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Smart city, è allarme sui diritti fondamentali. La tecnologia li mette a rischio?

Uno studio della Harvard Kennedy School evidenzia come un uso distorto delle soluzioni digitali e dei dati può abilitare fenomeni come la sorveglianza di massa e la lesione della privacy. La soluzione? Una maggiore partecipazione delle comunità all’elaborazione dei piani di sviluppo delle città

Pubblicato il 01 Set 2021

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La rapida adozione della tecnologia per le smart city ha dato il via a una serie di circostanze impreviste che potrebbero mettere a rischio i diritti civili. L’allarme in uno studio del Belfer Center for Science and International Affairs’ Technology and Public Purpose Project della Harvard Kennedy School.

La libertà negli spazi pubblici ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della democrazia, sostiene l’autrice del report Rebecca Williams. In occasione delle manifestazioni dell’estate del 2020, dopo l’omicidio di George Floyd,  il Dipartimento di Polizia di San Diego ha utilizzato telecamere incorporate in lampioni intelligenti per sorvegliare i manifestanti.

Telecamere, ricorda Williams, promosse installate nell’ambito di un programma di sviluppo di smart city con l’obiettivo di controllare il traffico e monitorare la qualità dell’aria ma che poi sono state utilizzate con scopi diversi. Di qui la preoccupazione di che un uso distorto della tecnologie possa mettere a rischio le libertà civili.

Nel dettaglio il rapporto si concentra su hardware e software che possono direttamente, o in combinazione con dati, telecamere, localizzatori di posizione e sensori – tutti elementi chiave delle città intelligenti – identificare gli individui. “Mentre queste tecnologie possono determinare rischi per la privacy degli individui, il modo in cui le informazioni possono estratte da quelle tecnologie hanno un impatto diretto sul modo di funzionare della società”, si legge nello studio.

Cinque i trend distopici legati ad uso distorto del digitale.

Il primo è il totalitarismo, un sistema in cui la tecnologia viene dispiegata senza considerare la volontà del popolo. Secondo l’autrice se il governo utilizza la tecnologia di tracciamento senza condivisione o un processi decisionale democratico, questo atto dovrebbe considerarsi come un atto totalitario. Per evitare ciò, Williams incoraggia una maggiore partecipazione dei membri della comunità al piani di sviluppo delle città, soprattutto prima che istituzioni e fornitori di tecnologia decidano quali informazioni vengano raccolte e come possano essere utilizzate.

Il fatto che le smart city rendano più facile la sorveglianza di massa – qui il “panopticonismo” – mette a rischio la privacy e anche la sicurezza generale delle persone a causa della enorme mole di dati raccolti che possono essere sempre oggetto di violazioni o intrusioni.

E anche la discriminazione può aumentare: basti pensare a come sono usati i sistemi di riconoscimento facciale per colpire segmenti specifici della popolazione. I bias cognitivi che caratterizzano i sistemi di intelligenza artificiale “tendono a prendere di mira gruppi minoritari aumentando le divisioni nella società”.

Inoltre l’uso errato della tecnlogia può anche portare la società verso un’infrastruttura governativa più privatizzata, suggerisce Williams. Questa tendenza potrebbe sostituire i servizi pubblici, sostituire la democrazia con il processo decisionale aziendale e consentire alle agenzie governative di sottrarsi alle protezioni costituzionali e alle leggi sulla responsabilità a favore della raccolta di più dati. Infine, le smart city rafforzerebbero il “soluzionismo tecnologico”, un fenomeno che vede le questioni politiche e morali come problemi da risolvere con la tecnologia. Nelle città intelligenti, i budget vengono così ridefiniti per raccogliere più dati  piuttosto che per fornire beni e servizi materiali.

Per arginare questi potenziali problemi, il rapporto offre diverse raccomandazioni. Per quanto riguarda le informazioni di identificazione personale, Williams suggerisce di ridurre al minimo la raccolta e l’uso dei dati di identificazione, imponendo limiti rigorosi all’accesso delle forze dell’ordine e ponendo fine alla profilazione ad alta tecnologia.

Inoltre, per costruire una capacità collettiva di valutare come la tecnologia delle smart city influisca sulla democrazia, la società deve spostare la sua attenzione oltre l’efficienza della soluzioni: le sfide sociali che si possono vincere anche grazie al digitale devono essere riformulate intorno ai bisogni materiali delle comunità

“Infine, per fortificare vecchi e nuovi spazi democratici, dobbiamo immaginare nuovi modi di governare per volontà del popolo e sviluppare nuovi diritti che servano a quei fini – conclude il report – Per fare questo, potremmo aver bisogno di ripensare come la tecnologia puòdiventare una assist al miglioramento della vita di tutti e non di pochi”.

 

 

 

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