L'INTERVISTA

Sacco: “Ict, l’Italia punti in alto”

“Serve una vision votata alla rivoluzione”, è la ricetta del managing director di Enter-Bocconi. “Progetti che provocano poco cambiamento non servono”

Pubblicato il 17 Set 2012

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«L’Italia è veramente molto indietro sul fronte e-gov. E bisogna recuperare il divario con gli altri Paesi in tempi rapidi. Non solo perché ne va della competitività del Paese nello scenario globale, ma anche perché per uscire dalla crisi è necessario fare una volta per tutte il salto nel digitale. C’è bisogno di rivoluzionare i processi e puntare sui servizi innovativi». È una ricetta che passa attraverso lo switch off dell’“era” analogica quella di Francesco Sacco, Managing Director Enter-Università Bocconi e docente dell’Università dell’Insubria.

Professore, come stanno le cose?

Parliamoci chiaro: l’Italia è messa molto male. Siamo penultimi in Europa nell’utilizzo dei servizi di e-gov da parte dei cittadini e terzultimi se il campione analizzato è quello delle imprese. E le cose non vanno bene nemmeno per quel che riguarda la crescita della banda larga: la penetrazione dei collegamenti sopra i 10 Mb è pressoché pari a zero.

Dunque?

Dunque è necessario passare subito all’azione. E le opzioni sono due. Se vogliamo ripercorrere la strada già battuta allora basta andare avanti su quella tracciata dall’ex ministro Renato Brunetta. Progetti quali la carta di identità elettronica o le prescrizioni mediche online, tanto per citarne alcuni, sono senza dubbio utili, ma non servono a garantire la svolta. La seconda soluzione, quella a mio parere auspicabile, è azzerare tutto ossia ripensare i processi della PA progettandoli in chiave all digital. Abbiamo perso gli ultimi 20 anni: abbiamo usato Internet per innovare il minimo concesso. E così non siamo stati in grado di beneficiare dei vantaggi offerti dal Web in termini di spinta alla produttività e alla trasparenza. Il tempo perso va recuperato e siccome non possiamo più permetterci ritardi è necessario un salto che consenta di svecchiare la macchina una volta per tutte.

Riorganizzazione dei processi, può fare qualche esempio concreto?

Pensi al tema della fatturazione elettronica. Qui il punto non è convertire la carta in pdf: certo serve anche questo se si vuole risparmiare sui costi di spedizione, ma è un grande cambiamento? Al contrario, se le uniche fatture ammesse a termini di legge fossero quelle create centralmente su una piattaforma cloud gestita dalla PA, le fatture, una volta create, non solo dovrebbero essere spedite ma sarebbero immediatamente identificabili e recuperabili con enormi vantaggi. Niente più fatture false, niente più rischi per le banche di vedersi presentare più di una volta la stessa fattura allo sconto. Inoltre, le banche potrebbero smobilizzare più facilmente i crediti e per i parametri di Basilea 3, essendo accettate, sarebbero classificabili con livelli bassi di rischio. Per non parlare dei benefici sul fronte dei pagamenti non solo fra PA e imprese ma anche fra le imprese stesse: una volta creata, e quindi emessa, la fattura va pagata entro la sua data di scadenza che, se passata, comporta il carico automatico dell’interesse legale e una segnalazione per il tardivo pagatore. Insomma, se si va oltre la migrazione dal documento cartaceo a quello digitale inteso come una copia elettronica si possono avviare lunghe catene di trasformazione.

Fra le priorità c’è il documento digitale unificato, cosa ne pensa?

È un’ottima notizia, ma penso che anche in questo caso bisogna pensare in modo radicale: un documento che dia un’identità digitale ed eviti al cittadino di dover essere identificato più volte. Nel senso: non si può pensare che il documento sia valido per alcune operazioni e non per altre. Quando si progettano servizi di questo tipo bisogna fare lo sforzo di ragionare con una forma mentis digitale e puntare in alto: piccole modifiche, piccole novità, non faranno la vera differenza.

È dunque l’offerta che deve darsi da fare. Nonostante c’è chi pensa che sia la domanda di digitale a scarseggiare.

Il processo dal basso può essere accompagnato o indotto. Ma la rivoluzione deve partire dall’alto con una vision forte. Nella scuola, ad esempio, la questione non è tanto la diffusione degli e-book, ma la trasformazione della didattica tenendo conto delle potenzialità offerte dall’Ict.

Si ma ogni rivoluzione ha un costo. Spesso si parla di innovazione a costo zero ma le cose non stanno così.

Da un punto di vista tecnologico non sono necessari grandi investimenti. Con la prossima realizzazione dei data center, la PA sarà in grado di processare facilmente moli enormi di dati, più di quanto non faccia già adesso con le dichiarazioni dei redditi, per esempio. Infatti, in caso di riforme radicali, aumenterebbe il numero di operazioni fatte online, che però comporterebbero pochi Kb di traffico a testa. Piuttosto gli investimenti vanno fatti sul fronte dei processi: dobbiamo cambiare e ripensare da zero il modo in cui funziona l’amministrazione, online e offline. Ma sono investimenti necessari che si ripagano facilmente con i vantaggi che si ottengono sia da un punto di vista economico sia della qualità della vita.

Si potrà fare senza banda larga?

Trasformare i processi senz’altro, ma per beneficiare al massimo delle potenzialità dell’Ict la banda larga è indispensabile. Senza infrastrutture adeguate non sarà possibile ad esempio la diffusione dei video-servizi, penso alla videoconferenza, che potrebbe essere utilizzata anche per dare vita a sportelli pubblici innovativi in cui il cittadino prenota la discussione della sua “pratica” senza recarsi allo sportello. E poi c’è in ballo anche tutta la partita del telelavoro: senza reti ad alta capacità non sarà possibile sfruttare una modalità che crea enormi benefici per le aziende e che impatta sulla qualità della vita e dell’ambiente. Insomma, la fibra ottica non serve certo a scaricare dati ad alta velocità, ma piuttosto a garantire la qualità dei servizi, in particolare quelli basati sul video che rappresentano la frontiera dietro l’angolo. E l’Italia ancora una volta rischia di restare a guardare.

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