DIGITAL SERVICES ACT

Editoria online, l’Europa adotterà il modello australiano?

Il Parlamento europeo punta ad inserire emendamenti alla nuova regulation sui servizi digitali per sanare gli “squilibri di potere contrattuale” tra piattaforme online e editori. Ma c’è contrasto sulle modalità di applicazione

Pubblicato il 09 Feb 2021

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Nuovo affondo dell’Europa sulle super-potenze del mondo digitale: il Parlamento europeo vuole inserire nel Digital services act e nel Digital markets act l’obbligo per gli over the top e i social media di remunerare i gruppi editoriali per le notizie che riportano sulle loro piattaforme online. Qualunque materiale – foto, video, articolo – va pagato.

Gli eurodeputati vorrebbero incorporare nelle nuove norme dell’Ue per i servizi e i mercati digitali le regole già approvate in Australia e che hanno già portato i social media – in particolare Google e Facebook – sul piede di guerra. Big G ha minacciato di chiudere le attività in Australia per protesta contro la legge (approvata, non ancora in vigore) che la costringerebbe a pagare per le notizie. Facebook ha detto che impedirà agli utenti in Australia di condividere notizie se la legislazione verrà approvata nella sua forma attuale.

Modello Australia

Gli eurodeputati che lavorano sulle bozze del Digital services act e del Digital markets act hanno riferito al Financial Times che le leggi potrebbero essere modificate mentre passano attraverso il parlamento dell’Ue per includere aspetti delle riforme australiane. Questi includono l’opzione di arbitrato vincolante per accordi di licenza e la richiesta alle società tecnologiche di informare gli editori sulle modifiche al modo in cui classificano le notizie sui loro siti. 

“Non accetteremo mai questa situazione in cui vengono utilizzati i contenuti e gli autori non sono remunerati“, hanno affermato i due europarlamentari Andrus Ansip (Estonia) e Alex Saliba (Malta). L’approccio australiano riesce ad affrontare “i forti squilibri di potere contrattuale” tra Google e eFacebook e gli editori.

“Con la loro posizione di mercato dominante nella ricerca, nei social media e nella pubblicità, le grandi piattaforme digitali creano squilibri di potere e beneficiano in modo significativo dei contenuti delle notizie”, secondo i due eurodeputati. “È giusto che restituiscano un importo equo”.

La legge sul copyright non basta?

Google e Facebook hanno intensificato i loro sforzi per raggiungere accordi di licenza con gli editori in Europa da quando l’Ue ha rivisto le sue leggi sul copyright nel 2019. Alcuni deputati affermano che il regime resta troppo debole.

Ansip, ex commissario che ha contribuito a elaborare la direttiva sul copyright, si è detto aperto a ulteriori modifiche. “L’idea della direttiva sul copyright era quella di creare una posizione negoziale più forte per gli editori di notizie”, ha detto. “Ora sappiamo che lo stesso processo è in corso in Australia. Non voglio riaprire la direttiva sul copyright”, ma, ha chiarito Ansip, il Parlamento vuole “fare maggiore chiarezza” col Digital services act.

Tuttavia, anche se il Parlamento europeo è a favore di misure sulla falsariga di quelle dell’Australia, non c’è accordo su come introdurre questi emendamenti al pacchetto del Digital services act e se sia meglio attendere di misurare l’impatto della riforma sul copyright, come indicato da Arba Kokalari, eurodeputata della Svezia.

L’affondo della Francia: “Informare sugli algoritmi”

Al di là della regolamentazione su cui discute l’Europa, Google ha raggiunto un accordo di licensing con un gruppo di editori in Francia. Stéphanie Yon-Courtin, eurodeputata francese e consulente dell’antitrust della Francia, pensa che, se le grandi piattaforme digitali americane minacciano di uscire dal mercato australiano perché costrette a pagare i contenuti, vuol dire che “c’è ancora molto lavoro da fare per sanare gli squilibri”.

“È venuta l’ora di obbligare le piattaforme online a entrare in trattative eque e remunerare le news che ottengono dagli editori”, ha detto la Yon-Courtin. Anzi, Google e Facebook dovranno anche informare sui “cambiamenti negli algoritmi che hanno impatto sul loro ranking” nelle ricerche.

Google si è  impegnata a investire 1 miliardo di dollari in tre anni sulle licenze per le notizie.

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