IL RECORD

Il Bitcoin sfonda gli 11mila dollari, scatta la paura “bolla”

Superato il record dei 10mila dollari, la criptovaluta vale più di McDonald’s e Walt Disney per capitalizzazione di mercato. La Ue monitora il fenomeno per capire se aprire un’indagine. Ma la Fed frena: nessun rischio per l’economia. Si apre il fronte sostenibilità: produrre monete virtuali consuma più energia dell’Irlanda

Pubblicato il 29 Nov 2017

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Il Bitcoin supera per la prima volta quota 11.000 dollari, superando il record di ieri dei 10.831,75 dollari. In sole 24 ore la criptovaluta è cresciuta del 13% . A metà ottobre scambiava ancora sui 5.000 dollari e ora vale più di McDonald’s e Walt Disney per capitalizzazione di mercato.

Il volo del Bitcoin degli ultimi giorni è dipeso da diversi fattori. Primo fra tutti l’apertura sulla piattaforma Coinbase, il più grande exchange Usa, di oltre 100.000 nuovi conti nei giorni della Festa del Ringraziamento, tra il 22 e il 24 novembre. Il numero totale di account sulla piattaforma ha così raggiunto quota 13,1 milioni. A trainare il recente balzo del Bitcoin è stato anche l’annuncio di Shinhan Bank, la seconda banca commerciale sudcoreana, che verso la metà del prossimo anno attiverà un sevizio di custodia dei Bitcoin, dando ai clienti la possibilità di usare un “wallet” realizzato dallo stesso istituto.

Secondo alcuni analisti l’exploit del Bitcoin riflette la decisione di indirizzarsi verso un’alternativa rispetto ai mercati globali tradizionali, ma mettono in guardia dal rischio di una bolla valutaria. “C’è molta schiuma – dice l’ex presidente dell’hedge fund Fortress, Mike Novogratz – Sarà la più grande bolla delle nostre vite”.

Novogratz è convinto che il prezzo delle criptomoneta potrebbe quadruplicare entro la fine del prossimo anno arrivando a 40 mila dollari. Creata nel 2009, al momento rappresenta l’attività finanziaria che registra la migliore performance. Ma restano dubbi sulla liquidità del mercato, soprattutto in caso di inversione di tendenza.

L’Unione europea monitora il fenomeno, anche per capire se aprire un’indagine. “Ci stiamo preparando perché vogliamo essere pronti se dovessero emergere delle problematiche – ha detto il commissario Antitrust, Margrethe Vestager – Stiamo cercando di avere più informazioni possibili per conoscere il fenomeno in profondità e capire se ci sono ripercussioni sull’economia reale, perché effettivamente ha dei lati oscuri”.

Riflettori accesi anche dalla Federal Reserve. Jerome Powell, il successore di Janet Yellen alla Fed indicato da Trump, ha spiegato in audizione al Congresso che le valute digitali non sono sufficientemente grandi per destabilizzare l’economia.

In Italia Francesco Boccia, presidente della commissione Finanze della Camera, chiede un intervento pubblico. “La discussione di questi anni sulla web tax ha avuto il merito di sviscerare tutte le distorsioni create dalla rivoluzione digitale in corso – spiega – Se, dal punto di vista culturale, la web tax possiamo considerarla come un tema ormai acquisito, lo stesso non si può dire sulle nuove sfide che la politica oggi ha il dovere di affrontare”.

Per Boccia al tempo del digitale va aperta una discussione anche in Parlamento sulla possibilità che sistema di pagamenti possa anche essere pubblico. “Il regolatore – averte – non può stare a guardare e lasciare libere di scorrazzare le cripto-valute e un certo tipo di scambi, girando la testa dall’altra parte, come sta accadendo sui bitcoin. Il rischio è quello di rassegnarci inermi al superamento degli Stati Nazione, senza riuscire ad intervenire in tempo sull’impatto che soprattutto la blockchain sta avendo su società, economia e finanza”.

Oltre alla questione bolla, il Bitcoin fa parlare di sè anche per quanro riguarda i consumi energetici. La moneta virtuale consuma più elettricità della maggior parte delle nazioni mondiali. Il “mining”, cioè il sistema utilizzato per emettere bitcoin attraverso la potenza di calcolo di moltissimi computer sparsi per il globo, richiede infatti 30 terawattora all’anno, più dell’Irlanda.

La cifra, calcolata dal Bitcoin Energy Consumption Index di Digiconomist, fa sì che l’ecosistema bitcoin, se fosse uno Stato, sarebbe sessantunesimo al mondo per consumo elettrico. Emettere criptovaluta richiede un’energia superiore a quella consumata in un anno da Paesi europei come Austria, Croazia e Ungheria, ma anche a quella usata da ogni Stato dell’Africa a eccezione di Algeria, Egitto e Sudafrica.

Una singola transazione in bitcoin, si legge nel rapporto, utilizza un quantitativo di elettricità sufficiente ad alimentare 10 case americane, mentre nel suo complesso l’energia consumata dalla criptovaluta potrebbe soddisfare il fabbisogno di 2,79 milioni di case. A confronto, l’elettricità necessaria ai centri di elaborazione dati che gestiscono le operazioni con le carte Visa è sufficiente ad appena 50mila abitazioni.

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