PUNTO DI VISTA

“Scorporo della rete Telecom necessario per la crescita del Paese”

La “ricetta” di Maurizio Matteo Dècina: “Lo spin off garantirebbe entrate allo Stato e faciliterebbe investimenti, anche pubblici, con impatti positivi sull’occupazione”

Pubblicato il 10 Nov 2014

Maurizio Matteo Dècina

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Bastano pochi numeri per capire la gravità della situazione nel nostro Paese: il tasso di disoccupazione giovanile è del 44% (esattamente il doppio della media europea al 22%), quasi un giovane su due senza lavoro. Immediatamente ci si chiede se ci sia qualche nesso con il settore delle Tlc. Non sono forse i giovani quella parte di popolazione più capace a lavorare nelle nuove tecnologie? Siamo inoltre agli ultimi posti della classifica europea per penetrazione di banda: l’accesso di nuova generazione in grado di fornire almeno 30 Mbps in download è disponibile per il 21% contro il 62% della media Ue. Ma a sorprendere è la quota effettiva di connessioni ad alta velocità (pari almeno a 30 Mbps): 1% contro il 21% dei Paesi dell’Unione nel 2003. (fonte: Rapporto UE sulla qualità di banda 2014). E pensare che nel 1995, esattamente 20 anni fa, c’era il piano Socrate. La storia di Telecom Italia è oramai nota a tutti. Una azienda che nel corso degli ultimi 15 anni è stata caricata di debiti (in seguito alle note Opa, Fusioni ed acquisizioni avvenute nel periodo 1999-2005) e privata dei suoi maggiori asset quali partecipate, immobili e anche dipendenti (oggi l’azienda ha 70.000 dipendenti in meno rispetto al momento di maggior splendore e rischia di perdere anche Tim Brasil). E le cose seguitano a peggiorare anno dopo anno a causa di molti fattori. L’azienda ha perso 8 miliardi di fatturato domestico negli ultimi sette anni.

Ma quali benefici potrebbe dare al Paese un progetto di scorporo della rete o un progetto di entrata dello Stato? Essenzialmente tre. In primo luogo la rete, ovvero l’asset di maggior valore dell’azienda, sarebbe messo in sicurezza. Questa misura eliminerebbe il possibile pericolo di azioni predatorie da parte di operatori esteri o gruppi azionari audaci. Lo statuto della nuova società sarebbe scritto ex novo garantendo la partecipazione al Cda anche ai dipendenti azionisti e alle minoranze. In secondo luogo lo Stato entrerebbe direttamente nel controllo della rete attraverso investimenti diretti o attraverso politiche monetarie espansive. In terzo luogo ci sarebbe una maggiore competitività nel settore dovuta a due fattori: la parità di accesso alla rete (Telecom accederebbe a parità di condizioni), ed il cambiamento della struttura interna di Telecom Italia che si trasformerebbe da “gestore della rete” a “gestore di servizi innovativi”. In questo caso però parallelamente allo scorporo lo Stato dovrebbe garantire il mantenimento dei livelli occupazionali con piani di finanziamento, controllo e realizzazione di nuovi servizi nei mercati emergenti quali l’internet delle cose, la domotica, la telemedicina, la teleassistenza ed in generale tutte le applicazioni settoriali come ad esempio la salvaguardia del Made in Italy.

Secondo i dati forniti dal regolatore delle Tlc, il valore della rete di accesso sarebbe di circa 12 miliardi di euro. In questo caso un investimento da parte della Cdp o di altri enti pari a 3 miliardi equivarrebbe al 25% delle quote azionarie della società della rete. Un investimento di questa portata è sufficiente a finanziare un numero di unità in larga banda (75% Fttc e 25% Ftth) pari a circa 7 milioni di linee, un terzo delle abitazioni italiane. Per avere una idea dell’impatto macroeconomico di questa soluzione basti pensare che secondo la Banca Mondiale, un 10% di penetrazione addizionale della larga banda ha un impatto sul PIL pari all’1,2%. A risultati simili arriva uno studio dell’Agcom in collaborazione con la Bocconi di Milano.

Stime sicuramente ottimiste. Al fine di realizzare una analisi puramente ed esclusivamente prudenziale, se si prendesse in considerazione solamente il 25% del valore di questi studi (ovvero che per ogni 10% di penetrazione addizionale della larga banda il PIL crescerebbe dello 0,3%) l’impatto sul Pil di 7 milioni di unità cablate sarebbe dello 0,78% con un impatto occupazionale relativo a una media di 80.000 unità per 10 anni (considerando il fatturato medio per addetto registrato dall’Istat). A questo impatto (non si tratta di nuovi posti di lavoro ma di fabbisogno occupazionale) da considerarsi come il risultato dell’aumento di produttività dovuto alla banda, va aggiunto l’impatto diretto della costruzione della rete; secondo l’ufficio studi di Asati pari a circa 40.000 unità lavorative dirette, indirette ed indotte attraverso il modello keynesiano reddito spesa. Numeri che denotano l’importanza del settore Tlc nell’ambito delle politiche di rilancio del Paese.

Ugualmente importante, oltre alla mozione di scorporo della rete del M5, è la proposta di legge presentata da Sel (Sinistra Ecologia e Libertà) e già firmata da 100 deputati che renderebbe obbligatoria la diffusione di servizi di accesso gratuito al wi-fi. La proposta riguarda tutti gli spazi commerciali (ristoranti, bar, alberghi…) di dimensioni superiori a 100m2 e gli spazi quali amministrazioni pubbliche, uffici postali, stazioni ferroviarie, aeroporti ed università. Da non escludere nel futuro anche autobus di linea e metropolitane. Si pensi ad esempio agli effetti sulla mobilità, sul telelavoro e sul turismo. La possibilità di utilizzare internet gratuitamente nei luoghi pubblici, oltre ad incrementare il traffico con gli effetti macroeconomici citati in precedenza, potrebbe avere un ruolo non trascurabile sul potenziamento dei mezzi pubblici a scapito di quelli privati e nello sviluppo del telelavoro per quei segmenti occupazionali di nuova generazione. Per quanto riguarda il settore turistico (siamo dietro a Spagna e Francia), se sono vere le statistiche che attribuiscono ai social network un ruolo chiave nella scelta della meta, risulta indispensabile che il “pellegrino” disponga di una rete gratuita ed ubiqua per inviare commenti e foto del viaggio in tempo reale.

Questo dovrebbe essere il giusto approccio in una situazione critica quale quella che stiamo vivendo oggi. A estremi mali estremi rimedi.

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