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Rovizzi: “La sfida compliance”

L’Ad di Open Gate Italia: “Aiutiamo le aziende a diventare un good corporate citizen nel rispetto delle regole. Certo i cambi repentini di quadri normativi non aiutano il business”

Pubblicato il 30 Set 2013

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Talvolta sono più complesse le norme delle tecnologie stesse. Come risolvere i nodi della compliance? Ne parliamo con Laura Rovizzi, fondatrice nel 2007 di Open Gate Italia, di cui è Ad, società di consulenza per il business nei mercati regolati.

Come mai ha dato vita a Open Gate Italia?

Per fornire proprio il tipo di consulenza che ho sempre cercato sul mercato quando ero in azienda. Volevo creare una società che unisse competenze tecniche ed economiche a conoscenze sulla regolamentazione. Capisse cioè, rapidamente, di che cosa stavo parlando quando trattavo temi tecnologici complessi e fosse in grado di tradurre i bisogni nel linguaggio delle istituzioni e dei diversi interlocutori.

Prima di passare dalla parte del “fornitore” per quale “cliente” ha lavorato?

Il mio percorso nell’IT inizia all’estero, con gli studi di economia industriale. Dopo un master in Economia della concorrenza in Inghilterra sono rimasta a lavorare alla London Business School per poi passare alla Columbia University. Al momento della liberalizzazione delle Tlc in Italia, però, mi chiamò Francesco Caio, in Omnitel per occuparmi degli aspetti di compliance del business appena lanciato. Poi passai a Olivetti, Telemedia, Infostrada, Enel e partecipai alla creazione di Wind, dove sono stata il direttore della Strategia e Regolamentazione.

È abituata alle grandi iniziative di start-up dunque.

Sì, tutta la mia carriera è un nuovo continuo inizio. Oggi, per esempio, seguiamo grandi e piccole imprese del settore, ma anche molte società straniere a cui cerchiamo di “aprire i cancelli” dell’Italia.

E come vedono la regolamentazione italiana?

Molti, in particolare è successo nel settore televisivo, sono preoccupati, se non addirittura terrorizzati. Open Gate Italia ha aiutato molte imprese, ma ci sono numerosissimi content provider che avrebbero voluto entrare nel digitale terrestre, ma la regolamentazione troppo complessa li ha fermati. Non è un fatto economico. L’investimento non è elevato, eppure si spaventano di fronte alle barriere italiane, alle difficoltà ad operare e a capire le istituzioni. È difficile spiegare perché ogni due anni qualcosa può cambiare nel loro business e può modificare radicalmente il loro assetto. Nelle telco il mercato è più aperto, ma anche qui la complessità delle regole è elevatissima.

Cosa andrebbe fatto per sbloccare questa situazione?

Stabilizzare la regolamentazione, avere un quadro certo in cui operare. La normativa dovrebbe seguire cicli che siano adattabili ai business plan, con tempi di tre-cinque anni. Si pensi però a quanto ci arriva dalle direttive europee o dalle raccomandazioni sull’Agenda Digitale e alle conseguenti difficoltà di implementazione per le autorità di regolamentazione nazionale. Una cosa è certa: i cambi repentini di posizione non facilitano la pianificazione del business.

Come fare allora?

Bisogna assistere le imprese concretizzando le attività relazionali, sostenendole sotto il profilo tecnico e tecnologico, mettendole in grado di dialogare in maniera puntuale con interlocutori istituzionali. Come dice un nostro cliente americano, occorre aiutare ogni azienda a diventare “a good corporate citizen” nel rispetto delle regole, ma in grado di esprimere i legittimi interessi.

Quale tipo di assistenza vi viene più richiesta?

Ultimamente ci siamo occupati molto del riassetto frequenziale, ma è aumentata la richiesta di supporto in ambito di convergenza tra Tlc e Web. Ci hanno chiamato ad intervenire anche su questioni come la gestione del diritto d’autore, lo sviluppo della rete Ngn, l’apertura del mercato degli operatori mobili virtuali.

Cresce la domanda anche nel settore pubblico?

Sì, soprattutto a livello territoriale e regionale dove si devono affrontare la creazione della rete Ngn e il superamento del digital divide. Temi industriali, ma fortemente legati a vincoli regolamentari.

Nelle Tlc e nell’Ict c’è un eccesso o difetto di regolamentazione?

Ho sentito Christine Lagarde, durante il recente workshop annuale Ambrosetti di Cernobbio, sostenere che in Europa vi sia un eccesso di regolamentazione e che questa stia bloccando molti settori. Io credo, invece, che nel settore Tlc e televisivo la regolamentazione sia proprio lo strumento per garantire le liberalizzazioni. È eccessiva soltanto quando diventa sinonimo di cavilli, regole o regolette.

Per esempio?

I casi sono molti. Uno recente: la regolazione dell’Lcn, ovvero la numerazione automatica dei canali. In Europa è molto più semplice. Un altro è quello del mercato della telefonia mobile, dove non rimane molto spazio per gli operatori mobili virtuali. Possono arrivare alla quota di mercato del 5%, molto lontano da quanto avviene altrove.

E a proposito dell’Ngn e del monopolio sul rame?

Qui ci vuole il bilancino, solo una battuta: è semplicistico pensare che non regolando il rame si favoriscano gli investimenti sulle nuove tecnologie. La posizione di Neelie Kroes è parziale e la posizione di Bruxelles un po’ tirata. Certamente, se mancano i budget alla fine la portata dei nuovi progetti nell’Ngn non potrà che essere limitata.

Sembra, tuttavia, che le nostre Authority abbiano poteri limitati per cambiare le cose…

Non credo sia così: le Authority di settore indipendenti sono preziosi bacini di competenze e hanno grandi spazi di azione. Le abbiamo ereditate dalla tradizione anglosassone e si trovano di conseguenza a operare in un contesto di diritto amministrativo assai differente. L’efficacia regolamentare ipotizzata dagli economisti industriali è, purtroppo, troppo spesso, bloccata dai tribunali amministrativi. A volte prevale la cosiddetta regulation by litigation. Non possiamo che muoverci dentro questo sistema.

Come vede, invece, il team di lavoro nominato da Enrico Letta per l’Agenda digitale?

Bene, ma con qualche riserva sui tempi. L’avocazione di questo tavolo è stata la scelta migliore possibile, anche rispetto alle persone coinvolte. Positiva anche l’attenzione posta sulla politica industriale e l’opportunità lasciata ai saggi di dettare le linee guida ai molti ministeri coinvolti. Ho qualche preoccupazione, invece, sui tempi da rispettare: la prima scadenza per impegnare i fondi europei è il mese di dicembre 2013.

Doveva esserci a capo un donna?

La scelta di Francesco Caio è perfetta. Le competenze non sono una questione di genere.

In generale andrebbe dato più spazio alle donne nell’Ict?

Sì, non posso non rimarcare che anche in questo settore la necessità di sfondare il soffitto di vetro nelle telco, così come in altri settori, è un tema reale. È falso che le donne non ci siano: semplicemente non vengono scelte.

E servono regole?

Anche qui: regolare per liberalizzare. È il mio motto!

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