Se lo scoglio diventa il “fattore umano”

AirBnb, la Google Car, Uber. Le iniziative imprenditoriali che nascono sotto il cappello della sharing economy stanno rivelando una velocità impressionante di diffusione in tutto il mondo. Ma anche una altrettanto intensa capacità di sollevare polemiche proprio per la forza distruttrice che i modelli di business partecipativi portano con sé

Pubblicato il 11 Set 2015

Gildo Campesato

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«I problemi di Google car? Gli esseri umani»: è l’ironico titolo di un articolo del New York Times. In esso si sostiene che il comportamento non sempre ortodosso degli automobilisti della California – dove avvengono le prime sperimentazioni dell’auto che si guida da sola (figuriamoci cosa succederebbe in Italia!) – mal si concilia con un mezzo programmato per obbedire nel modo più pedissequo alle prescrizioni del codice della strada.

È un esempio di come il “fattore umano” possa diventare un ostacolo significativo allo sviluppo, se non addirittura decretare l’insuccesso delle iniziative imprenditoriali di rottura nate all’ombra della Silicon Valley. In particolare quelle che vanno sotto il cappello della “sharing economy”. Esse stanno rivelando una velocità impressionante di diffusione in tutto il mondo ma anche una altrettanto intensa capacità di sollevare polemiche a non finire proprio per la forza distruttrice che i modelli di business partecipativi portano con sé. Il caso più clamoroso è probabilmente quello di Uber.

L’entusiasmo con cui gli autisti estranei alla corporazione dei tassisti hanno aderito all’iniziativa è stato pari alle reazioni negative suscitate. Le foto delle auto bruciate nelle strade di Parigi ne sono l’emblema. Anche negli Usa non sono mancati guai e opposizioni. Persino nella stessa San Francisco dove un giudice ha dato ragione a un conducente che chiedeva di essere assunto da Uber. Se passa questo principio, rischia di saltare il modello di business di Uber, basato sull’intemediazione tecnologica e non sulla gestione (con tutti i costi relativi) del personale.

Non ha problemi di dipendenti, ma ha sempre problemi “umani” AirBnb. Non vengono solo dalla lobby degli albergatori, potente ma meno direttamente visibile di quella dei tassisti. Gli effetti collaterali dell’house sharing non riguardano solo gli alberghi ma anche le destinazioni d’uso di interi quartieri e dei centri storici. La spinta dei singoli individui sta creando una forza che impatta sulla tradizionale programmazione urbanistica europea. La reazione della sindaca di Barcellona ne è il segno più evidente. C’è da giurare che non sarà l’ultima.

Vecchie regole o nuovi mondi? Questi ultimi hanno un vantaggio che va oltre la giovinezza: sono i milioni di persone che fruiscono dei nuovi servizi. Una “lobby” di massa che le multinazionali della sharing economy non esiteranno a sfruttare.

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