Sistri, è scontro sul decreto che esenta le piccole imprese

Il provvedimento in arrivo non mette d’accordo le aziende. Per Cna-Fita la scelta del governo “evita oneri economici e amministrativi in momenti di crisi”. Contraria Fai-Conftrasporto: “Bisogna fare in modo che il sistema funzioni per combattere la criminalità”

Pubblicato il 18 Apr 2014

F.Me.

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E’ scontro tra le aziende sulla decisione del governo di esentare dagli obblighi del Sistri le aziende che contano su meno di 10 dipendenti. Da una parte Cna-Fita (associazione delle imprese di trasporto merci e persone in conto terzi) che apppggia la scelta del ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti. “Il governo, sul Sistri, dimostra avvedutezza – dice una nota di Cna-Fita – e propone un emendamento per esentare dall’entrata in vigore del sistema di tracciabilità dei rifiuti, che ancora non funziona, le imprese produttrici e di autotrasporto con meno di 10 dipendenti, evitando così oneri amministrativi ed economici aggiuntivi che, in questo momento di crisi nera, rischierebbero di provocare effetti contrari agli obiettivi perseguiti dalla stessa piattaforma”.

La proposta di esentare le piccole aziende non piace a Fai-Conftrasporto, il cui presidente Paolo Uggè definisce il provvedimento “incoerente”. In pratica, precisa Uggè, con tale norma sarebbe escluso dall’obbligo del sistema quasi il novanta percento delle imprese di autotrasporto “rendendo così vano l’obiettivo di combattere la presenza di soggetti malavitosi nel settore dei rifiuti in quanto offre, anche se temporaneamente, l’opportunità alle mafie di utilizzare vettori non sottoposti al sistema di tracciabilità”. Inoltre, prosegue Uggè, questa norma rimetterebbe in gioco le aziende di autotrasporto straniere.
Fai Conftrasporto non è contraria al Sistri, ma pretende un sistema che funzioni. Se funziona già ora – come afferma il ministero dell’Ambiente – non si comprende perché escludere le piccole aziende, mentre se il Sistri presenta ancora disfunzioni non si comprende perché penalizzare le imprese con più di dieci dipendenti.
“Il ministro deve spiegare chiaramente la situazione, soprattutto dopo che la sottosegretaria Velo ha riferito in Parlamento di possibili violazioni contrattuali che potrebbero portare alla disdetta del contratto. Noi non accetteremo passivamente una nuova presa in giro” conclude Uggè.

Secondo le nuove norme che dovrebbero vedere la luce a breve rimarranno obbligati al Sistri i produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi da scavo, costruzione e demolizione, da lavorazioni industriali e artigianali, da attività commerciali, di servizio e sanitarie; produttori iniziali di rifiuti speciali che ne effettuano lo stoccaggio; soggetti che raccolgono, trasportano, recuperano e smaltiscono rifiuti urbani in Campania.

“Le istanze avanzate dai ‘piccoli produttori’ – aveva annunciato il ministro a ridosso dell’entrata in vigore della seconda fase del Sistri, all’inizio di marzo – sono tenute nella massima considerazione. E’ infatti in via di perfezionamento un decreto che assoggetta al Sistri solo imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti con più di 10 dipendenti nei settori dell’industria, artigianato, commercio e servizi. Il decreto inoltre – spiegava – contiene altre semplificazioni finalizzate a venire incontro alle esigenze dei produttori al fine di assicurare un ‘decollo’ della fase 2 sistema che sia meno problematica possibile. L’obiettivo del Governo è quello di rendere questo strumento, dalla storia travagliata, una ulteriore opportunità per la competitività del paese e un presidio per la tutela della legalità”.

Una risposta che si era resa necessaria dopo le forti polemiche che avevano accompagnato l’entrata in vigore delle nuove norme, con le regioni degli scontenti che erano state illustrate sul Corriere della Sera da Dario Di Vico: “Il sistema, che dovrebbe servire per combattere le ecomafie – scriveva – intanto però rischia di complicare la vita alle piccole e medie imprese dell’autotrasporto e dell’artigianato”. Tra i più critici anche Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente a Montecitorio, che definiva il provvedimento “un legno storto, che rischia di essere un appesantimento burocratico e un sovraccarico amministrativo soprattutto per le Pmi, diversamente da quanto messo in atto negli altri Paesi europei”.

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