EVOLUZIONE

Smart city, dalla “fantascienza” alla realtà delle cose

Il digitale sta cambiando modelli ormai consolidati e le città italiane possono diventare veri e propri laboratori dove sperimentare l’innovazione su misura di realtà locale, per dare nuova linfa anche al rapporto PA-cittadini

Pubblicato il 24 Dic 2013

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Nel mondo accelerato dell’evoluzione tecnologica, tre anni sono un arco di tempo relativamente lungo, sufficiente a decretare il successo di nuovi paradigmi o a relegarne molti altre nell’oblio dell’obsolescenza.

Il concetto di Smart City è andato delineandosi con sempre maggior dettaglio: grazie al contributo di progettisti, esperti di tecnologia, urbanisti, filosofi e marketer, la fumosa e generica idea di miglioramento della vita nei centri urbani attraverso l’uso massiccio di tecnologie digitali ha acquisito connotati sempre più precisi, fino all’identificazione delle sei “sfere” ormai tradizionali: smart economy, smart mobility, smart environment, smart people, smart living, smart governance. È emersa, parallelamente, l’importante differenza tra i progetti di Smart City su larga scala, voluti dai giganti multinazionali della system integration (Ibm e Cisco in testa), e le proposte “micro” di cittadini, attivisti e ricercatori, prevalentemente dal basso ed orientate al recupero e al riuso, più che all’introduzione di costose soluzioni ex novo.

Alcuni di quei grandi progetti technology driven sono stati avviati e conclusi nei tre anni appena trascorsi – su tutti la fantascientifica Songdo – confermando i timori relativi alle “cattedrali nel deserto” che sorgono in territorio cinese a ritmi inattesi. Alcuni dei progetti “dal basso”, viceversa, hanno trasformato radicalmente il modo di vivere e lavorare di migliaia di persone, portando connettività e servizi in aree remote (come nel caso del Trentino) o supportando la collaborazione tra negozi, uffici e cittadini (come nel caso dei Distretti Urbani del Commercio).

L’esplosione di Facebook, Twitter ed Instagram, la diffusione di smartphone sempre più potenti (e il prosperare di Android), l’abitudine alla connettività always on, l’introduzione delle black box telematiche negli autoveicoli (ad opera delle compagnie di assicurazione) e l’alba dell’Internet delle Cose; fenomeni sviluppatisi negli ultimi tre anni (pur avendo radici precedenti) che hanno impattato la vita e le pratiche di milioni di persone in tutto il mondo.

Quelle che, fino a poco tempo fa, sembravano soluzioni fantascientifiche (come gli smart meter, le buste per la differenziata dotate di chip, le self-driving car e gli apparati sensori indossabili), stanno progressivamente entrando a far parte dell’esperienza quotidiana di ognuno di noi, a riconferma del fatto che il concetto di Smart City è riuscito a superare il picco del proprio Hype, entrando in una “normalità” fatta di bandi di concorso, conferenze, leggi e partnership.

Il termine Smart City, nato per creare consapevolezza sulle problematiche delle città moderne e sulle possibili soluzioni a matrice tecnologica, pare aver esaurito l’utilità delle origini; pur non essendo concluso il percorso evolutivo delle Città Intelligenti, droni, sensori, maker, intelligenza artificiale e tecnologie mobili sono usciti dal novero del “breakthrough” tecnologico e del “caso di studio”, per percorrere la strada che porta all’adozione. Una strada fatta di modelli di business, pitch commerciali, lunghi discorsi e convegni; una strada interessante e gravida di opportunità, che speriamo qualcun altro vorrà percorrere.

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