Vint Cerf: “Avanti tutta sull’information sharing”

Le strategie di Google secondo il suo vp e chief Internet evangelist: “Oggi non è più vero che l’informazione è potere: è potere la sua condivisione. E’ su questo terreno che esploriamo chance per future acquisizioni”

Pubblicato il 17 Mar 2014

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“C’è un filo rosso che collega le più disparate acquisizioni di Google: si chiama informazione. Tutto si riconduce a come ottenere accesso alle informazioni, come utilizzarle e soprattutto come condividerle. Perché, al contrario di quanto si diceva un tempo, non è più vero che l’informazione è potere. Il potere, oggi, è la condivisione di informazioni”. A dirlo è Vinton Gray Cerf, un autentico “pezzo di storia” per il mondo di Internet. Conosciuto come uno dei “padri del web” insieme a Bob Kahn, con cui inventò il protocollo Tcp/Ip, è da ottobre 2005 vice presidente e chief Internet evangelist di Google. Ed è pronto a spiegare le scelte aziendali del colosso californiano, sulle quali di solito il gruppo non ama dilungarsi in dettagli. Scelte che, solo nel 2013, hanno portato a una decina di acquisizioni nei campi più diversi, dalla navigazione Gps alla gesture technology, dall’e-commerce al cloud fino alle turbine a vento.

Quali sono le motivazioni che spingono Google a scegliere un’azienda invece di un’altra?

Ci sono momenti in cui ci rendiamo conto che è più conveniente procedere all’acquisizione di un’azienda che sviluppa un determinato prodotto invece di cercare di sviluppare quello stesso prodotto in house. Ovviamente prima facciamo un accurato esame di quello che abbiamo al nostro interno e a volte decidiamo di sviluppare “in proprio”, ma ci sono situazioni in cui ci accorgiamo che il prodotto di un’altra impresa è andato abbastanza lontano e si può integrare perfettamente con i nostri servizi già esistenti, contribuendo alla loro espansione. Lo ammetto, dall’esterno possiamo dare l’immagine di voler investire a 360 gradi su qualsiasi cosa. È successo anche nel caso di Calico, che peraltro non è stata un’acquisizione. A settembre 2013 il nostro ceo Larry Page e il presidente di Apple Arthur Levinson hanno fondato questa società che crea tecnologie per allungare la vita e sconfiggere le malattie. E molti si sono chiesti il motivo. In realtà questa versatilità riflette le ambizioni creative del nostro co-founder, che non ha mai avuto timore di oltrepassare i limiti della tecnologia: perché Calico ha a che fare con le biotecnologie che, se sviluppate nel modo opportuno, potranno appunto restituirci anni di vita. Un altro motivo per cui scegliamo un’azienda è quando riconosciamo che contiene un’opportunità essenzialmente radicata anche nel Dna di Google e perciò intuiamo che potrebbe volersi unire al nostro team.

Trend: wearable device, bio-tech, droni o cos’altro?

Il motto di Google è: organizzare il mondo delle informazioni e renderlo universalmente accessibile. Perciò qualsiasi futura acquisizione ruoterà intorno al concetto della diffusione e condivisione di informazioni. Per esempio stiamo lavorando ad alcuni progetti per mettere in grado le persone con disabilità di avere accesso alle informazioni. L’information sharing è un incredibile strumento di potere. Internet è stato così stupefacente e rivoluzionario perché per la prima volta ha dato la possibilità di scambiare liberamente informazioni con chi si desidera in qualunque momento e in qualsiasi occasione.

Quali acquisizioni sono state un successo e quali no?
Molte sono state uno straordinario successo, in parte perché hanno portato innovazione e in parte perché si sono integrate bene nel nostro sistema. Penso a Youtube: quando l’abbiamo acquisita nel 2006 per 1,65 miliardi di dollari alcuni ci dissero che eravamo pazzi. Altre operazioni hanno suscitato critiche. È il caso di Motorola Mobility, acquisita a maggio 2012 per una grande somma di denaro, 12,5 miliardi di dollari in tutto. È stata una mossa difensiva, perché in quel momento negli Usa erano in corso quotidiane battaglie tra le aziende relative ad accuse di plagio di brevetti. E Motorola Mobility aveva un portafoglio di brevetti particolarmente ricco. Quando è avvenuta la cessione ai cinesi di Lenovo a gennaio scorso (per 2,91 miliardi di dollari, ndr), abbiamo venduto la divisione di produzione della telefonia mobile ma non i brevetti, che sono ancora di nostra proprietà. È stata una decisione strategica, perché altrimenti le nostre risorse avrebbero continuato ad essere drenate dalle questioni legali. Attualmente c’è una legislazione all’esame del Congresso Usa che cerca di ridurre i danni fatti in passato: in sostanza invece di andare in tribunale, se hai un vasto portafoglio di brevetti punti a risolvere la questione attraverso il cross-licensing, scambio incrociato di licenze dei brevetti tecnologici. At&T e Ibm hanno imparato la lezione e utilizzano il cross licencing per evitare questioni legali.


Ma alla fine Google cosa ha imparato dai propri errori?
Un insegnamento su tutti: continuare a rafforzare la user experience. Deve essere costantemente semplificata. Vorrei tuttavia sottolineare che nella Silicon Valley il business failure è considerata un’esperienza. Non è come nel resto del mondo, e specialmente in Europa, dove il fallimento di una startup o di un’azienda è un grave errore: per noi è una chance. Ricordo che, oltre una decina di anni fa, Tony Blair, allora premier del Regno Unito, fu invitato da Cisco a pranzo con una decina di protagonisti dell’hi-tech Usa, tra cui noi di Google. Blair ci chiese: “Come posso importare il modello della Silicon Valley a Londra?” Si alzò una sola mano: era quella di Steve Jobs, che peraltro non era solito alzare la mano per chiedere di intervenire: “C’è una cosa che abbiamo tutti in comune: il fallimento di almeno una delle nostre attività”. Gli stava dicendo di mettere in conto il fallimento. Altrimenti non si è disposti a cambiare.


Voi lo siete?
Io per primo sono obbligato ad esserlo. A Google arrivano giovani manager che propongono: perché non facciamo questo progetto? Spesso mi capita di rispondere: perché l’abbiamo fatto 15 anni fa e non ha funzionato. Poi però penso che, con il tempo, le cose sono cambiate, il panorama tecnologico è stato rivoluzionato, funzionalità che prima non erano pensabili oggi sono considerate mainstream, perciò quello che non ha funzionato in passato adesso è fattibile. Per questo bisogna sempre essere aperti all’innovazione.

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