IL REPORT DELOITTE

Stem, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro “bestia nera” dell’Italia

Nel nostro Paese solo il 24,5% degli studenti e il 15% delle studentesse si laurea in discipline scientifico-tecnologiche. Così il 44% delle imprese ha difficoltà a trovare candidati

Pubblicato il 14 Lug 2022

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Il mondo del lavoro evolve e il fabbisogno di profili professionali Stem aumenta. Ma i laureati Stem continuano a essere meno del 30% nei Paesi europei oggetto della ricerca (Italia, Spagna, Malta, Grecia, Uk, Francia e Germania) e nel nostro Paese solo il 24,5% dei laureati è Stem, mentre tra le laureate solo circa il 15% ha scelto studi Stem. Così, in Italia il 44% delle imprese ha già avuto difficoltà a trovare candidati con formazione Stem. È quanto emerge dallo studio al centro della seconda edizione dell’Osservatorio Stem “Rethink Ste(A)m education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” promosso da Fondazione Deloitte e dal Programma di Politiche Pubbliche di Deloitte.

Cresce la domanda ma stazionario il numero di iscritti a facoltà Stem

Nonostante la crescita di domanda di professioni Stem, l’educazione terziaria tecnico-scientifica è scelta da una minoranza degli studenti europei. Solo il 26% del totale dei laureati nei Paesi esaminati e circa il 15% delle donne possiede un titolo di studio di questo tipo. Una tendenza rimasta quasi inalterata negli ultimi 5 anni, in cui solo la Germania spicca per una più elevata percentuale di laureati Stem: 4 laureati tedeschi e 2 laureate tedesche su 10 possiedono un titolo di studio tecnico-scientifico.

Gli ostacoli sulla strada verso le Stem iniziano a presentarsi nei gradi di istruzione inferiore e si riflettono in particolare nel passaggio dalla scuola superiore all’università. Tale transizione è considerata “difficile” da almeno il 30% degli intervistati e delle intervistate: il 41,6% degli studenti e il 40,9% dei Neet, infatti, lamenta la mancanza di adeguate figure di riferimento per l’orientamento. In assenza di una “guida”, le giovani e i giovani scelgono soprattutto in base alle indicazioni dei familiari, che spesso, però, si basano sull’esperienza di conoscenti o parenti e non su una oggettiva informazione relativa al mercato del lavoro o sul possibile contributo che potrebbero dare alla società.

Mentre i percorsi scolastici e accademici formali rischiano di non essere adeguate ai tempi, le grandi trasformazioni globali evolvono in fretta e l’assenza di “candidati Stem” rappresenta una carenza che può compromettere lo sviluppo di soluzioni adeguate a sostenere una transizione digitale, ambientale, sociale ed economica. Ad esempio, circa il 55% delle organizzazioni intervistate ha già avuto difficoltà a trovare candidati giusti per ricoprire posizioni Ict. E, interrogate sulla difficoltà di reperire profili professionali Stem, il 44% delle aziende italiane sondate ha affermato di aver già avuto qualche difficoltà a riguardo.

Una potenziale soluzione al gap di competenze scientifiche e tecnologiche potrebbe arrivare da percorsi di formazione offerti da organizzazioni informali, quali, ad esempio, boot camp, programmi accademici, hackathon. Ma mentre l’esigenza di “reskilling” è sempre più pressante e destinata a impattare su più della metà della popolazione attiva, gli italiani sono ancora scettici sui percorsi di formazione “informali”. Il 52% degli intervistati nel nostro Paese, infatti, non è a conoscenza dell’esistenza di questi percorsi formativi e solo il 4% dei datori di lavoro seleziona attivamente personale che ha scelto questi percorsi. 

Bias, stereotipi e mancanza di modelli di riferimento

 Come era già emerso nella prima Edizione dell’Osservatorio Stem, in Italia le donne sono una minoranza all’interno del mondo Stem. Ma il gender gap è un problema diffuso non solo nel nostro Paese: come evidenziato dalla seconda edizione dell’Osservatorio Stem, nei Paesi considerati le donne rappresentano in media meno di un terzo del totale dei laureati Stem. Allo stesso tempo, però, in tutti i Paesi le donne rappresentano dal 50% al 60% del totale dei laureati in generale. In altre parole: mentre nelle università si rileva una presenza sempre maggiore di laureate, le facoltà Stem rimangono a prevalenza maschile.

La differenza tra uomini e donne, però, arriva a percentuali molto diverse a seconda delle discipline considerate. Ad esempio, se si prende in esame la presenza femminile all’interno delle facoltà di scienze naturali il gender gap è sostanzialmente chiuso: qui, in media, le donne rappresentano quasi la metà (48%) sul totale dei laureati. Al contrario, se si considera il settore Ict, le donne sono ancora in netta minoranza e rappresentano, in media, il 20% dei laureati. Leggermente migliore la situazione nelle facoltà di ingegneria, dove, comunque, la presenza femminile in media non supera il 30%.

A incidere sulla presenza femminile sono bias cognitivi e percettivi, stereotipi culturali, ma anche la mancanza di visibilità e riconoscimento nello spazio pubblico per il contributo che le donne hanno dato alla scienza e alla tecnologia. La assenza di esempi e di “role model” relativi alle donne Stem, infatti, non fa che rafforzare gli stereotipi e la narrativa secondo cui le donne non sono inclini alle materie Stem “per natura”. Fenomeno che ha portato Fondazione Deloitte a prendere la decisione di donare alla città di Milano una scultura raffigurante Margherita Hack, la prima in Italia dedicata a una scienziata. Con questa iniziativa Fondazione Deloitte ha voluto dare il suo contributo nel dare visibilità e riconoscimento alle donne Stem. 

L’effetto della pandemia sugli studenti

Da due anni gli studenti di tutto il mondo stanno subendo gli effetti della pandemia, dovendo rinunciare alla scuola in presenza e affidando buona parte della propria formazione alla “didattica a distanza”. In che modo, dunque, il Covid-19 ha inciso sull’apprendimento dei giovani e sui loro percorsi di studio? Molti degli studenti sono stati colpiti dalla crisi economica scatenata dal Covid-19 e parte di questi ha dovuto interrompere gli studi per trovare un lavoro. Il 34% ha dovuto rinunciare a una esperienza di studio all’estero. Il 15% ha rinunciato agli studi in un luogo diverso dalla propria città natale.

Altro tema rilevante è quello dell’efficacia della “didattica a distanza”. In media, solo il 36% degli studenti pensa che questa sia utile per la scuola secondaria. Più nel dettaglio, mentre il 52% ne riconosce l’utilità per evitare di perdere tempo nel tragitto casa-scuola e il 34% pensa che le lezioni siano più tranquille, il 59% afferma che è più facile distrarsi, il 49% lamenta l’assenza di contatto personale con i compagni, il 48% confessa di essere stato più tentato di copiare e il 46% pensa che, in generale, le lezioni siano meno efficaci. A complicare le cose, poi, ci sono le difficoltà di accesso a infrastrutture tecnologiche e a dispositivi elettronici – una criticità che non riguarda tutti allo stesso modo e che ha amplificato le disuguaglianze sociali.

“Per incentivare le giovani e i giovani ad avvicinarsi alle Stem, istituzioni pubbliche, mondo dell’istruzione, imprese, famiglie e organizzazioni del terzo settore devono essere i primi a fare un passo nell’aprire la strada al cambiamento. Tutti possono dare un grande contributo nell’abilitare soluzioni concrete finalizzate a promuovere il progresso e l’equità sociale, dentro e attraverso le Stem. Le aree di intervento su cui agire, come illustrato nel nostro studio, sono tre: aumentare la consapevolezza sulle Stem, eliminare le barriere socio-economiche e ripensare il talento in ottica di ibridazione Stem delle competenze”, conclude Guido Borsani.

 

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