LA MANOVRA

Web tax nel mirino dell’Ict italiano: “A rischio competitività e crescita”

“Un boomerang per le imprese” il commento di Catania, Confindustria Digitale. Per Gay presidente di Anitec-Assinform: “Aumentare la tassazione partendo dell’innovazione non è mai una buona scelta”. Ma c’è chi parla anche di impatto sulle partecipate pubbliche che utilizzano piattaforme online. Con la misura il Governo stima di incassare 150 milioni nel 2019

Pubblicato il 20 Dic 2018

web-tax

Non piace alle imprese del digitale italiano la web tax introdotta dal Governo in Manovra. “L’obiettivo di giungere a una tassazione equa è irrinunciabile, ma fughe in avanti si rivelano inefficaci e controproducenti” è il commento di Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale. Anche Anitec-Assinform si fa sentire: “Rischia di penalizzare la competitività del settore Ict italiano” dice Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform, l’associazione di Confindustria delle aziende Ict, secondo cui la disposizione del Governo “preoccupa perché, sebbene si applichi soltanto a grandi imprese globali, rischia di ripercuotersi anche sulle Pmi italiane che utilizzano i servizi digitali per promuoversi o vendere i propri prodotti”.

“Sconcerto e stupore” anche dalla Fieg. “La web tax dovrebbe essere uno strumento per il riequilibrio della concorrenza dei diversi operatori nel mercato digitale e per far pagare le tasse a chi oggi non le paga in Italia – dice il presidente Andrea Riffeser Monti – ma non può costituire un alibi per una forma generalizzata di nuova tassazione sulle imprese italiane del settore con il rischio di riduzione degli investimenti e della occupazione”.

Non basta: la nuova tassa potrebbe colpire non solo i giganti come Amazon o Google, ma anche alcune partecipate pubbliche che utilizzano piattaforme online per la loro mission di tramite tra soggetti privati, riportano le agenzie. Senza una riformulazione dell’emendamento del governo alla manovra, fanno notare alcuni osservatori, la tassa sulle transazioni così come ridisegnata potrebbe avere un impatto indesiderato anche sui conti delle società controllate dallo Stato. La web tax si applicherebbe infatti anche ai ricavi derivanti dalla “messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi”

“Ci risiamo – commenta Catania -. Puntualmente nelle more di manovre economiche alla ricerca di risorse si presenta l’opzione web tax, con soluzioni di difficile applicabilità e rischio di diventare un boomerang per le imprese italiane. Soprattutto per le aziende manifatturiere e dei servizi che utilizzano le piattaforme digitali per vendere, crescere e competere sui mercati nazionali e internazionali”. Secondo il presidente di Confindustria digitale “il raggiungimento dell’equità fiscale è un obiettivo irrinunciabile per i singoli Stati  ed è nell’interesse primario dell’Ue. Ma occorre porre fine alla ipertrofica asimmetria tra giurisdizioni fiscali nazionali all’interno della Ue, evitare fenomeni di doppia imposizione, rivedere il concetto di stabile organizzazione e tassare il valore là dove effettivamente si genera. E questo è un percorso che può trovare soluzioni efficaci solo nell’ambito di un coordinamento internazionale delle politiche tributarie e regolamentari”. Non è difficile prevedere – conclude Catania “ l’impatto sui consumatori italiani sotto forma di aumento dei prezzi di beni e servizi, anche quelli tradizionali, ma comprati sulle piattaforme digitali, così come sullo sviluppo tecnologico, sulla possibilità per nuove società innovative di emergere e, in generale, sull’export.  Non c’è che una sola via quindi: accelerare al massimo il lavoro già in corso in sede Ue, la cui definizione è attesa per i prossimi mesi”.

“Come settore – continua Gay – siamo consapevoli che sia necessario regolare fiscalmente il settore ma abbiamo espresso la necessità di attendere una normativa almeno europea e auspicabilmente Ocse uniforme per non penalizzare la competitività italiana che sconta un livello impositivo già molto alto”.

Inoltre la modalità di inserimento nel maxi emendamento “senza proficuo confronto con le categorie e con gli operatori che conoscono il settore come invece avviene in sede Europea” secondo Gay “rischia di produrre una norma sbilanciata e dalle coperture quanto meno incerte”.

Le entrate ipotizzate dal Governo, osserva il presidente dell’associazione “sembrano infatti molto superiori rispetto alle stime del mercato. Mantenere i saldi di bilancio ad un livello prudenziale è essenziale per la stabilità del Paese ma aumentare la tassazione ulteriormente sulle imprese partendo dell’innovazione non è mai una buona scelta e produce, nel medio periodo, un danno a crescita e lavoro”. L’associazione si dice comunque disponibile “a sederci e confrontarci con Mef, Mise e Autorità indipendenti competenti per contribuire a definire le regole attuative della norma ed evitare che abbiamo effetti sistemici su tutto il settore produttivo e sulla spinta a innovare e digitalizzare”.

“Rischia di penalizzare la competitività del settore Ict italiano” Come settore – continua Gay – siamo consapevoli che sia necessario regolare fiscalmente il settore ma abbiamo espresso la necessità di attendere una normativa almeno europea e auspicabilmente Ocse uniforme per non penalizzare la competitività italiana che sconta un livello impositivo già molto alto”.

Inoltre la modalità di inserimento nel maxi emendamento “senza proficuo confronto con le categorie e con gli operatori che conoscono il settore come invece avviene in sede Europea” secondo Gay “rischia di produrre una norma sbilanciata e dalle coperture quanto meno incerte”.

Le entrate ipotizzate dal Governo, osserva il presidente dell’associazione “sembrano infatti molto superiori rispetto alle stime del mercato. Mantenere i saldi di bilancio ad un livello prudenziale è essenziale per la stabilità del Paese ma aumentare la tassazione ulteriormente sulle imprese partendo dell’innovazione non è mai una buona scelta e produce, nel medio periodo, un danno a crescita e lavoro”. L’associazione si dice comunque disponibile “a sederci e confrontarci con Mef, Mise e Autorità indipendenti competenti per contribuire a definire le regole attuative della norma ed evitare che abbiamo effetti sistemici su tutto il settore produttivo e sulla spinta a innovare e digitalizzare”.

Sono 150 i milioni che lo Stato stima di incassare nel 2019 dalla web tax e 600 milioni nel biennio successivo. Lo si evince dalla tabella allegata alla lettera del premier Giuseppe Conte all’Ue, che quantifica l’impatto delle modifiche alla manovra.

L’incasso stimato dalla tassa sui “giganti della Rete” salirà nel 2020 e nel 2021 a 600 milioni l’anno. Nel mirino dell’imposta le imprese che, singolarmente o a livello di gruppo, realizzano ricavi complessivi non inferiori a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali come la fornitura di pubblicità, le vendite online di beni e servizi e la trasmissione di dati realizzati nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni.

Le disposizioni attuative dovranno essere emanate dal Ministero dell’Economia di concerto con quello dello Sviluppo economico, sentite Agcom, Garante privacy e Agenzia per l’Italia digitale, entro 4 mesi dall’entrata in vigore della legge.

Rimangono ambigue le definizioni degli ambiti colpiti dalla misura: la “fornitura dei servizi venduti su piattaforme digitali” potrebbe comprendere anche aziende come Deliveroo o JustEat o le piattaforme come Airbnb o Booking, così come il marketplace di Facebook.

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