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Turismo Italia in cerca di Internet

Il nostro Paese al penultimo posto nella Top 20 degli hotel che offrono gratuitamente l’accesso via wi-fi. I paesi competitor performano meglio pur contando su minori risorse artistiche

Pubblicato il 20 Gen 2014

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Forse c’è solo un settore in cui l’Italia continua a perdere un’occasione dietro l’altra più di quanto faccia nel digitale. Quel settore è il turismo, e per tornare a essere competitivo sul panorama internazionale, paradossalmente, avrebbe proprio bisogno di svilupparsi in chiave digitale. Due nodi strettamente intrecciati tra loro, tanto che oggi si potrebbe dire che l’Agenda turistica corrisponde nel merito e nel metodo all’Agenda digitale. O comunque è ad essa che guarda per dotare il Paese di una cultura e di un’infrastruttura all’altezza dei competitor, che pur avendo assai meno risorse paesaggistiche e artistiche, performano molto meglio. Riescono a crescere armonicamente insieme alla domanda del turismo globale che, grazie all’aumento della ricchezza diffusa e alla nascita di una classe media negli sconfinati mercati dell’Asia, ha generato solo nel 2012 un traffico di viaggiatori (tra business e leisure) di cento milioni di unità superiore all’anno precedente. Di quei cento milioni, l’Italia è riuscita a intercettarne solo uno.


Dipende senz’altro dalla frammentarietà delle nostre iniziative di promozione, che riflettono la frammentarietà dell’offerta. Ma non solo. L’allergia degli italiani all’adozione di nuove tecnologie (che non siano il cellulare) pone il livello delle strutture ricettive nazionali ben al di sotto di quelle di altre destinazioni. Uno studio Hrs, portale europeo di viaggi d’affari, ha posto l’Italia al penultimo posto nella classifica dei 20 paesi in cui gli hotel garantiscono gratuitamente l’accesso alla Rete tramite wi-fi. Lungo lo Stivale solo il 53% degli hotel è Internet friendly, mentre la media nazionale offre il servizio a un costo orario di 3,48 euro. Alla testa della classifica c’è Turchia con l’85% degli hotel in cui il wi-fi è gratis, seguita a distanza ravvicinata dalla Svezia (82%) dalla Polonia (80,5%) dalla Repubblica Ceca (73,9%). C’è da sperare che l’anno prossimo si sia guadagnata qualche posizione, magari sfruttando gli effetti del Decreto del Fare, che a giugno ha semplificato le regole del wi-fi per aziende ed esercenti. E la cosa vale anche per le reti pubbliche, essendo decaduto l’obbligo di richiedere l’autorizzazione al ministero e alla Questura, a patto che i servizi Internet non costituiscano l’attività commerciale primaria.


Il vero problema, però, riguarda la spinta alla digitalizzazione e alla creazione di una presenza autonoma online anche in chiave e-commerce: oggi gli hotel non legati alle grandi catene, ovvero la stragrande maggioranza delle strutture tricolori, sono letteralmente in balia dei marketplace del turismo elettronico. In alcuni casi i big dell’intermediazione online erodono addirittura il 30% dei loro margini, senza contare che ne inibiscono fortemente l’uso delle leve di marketing. In Italia Enit, Expo 2015 e Agenda Digitale hanno stipulato una triplice alleanza per creare il primo registro digitale delle strutture turistiche (che dovrebbe offrire agli operatori di qualsiasi dimensione la possibilità di pubblicare una descrizione della loro offerta in un catalogo virtuale personalizzabile) e sostenere gli alberghi nelle prove di forza contrattuali con le agency. Mentre sul piano internazionale è già intervenuta Hotrec, la federazione europea, che con il Benchmarks of fair practices in online distribution del 2012 (19 buone pratiche per la distribuzione turistica sul Web), sta portando la discussione in ambito comunitario.


Ma il supporto delle istituzioni serve a poco se manca il coraggio degli imprenditori. Per lo meno così la pensa Philip Wolf, il fondatore di PhoCusWright, tra le massime autorità della ricerca sul turismo online. “L’Italia deve smettere di lamentarsi e pensare alla concorrenza”, ha detto Wolf all’AdnKronos in occasione dell’inaugurazione della sesta edizione di Bto (Buy tourism on line), che si è tenuta all’inizio di dicembre a Firenze. “Il marchio made in Italy è secondo solo alla Coca Cola, ma il Paese deve essere più coraggioso, meno conservatore, e aggressivo.

L’Italia ha tutto per essere competitiva. Perché le altre culture lanciano nuove idee? Perché le carriere sono più a rischio, e gli operatori quindi sono più incoraggiati a lanciarsi. In Italia devono investire e studiare le aziende piccole, che funzionano grazie alla loro particolarità e originalità. Bisogna utilizzare le strategie corrette, non il politicamente corretto. Sono sicuro che nei prossimi anni”, ha concluso il guru dell’e-tourism, “ci saranno sempre più italiani nel mercato del turismo online”. Ce lo auguriamo anche noi.

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