L'INTERVISTA

Renga (Polimi): “Self booking e pacchetti su misura, il turismo si rilancia così”

Parla il direttore dell’Osservatorio Innovazione digitale nel Turismo del Politecnico di Milano: “Il Piano di Franceschini è un buon punto di partenza”. E sulle piattaforme di sharing: “Sono un valore ma non ne diventiamo schiavi”

Pubblicato il 03 Mar 2017

Federica Meta

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Sul turismo digitale l’Italia può e deve fare di più. Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Innovazione digitale nel Turismo del Politecnico di Milano, promuove il Piano strategico per il Turismo ma avverte: “Ora serve un impegno di sistema”.

Il giudizio sul Piano è sostanzialmente positivo?

Già avere un piano strategico è positivo di default. Ancor più se l’enfasi è sul digitale. Ma il nostro Paese deve lavorare sul fronte innovazione in modo prioritario sia coinvolgendo i grandi campioni esteri sia stimolando fortemente l’imprenditoria italiana.

Ha notato degli elementi di debolezza nel Piano?

Bisogna fare di più sul fronte dei flussi turistici digitali coinvolgendo appunto tutti i player del settore: dalle strutture ricettive alle agenzie, passando per i tour operator. È chiaro – lo certifica anche la ricerca dell’Osservatorio – che il turismo italiano sta crescendo soprattutto grazie alla componente digitale (+8%) che ormai corrisponde a un quinto del transato totale, e i turisti stessi utilizzano moltissimo il digitale in tutte le fasi del viaggio, non solo per l’acquisto (si parte dall’88% del pre-viaggio, si passa al 45% durante il viaggio, arrivando al 39% nel post viaggio). Eppure, molto è ancora da fare: oltre il 50% delle attività ricettive e della ristorazione del nostro Paese non sono presenti sui portali Internet che raccolgono le recensioni degli utenti, non invitano i clienti a pubblicare i loro giudizi e spesso non rispondono a recensioni negative che rischiano di influenzare pesantemente chi sta pianificando la propria vacanza. Riguardo le strutture ricettive, nello specifico, le oltre duemila realtà rappresentative delle varie anime della ricettività italiana che hanno partecipato alla nostra indagine hanno rivelato un utilizzo elevato degli strumenti digitali di promozione e relazione con i clienti in tutte le fasi del viaggio, mentre nella gestione dei processi interni il digitale non svolge ancora un ruolo primario.

Come intervenire dunque?

E’ urgente colmare il disallineamento tra varie componenti della domanda e dell’offerta digitale per migliorare la competitività di tutto il settore, anche nei confronti di un mercato, come quello business, sempre più propenso a utilizzare strumenti di self booking e in cui è in atto un principio di consumerizzazione. Su questo fronte siamo messi male seppure ci siano spinte molto positive provenienti, però, da singole realtà. Il nostro Paese sconta, in particolar modo, l’antiquata gestione delle promozioni e dei pacchetti; gestione che denota la totale mancanza di competenze digitali nel settore. Spesso si pensa che sia l’agricoltura il comparto più resistente all’innovazione e invece lo è di più la filiera turistica.

In questo quadro c’è un ruolo che possono svolgere le piattaforme digitali, anche quelle di sharing?

Il turista, l’abbiamo misurato, è molto digitale – molto più della filiera – e dunque le piattaforme hanno e avranno un ruolo certamente fondamentale. Sarà sempre meno possibile farne a meno. Ma la loro necessità non deve innescare processi di sudditanza verso quel modello. Serve invece una sana cultura digitale diffusa sugli strumenti digitali che consente di usare al meglio gli strumenti che queste piattaforme mettono a disposizione, senza però lasciare troppo valore. Anche agendo con forme di aggregazione intelligenti. Nelle nostre analisi, ad esempio, abbiamo visto che un utilizzo corretto della comunicazione digitale da parte di una struttura ricettiva media, può portare a risparmiare oltre 90mila euro all’anno di commissioni.

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