FISCO

Scorza: “Sbagliato usare il copyright per tassare Google & co.”

L’avvocato: “Non si può affrontare una questione di equità fiscale snaturando la disciplina sul diritto d’autore. Così la cura rischia di diventare peggiore del male”

Pubblicato il 05 Nov 2014

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Dalla Germania alla Spagna e dalla Spagna addirittura all’intera Europa. Corre veloce l’idea che per costringere Google e le altre grandi corporation di Internet a pagare qualcosa nei Paesi europei nei quali forniscono i loro servizi sia opportuno o, addirittura, necessario “creare” nuovi diritti d’autore come ha scelto di fare la Germania nell’agosto del 2013, la Spagna una manciata di giorni fa e come, ora, il neo Commissario Europeo alla digital economy e society, Gunther Oettinger annuncia di voler fare nel prossimo anno.

L’idea, nella sostanza – ed a prescindere da ogni dettaglio implementativo diverso da soluzione a soluzione – è quella di dar vita ad un nuovo diritto connesso ai diritti d’autore in forza del quale nessuno potrà utilizzare un link ad un altrui contenuto creativo senza una preventiva autorizzazione o, almeno, senza aver pagato un compenso che si tratti di un “equo compenso” calcolato forfettariamente o di un vero e proprio corrispettivo a fronte del rilascio di una licenza.

E’ una risposta sbagliata, inopportuna e pericolosa ad un problema reale e comprensibile. Il problema – attorno al quale è bene non girare troppo a lungo – è che l’Europa si è ormai resa conto, sebbene con un imperdonabile ritardo, che altri riescono a trarre dall’ecosistema digitale e telematico ricchezza che, sfortunatamente in Europa non siamo capaci di trarre per una lunga serie di ragioni che sono culturali, storiche e politiche e che – bisogna essere franchi – sono, figlie, in alcuni casi, della miopia con la quale si è governato il cambiamento epocale che si è registrato negli ultimi lustri.

La tesi di fondo, dunque, è che non è possibile continuare a permettere che Google, Facebook, Twitter e via via tutti gli altri giganti del web, continuino a far soldi a palate “sfruttando” i contenuti europei – specie quelli dei quotidiani pubblicati dai grandi editori – senza lasciare neppure un euro nel nostro caro, vecchio continente.

Una tesi che, naturalmente, aggrega facili consensi in Europa. Ma il punto non è questo. Il punto è che è sbagliato affrontare una questione di equità fiscale e di mercato – che, peraltro, riguarda essenzialmente una manciata di grandi corporation – snaturando la disciplina sul diritto d’autore e “piegandola” verso scopi ed obiettivi che, evidentemente, non le appartengono.

Nella società dell’informazione o nell’era dell’accesso come l’ha definita Jeremy Rifkin o meno prosaicamente ai tempi di internet, la proprietà intellettuale è la più pervasiva delle forme di proprietà esistenti ed ogni intervento sulla sua disciplina – a prescindere dalle ragioni che lo ispirano – produce effetti a catena e si ripercuote, inesorabilmente, nel quotidiano di milioni di cittadini, utenti della Rete che, ogni giorno, a vario titolo ed in contesti diversi, “maneggiano” contenuti digitali protetti da diritto d’autore.

Stabilire, ad esempio, che chi utilizza un link è tenuto a versare un compenso all’autore di quel contenuto come hanno scelto di fare Germania e Spagna e come, ora, pare intenzionata a fare l’intera Europa, pertanto, significa minare alla radice le dinamiche di funzionamento di Internet perché è evidente che una disciplina di questo genere – nata, nella sostanza, per obbligare Google News a riconoscere un qualche compenso ai grandi editori – produce effetti a valle tra le centinaia di migliaia di blogger, piccoli aggregatori di contenuti e piccoli editori online che sono, ad un tempo, utilizzatori di altrui link e produttori di contenuti oggetto di link.

Introdurre un nuovo diritto connesso al diritto d’autore in forza del quale per linkare un contenuto c’è bisogno dell’autorizzazione del suo autore e/o di pagare un compenso, significa legittimare centinaia di milioni di produttori di contenuto in tutta Europa ad esigere un pagamento a fronte del link ai propri contenuti da chiunque utilizzati perché, naturalmente, una volta entrati nella logica del diritto d’autore non si può discriminare tra il contenuti prodotto da un editore per le pagine del proprio giornale online e quello prodotto da un blogger e, magari, pubblicato sulle pagine dello stesso giornale.

L’uno e l’altro sono contenuti creativi e gli autori dell’uno e degli altri devono evidentemente avere eguali diritti. Ma è economicamente sostenibile un modello di circolazione dei contenuti online di questo genere?

E non basta. Anche a guardare alla questione dalla parte di chi utilizza i link, anziché da quella degli autori dei contenuti, è evidente che non si potrà chiedere ad un gigante come Google di pagare per l’utilizzo di un link, lo stesso compenso che si chiederà di pagare al più piccolo degli utilizzatori perché ciò che per il primo sarà poco più di un obolo, per il secondo potrebbe rappresentare una cifra inaccessibile.

E allora? Che si farà? Si elaboreranno tariffe sulla base dei click ricevuti da ogni link o, magari, sulla base dei visitatori delle pagine sulle quali il link è pubblicato come se davvero il link fosse un articolo, una foto digitale o un brano musicale?

Non sembra un modello sostenibile. La sensazione è che si stia cercando di far giocare alla disciplina sul diritto d’autore un ruolo di supplenza che non le compete, preoccupandosi di domani ma non di dopodomani ovvero con una miopia, purtroppo, eguale a quella che ha creato la situazione nella quale ci troviamo. La cura, insomma, potrebbe essere peggiore del male.

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