DISRUPTION

Sicurezza e pagamenti? “Meglio il notaio che la blockchain”

Tutti i problemi che comporta l’adozione della tecnologia per gli “smart contract”. Gli atti notarili garantiscono più e più a lungo gli interessi di aziende e cittadini. L’analisi di Michele Manente, notaio e componente della Commissione Informatica del Consiglio Nazionale del Notariato

Pubblicato il 21 Set 2016

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Era il lontano 1994 quanto Nick Szabo (un informatico americano laureato in legge) diede la seguente prima “descrizione” di uno smart contract: “Uno smart contract è un protocollo di transazione computerizzato che esegue i termini di un contratto. Gli obiettivi generali sono: soddisfare le condizioni contrattuali comuni (come ad esempio i termini di pagamento, …), ridurre al minimo le contestazioni sia dolose che accidentali, e ridurre al minimo la necessità di intermediari di fiducia. Obiettivi economici correlati includono la riduzione dei danni da frode, degli arbitrati, dei costi giudiziali e degli altri costi di transazione.” (fonte Wikipedia).

Oggi molti ritengono che sia arrivata la tecnologia giusta per realizzare tutto ciò, la blockchain. Un sistema informatico che consente di creare registri pubblici distribuiti, trasparenti e del tutto inalterabili, sui quali annotare qualunque transazione senza che ciò richieda la presenza di intermediari di fiducia (cd. Third Trusted Parties), e in più capace di gestire anche l’esecuzione automatizzata di istruzioni (gli smart contracts appunto). Non sarà quindi più necessario ricorrere ai tribunali per ottenere la soddisfazione delle proprie ragioni. Basterà scaricare da internet uno smart contract, personalizzarlo e poi inserirlo in una blockchain, e scrivere un contratto diventerà facile come ottenere una bibita da un distributore automatico di bevande.

Avremo insomma a che fare con “distributori automatici di contratti”, ma con quali garanzie?

In primo luogo sarà necessario garantire la corrispondenza tra ciò che si vuole e ciò che viene “scritto”. Uno smart contract sarà scritto in un linguaggio molto “tecnico”, e quindi ben poco comprensibile all’utente medio. Di certo esisteranno “interfacce” semplificate che consentiranno di “tradurre” il codice “smart” in qualcosa di almeno comprensibile, ma si tratterà pur sempre di “traduzioni”. Firmare uno smart contract sarà allora come sottoscrivere un contratto in una “lingua sconosciuta”, tradotta da altri. Chi garantirà la bontà di quella “traduzione”? Chi garantirà che l’istruzione (il codice informatico), sottostante allo smart contract, realizzi effettivamente la volontà dell’utente?

Un contratto deve innanzitutto essere conforme alle leggi. I “distributori automatici di contratti” saranno legali? Chi ne garantirà l’aggiornamento? I contratti “standard” andranno sempre bene per tutti e per tutte le esigenze? E se un utente, in autonomia, eseguisse un “mix” di contratti standard onde soddisfare le proprie necessità, chi gli garantirà che il risultato sia legale o anche solo giuridicamente “non contraddittorio”?

Il problema della responsabilità. Uno smart contract deve disporre di una piattaforma su cui girare. Possiamo ipotizzare la necessità di:

a) una piattaforma informatica di base;

b) una piattaforma blockchain;

c) un software per la creazione di smart contracts;

d) qualcuno che confezioni gli smart contracts “standard” da personalizzare.

Ciascuno di questi componenti è frutto di una programmazione che può contenere errori.

Non occorre essere un esperto giurista per sapere che, al moltiplicarsi dei soggetti potenzialmente coinvolti in un’operazione, il rimpallo delle responsabilità tende ad “allontanare” le speranze di risarcimento in capo al danneggiato. E che dire, poi, se la piattaforma si trova su server americani, il programmatore è inglese, ed il sito di vendita degli smart contracts è cinese?

La “durata” di uno smart contract. Non tutti i contratti regolano rapporti che cessano dall’oggi al domani. Anzi, i più importanti (es. quelli immobiliari) sono destinati di norma a durare anni, se non decenni.

Chi assicura che l’istruzione contenuta in uno smart contract inserito in una blockchain nel 2016 sarà ancora eseguibile (supportata) nel 2050?

Smart contracts e riscossione delle imposte. Una blockchain è certo capace di gestire anche (e soprattutto) pagamenti, ma pochi tengono conto del fatto che il primo pagamento derivante da un contratto è quello dovuto allo Stato per le relative imposte. Da decenni ormai i notai già registrano i contratti telematicamente ed assicurano allo Stato tale gettito. Gli attuali database della registrazione telematica degli atti notarili contano oltre mille “codici contratto” differenti a cui corrispondono una o più tassazioni differenti, in base alle eventuali agevolazioni spettanti.

Chi sceglierà la tassazione dello smart contract? Chi controllerà che sia corretta? Come sarà possibile ottenere il recupero dell’eventuale imposta non pagata, in caso di errori od omissioni?

Oggi, per tutti i contratti più delicati e di maggiore valore sociale, la risposta a tutte queste domande è semplice, ed è una sola: il notaio.

Siamo sicuri che i “distributori automatici di contratti” renderanno la tutela dei cittadini facile come acquistare una bibita?

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