pagato un prezzo altissimo. Un’industria che distrugge valore non può stare in piedi e quindi deve trovare una svolta. E peraltro il fenomeno è comune in molti Paesi. E non soffrono solo gli incumbent ma tutti gli operatori al netto delle eccezioni. Nel 2018 il rendimento del capitale è diventato minore del discount rate, con ritorno di 1,7 punti sotto il costo del capitale. Il Roi del settore telco in Europa è oggi nella parte bassa della coda, superiore solo a real estate, utilities ed energy. Se nel prossimo decennio la sfida sarà quella sostenibilità allora bisognerà rimettere a posto i tasselli: non possono essere le telco a pagare per tutti, è evidente che c’è qualcosa che non va nella regolamentazione, siamo di fronte a politiche asimmetriche e non bisogna mollare la presa su questo punto. Gli operatori pagano licenze miliardarie contro Ott che non pagano nulla. E poi guardiamoci in casa: è ovvio che il rendimento del capitale se è così basso vuol dire che c’è troppo capitale utilizzato a cui non si riesce a dare valore. Il rapporto capex e revenues è schizzato oltre il 20%. Per tornare alla sostenibilità bisogna puntare su quattro fattori: aumento dei ricavi, riduzione dell’opex, riduzione del capex intensity e miglioramento del mix (più intelligenza nelle reti, piattaforme di servizio e digitalizzazione processi). Il valore dei nuovi mercati verticali del 5G al 2029 è stimato in crescita di 6,2 miliardi di euro. Il 5G dovrà essere dunque anche politica industriale con piani veri, almeno di durata decennale. Ma le telco non possono più vivere la digitalizzazione come minaccia. È invece un’opportunità e l’investimento non può concentrarsi solo sull’accesso. Bisogna lavorare sul delivery e il provisioning, per clienti soddisfatti che non vadano dagli Ott. La telco deve fare innovazione e innovare è un tema culturale. Bisogna abbassare il capex storico e aumentare il capex intelligente”.

Federico Protto: “Fare chiarezza sui modelli per attrarre investitori”

“Lo scetticismo degli investitori e dei fondi è sul capex. Le componenti infrastrutturali e i servizi e cloud sono mixati e non si capisce su cosa investire. Per attrarre investitori bisogna dunque fare chiarezza sui modelli e investire più sull’abilitazione dei servizi che non sull’infrastruttura pura”. Questa la vision di Federico Protto Ad di Retelit. “Le telco hanno distrutto valore in Europa ma non in Usa e Cina. Il declino della capitalizzazione delle telco nel 2012 è stato del 43% per le europee, per 150-200 miliardi di capitalizzazione cumulata. Se è così vuol dire che non è il business ad avere dei problemi ma è la gestione del business. L’Europa è troppo frammentata, 400 operatori sono troppi e non c’è confronto con Usa e Cina. Il commissario Vestager ha bloccato deal di consolidamento in nome della concorrenza, ma la concorrenza aiuta l’utente finale nel medio periodo mentre nel lungo distrugge valore per tutti. Per la fruizione dei servizi Ott chi si sobbarca l’onere è la telco. Il costo del servizio è tutto nelle mani della telco che viene remunerata ma in minima parte. I Famga sono voraci e si stanno attrezzando anche sul fronte delle reti: Facebook ha cavi nel Mediterraneo e Amazon arriverà sulla parte backbone. La preoccupazione però non è nel backbone ma nell’accesso. Un accesso dato a costo marginale e residuale può provocare un danno enorme: non siamo riusciti a intercettare la grande componente di valore degli Ott e ora vengono anche a ‘mangiare’ a casa nostra. Il cliente finale corporate non sa cosa gli sta succedendo. Il cio delle aziende clienti è una persona che nel migliore dei casi capisce cosa gli sta succedendo ma se gli si chiede cosa succederà da un punto di vista della richiesta infrastrutturale, giga necessari, capacità di calcolo, terabyte di storage, non lo sa. E allora servono modelli di gestione flessibile delle reti, modelli tecnologici e non commerciali che consentano di fare fronte alle necessità. L’innovazione deve ripartire da qui”.

Marco Brancati: “Dati in tempo reale il new business della space economy”

“Oggi le nuove tecnologie consentono un salto quantico rispetto al passato. E per la space economy si aprono importanti opportunità”. Marco Brancati, Cto di Telespazio ga il punto sui cambiamenti in atto legati alla partita dei servizi anche nel settore “spazio”. “Il cambiamento di rotta c’è stato quando il comparto ha intuito le potenzialità del business dei servizi in mobilità. E quando tre anni fa è stata varata una legge per la new space economy i player sono stati di fatto sollecitati a rivisitare il loro portfolio prodotti in ottica di rafforzamento nazionale e soprattutto globale. Non va dimenticata la favorevole congiuntura a livello globale: lo spazio non è più popolato da satelliti singoli ma da costellazioni. E nella seconda generazione di costellazioni le infrastrutture vengono messe in orbita con dimensione per singolo satellite minore e capability maggiore e senza ground segment dedicato, quindi senza infrastruttura di terra e relativi capex. Questa congiuntura rappresenta il cuore del nuovo volano che fa leva sullo sviluppo ad esempio di nuove soluzioni di navigazione satellitare. Oggi il cliente non è più interessato a immagini dal satellite, ma ha bisogno dell’informazione complessiva. L’obiettivo è dare informazioni in tempo reale. L’approccio dunque è orientato ai servizi più che alle infrastrutture. È questa la nuova frontiera”.

Agostino Santoni: “La visione tecnologica va applicata a quella del Paese”

Semplici, aperte, programmabili e sicure: così devono essere progettate le piattaforme e le reti del futuro secondo Agostino Santoni, Ad di Cisco Italia. E queste devono essere anche le quattro parole guida della “strategia-Paese”. “Abbiamo ripensato il modo di progettare le piattaforme. Devono essere semplici, aperte, programmabili e sicure. E questa stessa visione deve combaciare con la strategia Paese. Come devono essere le smart city? Come devono essere le industrie? Qual è il concetto di PA innovativa? Se i quattro criteri diventano pilastri di strategia e di visione ecco che è possibile fare un salto di qualità attraverso obiettivi chiari e seguendo lo stesso faro per tutte le politiche e per tutte le azioni. La semplicità di esecuzione, il riuso delle applicazioni e delle tecnologie, la programmabilità delle stesse in ottica future proof e la sicurezza sono fattori critici di successo per ogni impresa, per ogni PA e dunque per il Paese intero. La realizzazione dell’ecosistema resta poi fondamentale per spingere la trasformazione digitale: il modello dell’ecosistema italiano del piano Industria 4.0 è diventato una referenza mondiale. Ma questa visione va ora estesa per portare il digitale in tutti i settori dell’economia”.

Francesco Sacco: “L’Europa sul software può trovare la quadra”

Le aziende italiane sono disposte a spendere per innovarsi? Mancano molte competenze, ma quanto si è disposti a investire? Questi gli interrogativi messi sul tavolo da Francesco Sacco, docente della Sda Bocconi. Secondo Sacco fra il dire e il fare ci sono di mezzo investimenti importanti in innovazione e tecnologia, accompagnati da altrettanti investimenti indispensabili per dotarsi di competenze ad hoc. “Quando si parla di Industria 4.0 la maggior parte dei grandi paesi vanta un proprio piano nazionale. Ma l’Europa, che pure è stata pioniera in particolare con la Germania partita nel 2011, non ha capito dove concentrare gli sforzi. Fra le prime 500 aziende di Fortune, delle prime 20 europee in classifica nessuna è tecnologica. Ciò dimostra che l’Europa è perdente perché non si è concentrata sugli investimenti nelle tecnologie più innovative, che sono le uniche a fare la differenza. E anzi addirittura la tecnologia è spesso percepita come un pericolo al business. Come si può dunque creare valore se si segue questa teoria? Anche sul fronte delle competenze la questione è cruciale: lo stipendio medio di un data analyst e di 200mila euro l’anno, quante aziende in Europa e in Italia sono disposte a spendere per dotarsi di queste figure? Il gap c’è già, la domanda da parte delle aziende sta aumentando, ma alla prova dei fatti quanto si crede davvero nell’innovazione? Per generare valore nel campo dell’Industria 4.0 bisogna investire: è la conditio sine qua non. Il cambiamento sta nella capacità e nella forza di abilitare servizi innovativi. Ma non si può fare da un giorno all’altro. Le telco sono l’unica industria tecnologica del continente a non aver capito quanto fosse importante la partita dell’innovazione. Va fatta dunque una riflessione seria e creato un connubio forte fra industria e università che consenta di sfruttare appieno quanto di tecnologico si produce in Europa per integrarlo nel mondo della produzione e in tutti i settori dell’economia. Il mondo industria 4.0 è oggi soprattutto software e l’opportunità dunque è enorme. Ma va cercata una soluzione a livello europeo”.

Roberto Siagri: “Industria 4.0, l’IoT alla base della servitizzazione”

“L’IoT è alla base della servitizzazione. Ora si possono trasformare bit e dati prodotti alla periferia di internet in informazioni “azionabili” e conoscenza e generare revenues”: Roberto Siagri, Ad di Eurotech accende i riflettori sull’economia dei servizi. “Prima il modello di business era vendere ma nell’impresa della generazione real time è il servizio che conta non il prodotto. Una strategia che fa risparmiare il cliente e guadagnare l’impresa rende il business sostenibile. Dunque con l’IoT il cerchio si chiude. È in corso una fondamentale traslazione del modello di business: siamo alla servitizzazione in cui la value proposition è completamente differente. Sta accadendo in quasi tutte le industrie e su scala globale. Il pil dell’Italia è per il 70% fatto di servizi, la componente industriale vale il 30%. I servizi non sono nemici della produzione ma il servizio deve esserne parte integrante. Secondo le teorie di evoluzione sociale si parte dal risolvere i bisogni di base, poi quelli tangibili e infine quelli intangibili: dunque l’evoluzione verso i servizi è ineludibile. La crescita la si ha se si entra nell’industria dei servizi. Nella quarta rivoluzione industriale l’approdo è l’economia del servizio”.

Luca Attias: “L’emergenza digitale è l’unica di cui l’Italia non è consapevole”

“L’emergenza digitale è l’unica di cui l’Italia non è consapevole. Eppure è l’unica che se affrontata consentirebbe di gestire tutte le altre”: Luca Attias, Commissario straordinario Agenda digitale, considera ancora pieno di ostacoli il cammino italiano verso la piena digitalizzazione. “L’Italia e la digitalizzazione hanno un rapporto difficile. Il tema è di consapevolezza. In ambito PA le applicazioni sono replicate all’infinito e l’emergenza digitale è l’unica di cui l’Italia non è consapevole. In Italia serve un processo di sanificazione: la vision deve essere sanificare non risparmiare e quindi bisogna riorganizzare risparmi e investimenti. Il protocollo d’intesa firmato con la Corte dei Conti è una leva importante: molte PA non conoscono il Team digitale e non bastano le circolari e le scadenze a convincerle a passare all’azione. Ma se l’azione parte dalla Corte dei Conti allora il messaggio può diventare più incisivo. Imporre con la ‘forza’ non è mai una buona strada, ma in molti casi può diventare indispensabile se l’obiettivo è quello di fare davvero l’Italia digitale”.

Giancarlo Capitani: “Siamo entrati nella fase 2 della digital transformation”

“Dopo l’accozzaglia di progetti pilota ora siamo entrati in una fase governata da piani e visioni. Abbiamo imboccato il sentiero”: Giancarlo Capitani, Ad NetConsulting evidenzia le “sinergie crescenti fra i vari segmenti del digitale. Si sta costruendo un mondo attorno ai servizi di comunicazione che sta crescendo molto. Il 5G è l’infrastruttura abilitante per la trasformazione digitale delle imprese in Italia, ha il potenziale di abilitare progetti di sistema e solo in questa declinazione può esprimere il suo valore di motore di crescita. Dunque può essere il grande connettore di progetti ad oggi ancora percepiti come focolai di innovazione. Non va dimenticato che il digitale ha contribuito a creare gap, tecnologici e territoriali. Da una visione di connettività bisogna dunque passare a una visione di Italia connessa: bisogna cambiare la visione affinché il 5G diventi il motore di una nuova politica industriale andando a portare benefici ai settori verticali, alle smart cities e alle aree non urbane. Ma non basta la visione top down, bisogna ripartire dai territori. Una copertura totale deve facilitare l’utilizzo del potenziale del 5G correlata alle specificità dei territori e non calata dall’alto come modello nazionale unico. L’obiettivo deve essere di governare il sistema dell’offerta: in Italia c’è una forte natalità spontanea di giovani imprese orientate all’innovazione, solo nelle fintech ce ne sono 300 e stanno erodendo mercato ai grandi system integrator e alle società di servizi e nonché alle banche proprio perché manca l’ecosistema. Il tema delle competenze poi è un tema di emergenza paese. Stiamo prendendo un abbaglio quando pensiamo che siano solo gli Ott a sottrarre business alle telco perché nel 5G stanno entrando altri soggetti. Vince chi raggiunge i clienti, vince chi punta sui servizi”.

Federico Butera: “Il futuro del lavoro dipende dall’innovazione dei contenuti”

“Il futuro del lavoro dipende in gran parte dall’innovazione nei contenuti del lavoro. Le nuove tecnologie sconvolgono l’esistente ma solo la progettazione disegnerà le nuove organizzazioni, imprese, città, società e soprattutto la qualità e quantità del lavoro. Lo sviluppo dei nuovi ruoli mestieri, professioni e l’apprendimento di nuove competenze è il campo della cooperazione attiva fra le imprese, istituzioni sistema educativo”. Questi i tre assi su cui poggia la nuova teoria del lavoro secondo il sociologo Federico Butera. “Questo approccio ribalta l’attuale dibattito: dagli effetti delle tecnologie si passa alla progettazione e allo sviluppo. Sono quattro i livelli di intervento: politiche industriali, a livello europeo, nazionale e territoriale orientate a favorire cambiamenti strutturali, adatte a un’economia aperta; politiche sociali attraverso nuovo welfare, riconversione professionale, protezione fasce deboli, inclusione, formazione;  progettazione integrata di tecnologie, organizzazioni, lavoro a livello delle imprese, delle PA, delle città; partecipazione delle persone e degli stakeholders coinvolti nei processi di innovazione con un ruolo propositivo di imprese, sindacati, sistema educativo.

Silvia de Fina: “Il vero petrolio non sono i dati ma il capitale umano”

“Il digital mismatch è un happy problem perché rappresenta un segnale positivo: quantomeno sul fronte della domanda aziendale sta cambiando qualcosa e c’è una consapevolezza che fino a qualche anno fa non c’era”: Silvia de Fina di Italtel accende i riflettori sul tema delle competenze e annuncia il nuovo progetto del Quadrato della Radio: “Abbiamo un obiettivo ambizioso, vogliamo dare un contributo alle politiche di indirizzo per lo sviluppo del capitale umano per attuare la trasformazione digitale. Il tutto attraverso il colloquio con le istituzioni e i policy makers. Puntiamo ad attivare l’attenzione sul tema delle competenze che ha impatto su tutta l’economia. Nuove competenze e reskill saranno i temi sul piatto. Ci sono competenze introvabili soprattutto sul fronte Industria 4.0 e crediamo che bisogna guardare con interesse alle iniziative sul fronte Ai e big data. Il vero petrolio non sono i dati ma il capitale umano”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 5