L'INTERVISTA

Showalter: “Digital Analytics, chiave per la rielezione di Obama”

Amelia Showalter, ex direttore divisione Analytics nella campagna presidenziale: “Abbiamo testato decine di milioni di email spedite ai potenziali finanziatori per verificare quali contenuti erano in grado di attrarre i donor. E grazie al nostro team sono stati raccolti 200 milioni di dollari in più rispetto al 2008”

Pubblicato il 27 Set 2013

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Barack Obama ha vinto per due volte la corsa alla presidenza Usa grazie anche all’utilizzo dei Digital Analytics. “Se dai 750 milioni di dollari raccolti nella campagna elettorale 2008 si è arrivati a circa un miliardo nel 2012 è stato anche merito del costante utilizzo dei modelli statistici sulle email inviate ai possibili finanziatori” spiega Amelia Showalter, 30 anni, che è stata appunto Direttore della Divisione Digital Analytics nella campagna per la rielezione di Obama. Intervistata dal Corriere delle Comunicazioni, la Showalter ha ricordato come la campagna per la rielezione di Obama si sia distinta per aver perfezionato le tecniche di applicazione di modelli statistici e predittivi a tutti gli aspetti politici. In questo contesto era inserito il lavoro del team della Showalter: 15 persone – esperti di Data base management, Data analysis e web analytics – impegnati a testare più volte nel corso della giornata alcuni contenuti delle email in modo da verificarne l’effettiva efficacia (contenuti elaborati da uno staff di una ventina di writers). Per poi scoprire, ad esempio, che le “lettere” con nel subject la parola “Hey”, o comunque quelle con uno stile più informale, in determinati momenti riuscivano a “stimolare” più finanziamenti rispetto ad altre.

Come avete usato i Big Data per l’analisi delle email inviate ai potenziali finanziatori di Obama?

È un metodo complesso, maturato su una profonda conoscenza scientifica: le mail venivano elaborate e rielaborate decine di volte, testate su gruppi ristretti di sostenitori per scoprire l’efficacia di una formula o di un tipo di linguaggio e, solo dopo aver incrociato i dati, venivano condivise con la totalità (o anche solo con alcune parti) dei sostenitori del Partito Democratico. Ogni mail spedita veniva poi analizzata per scoprirne gli esiti e i punti deboli, e le informazioni raccolte sfruttate per migliorare le mail precedenti. All’inizio della campagna inviavamo a decine di milioni di indirizzi una o due email ‘standard’ a settimana, mentre alla fine, quando i tempi si erano fatti necessariamente più frenetici, 10 o persino 20. La mailing list l’abbiamo ereditata dalla campagna precedente, ma alla fine della seconda i nominativi erano praticamente raddoppiati.

Quali strumenti digitali avete usato per mettere sotto la lente di ingrandimento questa immensa mole di dati?

Per inviare le email abbiamo usato una piattaforma primaria per le email chiamata Blue State Digital, ma abbiamo anche lavorato molto nel nostro database. I dati in nostro possesso erano talmente voluminosi che erano impossibili da gestire tutti insieme per qualsiasi piattaforma.

In pratica cosa è emerso dai vostri continui test?

Abbiamo realizzato test completi non solo sulle ‘subject lines’ (l’oggetto delle email) e sulla quantità di denaro richiesto alle persone (suddividevamo i destinatari in fasce diverse a seconda della diversa richiesta di finanziamento) ma sul testo stesso del messaggio e persino sulla formattazione del testo. Abbiamo sottoposto a ‘screening’ versioni multiple di un unico testo e fino a 18 variazioni nell’oggetto dell’email prima di scegliere il ‘vincitore’ da inviare ai nostri destinatari. E, quando ci accorgevamo che qualche elemento faceva la differenza in termini di contribuzioni volontarie lo adottavamo all’istante. Per esempio è emerso che le “lettere elettroniche” con il nome del destinatario nell’oggetto riuscivano a strappare più donazioni di altre. Continuando a sperimentare abbiamo notato che le email “brutte” – per esempio con qualche sottolineatura in giallo – attiravano più finanziamenti di quelle graficamente più carine. Ma non sempre. In alcuni giorni era così, in altri era diverso. Da qui la necessità di test ripetuti in tempi diversi per avere costantemente il polso della situazione.

Pensa che questa strategia potrebbe essere usata anche nelle imprese private?

Ci sono aziende come Groupon che usano molto le email e realizzano test di notevole efficacia ma ce ne sono altre che ne ricevono e inviano milioni (penso per esempio alle catene internazionali di hotel) e non si servono della nostra metodologia, quando invece potrebbero trarne grandi benefici.

Perché?

È considerato un ulteriore carico di lavoro e probabilmente ritengono che sia uno spreco di denaro: serve tempo, bisogna assumere personale… Ma dalla mia personale esperienza ho visto che un singolo test è stato in grado di produrre, in termini finanziari, cifre pari alla mia paga settimanale. La nostra stima è che, grazie all’email testing, siamo riusciti a guadagnare 200 milioni di dollari in più di donazioni rispetto alla precedente campagna.

Non avete pensato ai problemi di privacy legati all’utilizzo di dati personali?

In politica è diverso: comunichiamo principalmente con i nostri supporter che ci devono dare regolare autorizzazione a disporre dei loro dati personali e che comunque si fidano di noi. Ovviamente non venderemo mai queste informazioni. Inoltre molte, quelle più generiche e basilari, sono già pubbliche.

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