SCENARI

Smart working sfida cruciale nel new normal: persone e tecnologie al centro della svolta

Un report Accenture mette in risalto la propensione dei lavoratori verso il modello ibrido, leva di produttività e di conciliazione. Ma secondo una survey di Business International sevono investimenti efficaci sul digitale per abilitare la trasformazione

Pubblicato il 16 Giu 2021

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Le aziende si stanno preparando per far rientrare in ufficio i propri dipendenti ma questa scelta rischia di sbattere contro le preferenze dei lavoratori che invece preferirebbero un modello di lavoro ibrido. La fotografia è scattata dallo studio Accenture  “The Future of Work: Productive Anywhere”, secondo cui l’83% delle persone intervistate preferirebbe un modello di lavoro ibrido, con la possibilità di svolgere attività da remoto dal 25% al 75% del proprio tempo.

Tuttavia, non sarà semplice trovare un modello ibrido valido per tutte le generazioni: tre persone su quattro (il 74%) della Generazione Z (cioè i nati tra il 1997 e il 2010) desiderano maggiori opportunità di collaborazione in presenza con i colleghi, una percentuale più alta rispetto al 66% espresso dalla Generazione X (chi è nato tra il 1960 e il 1980).

“Nel post pandemia sta emergendo tra i lavoratori la preferenza verso un modello che consenta di lavorare ovunque – spiega Stefano Trombetta, Talent & Organization Lead di Accenture Strategy & Consulting – Si tratta di persone che sanno rimanere produttive e che hanno accesso in modo completo alle risorse aziendali e personali per lavorare al meglio. Dobbiamo orientare il dibattito sul lavoro, considerando non soltanto il tema del luogo in cui le persone possono lavorare, ma anche i fattori che ne favoriscono la produttività, la salute e la resilienza e come valorizzare il potenziale delle persone in qualsiasi luogo e contesto”.

Dal rapporto emerge inoltre come ciò che divide i lavoratori che sono produttivi (40%) da quelli che sono disconnessi e frustrati (8%) non è lo stress, ma la disponibilità o meno di accedere a risorse adeguate che consentano loro di essere produttivi indipendentemente dal luogo. Le risorse da considerare includono l’autonomia lavorativa, la salute mentale, una leadership che sa essere di supporto e la maturità digitale dell’azienda di appartenenza.

Ma non è tutto. Le aziende che supportano la produttività e la salute di lavoratori ne traggono anche benefici di natura finanziaria: il 63% delle aziende che ha già messo in atto modelli di “produttività da qualsiasi luogo”, ovvero che offrono ai dipendenti la possibilità di lavorare da remoto o in ufficio ha registrato una crescita elevata del fatturato. La stragrande maggioranza (69%) delle aziende con crescita negativa o inesistente, invece, è ancora incentrata sul luogo fisico anziché incentivare modalità di tipo ibrido.

“Le persone che hanno la possibilità di scegliere un modello ibrido di lavoro sono maggiormente in grado di affrontare le sfide con un buon equilibrio psico fisico, costruiscono relazioni lavorative più solide e prevedono di restare nella propria azienda a lungo”, continua Trombetta.

Le azioni da mettere in campo

I leader devono quindi abbandonare l’idea che il modello di lavoro del futuro debba essere necessariamente incentrato sul luogo fisico, per definire invece un modello capace di offrire alle persone le risorse necessarie per essere produttive a prescindere da dove si trovino. Accenture consiglia alle aziende di attuare le seguenti azioni:

  • Accelerare verso una più moderna gestione delle risorse umane. Il mondo intorno a noi è cambiato e di conseguenza anche le politiche e le pratiche di gestione delle risorse umane devono evolversi sviluppando strategie che considerino, tra le diverse dimensioni, anche quella emotiva, relazionale, fisica e mentale.
  • Disegnare il lavoro intorno alla persona. Le aziende devono saper riconoscere e rispondere ai bisogni di tutti i lavoratori. Le aziende che supportano la sicurezza psicologica e fisica stimoleranno la fiducia de propri talenti.
  • Sviluppare le capacità digitali. Le aziende che raggiungono la digital fluency hanno una crescita più rapida dei propri ricavi e sono considerate migliori luoghi di lavoro. Occorre concentrarsi sulla definizione di competenze e percorsi di apprendimento personalizzati per rispondere alle esigenze di tutti i dipendenti.
  • Guidare l’organizzazione con umanità. I leader responsabili creano ambienti in cui tutto il management possa lavorare insieme indipendentemente dal luogo in cui ci si trova.

La Survey di Business International

Quella che si affaccia all’era post-covid19 è un’Italia che cambia, ma che per abbracciare davvero la trasformazione digitale in atto ha ancora tanta strada da fare. Se, infatti, lo smart working rimane ormai un caposaldo delle strategie di business anche per il futuro, l’impresa del nostro Paese sembra rimanere molto più propensa all’outsourcing anziché all’investimento di risorse per lo sviluppo e l’innovazione, l’automazione e la robotizzazione della propria attività. E’ questa la fotografia che emerge dai dati raccolti nel report, “Business Leaders Survey”, realizzato da Business International – Fiera Milano Media per analizzare il reale stato dell’arte dell’impresa italiana vista dai suoi manager di prima linea.

In un’epoca di grande incertezza, ciò che davvero ha salvato la business continuity delle aziende italiane è indubbiamente stato lo smart working che, infatti, il 40% dei rispondenti indica come principale misura di contrasto adottata contro gli impatti del Covid-19 e su cui un ulteriore 25% degli intervistati ha dichiarato di voler puntare nei prossimi mesi, con un totale del 48% del campione considerato che ha ammesso di volerlo mantenere stabilmente come modello lavorativo anche per il futuro. Ovviamente, poi, approfondendo l’analisi, anche gli aiuti governativi dedicati alla cassa integrazione straordinaria hanno avuto un ruolo importante nel superamento delle difficoltà, come conferma anche il 17.5% degli intervistati.

Quello che però stona, rispetto a questo quadro resiliente, è il fatto che, se solo il 5.5% delle aziende ha rivelato di avere bloccato gli investimenti in questo periodo, dall’altra parte è possibile notare come le società abbiano preferito esternalizzare l’ottimizzazione dei propri processi operativi nel 10% dei casi, piuttosto che provare a puntare sull’innovazione, l’automazione e la robotizzazione dei propri servizi, su cui si è impegnato solo l’1% dei rispondenti. Certo, non si può fare di tutta l’erba un fascio e di sicuro questi mesi hanno insegnato molto a tante realtà. A tal punto che, se sono il 6% degli intervistati ha dichiarato che la sua società ha cambiato il proprio modello di business per fronteggiare le criticità proposte dalla pandemia, nei prossimi mesi invece più del doppio delle realtà (13%) prevede questo intervento. Mentre gli intervistati che dichiarano di voler implementare soluzioni di robotizzazione e automazione salgono all’8.5% (+850%). Al netto di questi positivi tassi di aumento, però, è evidente come questi valori siano ancora pressoché irrisori per consentire una reale ondata di cambiamento in grado di coinvolgere tutto il Paese che, comunque, guardando al futuro, nel 24% dei casi aziendali rilevati continuerà a focalizzare la propria attenzione sull’outsourcing anche nei prossimi mesi.

Ancora forse troppo concentrati sul resistere alla crisi, inoltre, quasi un manager su quattro (23.7%), in Italia, pensa che anche per il futuro la resilienza, la flessibilità e la tolleranza allo stress saranno qualità cruciali per il successo, ponendo invece la creatività, l’originalità e l’iniziativa al secondo posto (16.3%). Una scelta, questa, sicuramente dettata da quella sensazione di grande incertezza che le aziende continuano a vivere anche in Italia e che unita a un lungo periodo di distanziamento sociale e necessaria riorganizzazione delle attività, fa porre l’attenzione in terza posizione su Team work e il time management (10%), seguiti poi a pari merito da formazione e apprendimento continuo (9%) e Critical thinking e predictive analytics (9%). Mentre, più giù in classica troviamo proprio quelle competenze tecniche che le aziende faticano a trovare sul nostro mercato, come la data analysis e l’innovazione (8.7%), technology use/design, computational thinking & programming (2.7%). L’ultimo aspetto, inoltre, che fa capire quanta strada probabilmente ci sia ancora da fare è il fatto che skill come la leadership e la social influence (8%), il problem solving (7.6%) e l’Intelligenza emotiva (4.8%) che rappresentano oggi le chiavi di una buona governance che sappia mettere al centro le persone, interpretare e gestire le situazioni, oltre che ispirare il proprio team di lavoro, risultino in fondo alle competenze desiderate dai C-level per affrontare i prossimi mesi.

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