L'OSSERVATORIO POLIMI

Spesa digitale in crescita per i professionisti. Ma i piccoli studi restano al palo

In crescita del 3,8% gli investimenti in tecnologia che hanno raggiunto quota 1,76 miliardi. Sugli scudi gli avvocati (+2,9%) e i consulenti del lavoro (+2,5%). Commercialisti in controtendenza (-5,4%). Tra le micro realtà, ben l’11% non ha investito nulla in Ict e solo l’1% ha destinato più di 10mila euro

Pubblicato il 05 Lug 2022

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Sono 1,76 i miliardi di euro investiti nel 2021 da avvocati, commercialisti e professionisti in generale per le tecnologie digitali, con un aumento del 3,8% rispetto al 2020. Un dato positivo, anche se per la prima volta in dieci anni l’incremento percentuale è inferiore a quello evidenziato dalle aziende (+4,1%). Questi alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano*, condotta su un campione di oltre 1700 studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro e presentata durante il convegno“Studi professionali: dal valore le indicazioni per lo sviluppo”.

Reazione tattica alla pandemia

I dati sembrano suggerire l’idea di una reazione “tattica” alla pandemia, come l’ha definita Claudio Rorato, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale: solo i grandi studi, prevalentemente del settore legale, hanno elaborato una strategia in grado di innovare il business attraverso le tecnologie più evolute, mentre la maggior parte degli studi professionali presenta modelli di business statici, che hanno indirizzato gli investimenti in digitale verso le esigenze contingenti, come l’adozione dello smart working. Anche la previsione per il 2022 induce ad una generale cautela, attestando gli investimenti in tecnologia sui livelli del 2021 (+0,2%).

Più nel dettaglio, ci sono alcune differenze a seconda delle dimensioni degli studi professionali. Tra le “micro” realtà, ben l’11% non ha investito nulla in ICT e solo l’1% vi ha destinato più di 10mila euro, mentre tra gli studi piccoli, medi e grandi solo il 3% non ha investito in tecnologia e il 22% investe più di 10mila euro. Tra i diversi settori, gli studi multiprofessionali sono quelli che spendono di più per il digitale (in media 25.050 euro), in linea con il 2020; gli avvocati hanno visto un aumento degli investimenti del +2,9% (8.950 euro medi), i consulenti del lavoro del +2,5 (10.350 euro), mentre i commercialisti hanno visto scendere gli investimenti in ICT del -5,4% (11.450 euro). Le professioni hanno destinato gli investimenti in ICT soprattutto per la fattura elettronica (86%), i sistemi per la gestione di videochiamate (75%), le piattaforme di eLearning (48%), la conservazione digitale a norma (42%) e le reti VPN (36%). Tre di queste cinque tecnologie sono figlie della pandemia, che ha accelerato la loro adozione con la chiusura forzata degli uffici per lunghi periodi.

Più penalizzati gli avvocati

I più penalizzati dalla pandemia, anche a causa della chiusura dei tribunali e del rallentamento delle attività giudiziarie, sembrano essere soprattutto gli avvocati: solo per uno studio legale su due il 2021 è stato più favorevole del 2020. Mentre i vari provvedimenti del governo a sostegno delle attività economiche hanno incrementato l’attività di commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari, che, nel 60% dei casi, hanno visto aumentare la redditività rispetto al 2020. Se si guardano le perdite, appena il 15% di commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari ha perso oltre il 10% rispetto al 2020, mentre per gli avvocati la percentuale sale al 25%.

Un fattore chiave, in funzione di un rilancio degli studi in termini economici e finanziari, sembra essere la propensione alla collaborazione o l’aggregazione con altre realtà. Quelli che realizzano in modo stabile collaborazioni con altri studi o realtà diverse (come software-house, banche, network internazionali) per sviluppare business congiuntamente evidenziano una percentuale di redditività più alta (68%) rispetto alla media generale (58%). Ma è una pratica ancora poco diffusa: solo l’8% degli studi ha avviato collaborazioni formalizzate, mentre il 26% lo ha fatto in modo stabile ma informale e un altro 26% solo occasionalmente, mentre il 37% non le ha avviate del tutto.

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