E-PAYMENT

Il fintech nel guado: stress test per le startup emergenti

L’emergenza coronavirus potrebbe fare da cartina di tornasole della qualità dei servizi. E portare a una scrematura del mercato. Si sta alzando il livello di guardia dei consumatori: “blocchi” tecnologici o malfunzionamenti di app rischiano di fare sempre più la differenza sulle scelte

Pubblicato il 13 Mar 2020

Antonio Dini

fintech

Anche il settore del fintech e dei pagamenti digitali sono impattati dall’emergenza coronavirus. Si tratta infatti di un vero e proprio stress test per le banche digitali. E le startup del fintech sono davanti alla loro prima vera prova. Di contro i tassi di interesse stanno calando molto velocemente e i consumatori spaventati cercano la sicurezza delle banche tradizionali. Quel che sta succedendo negli Usa può fare scuola.

Square e Stripe, due colossi americani del settore degli e-payment, sono nati dopo la crisi del 2008. Banche digitali come Chine e MoneyLion non hanno mai sperimentato una crisi di mercato degna di questo nome. In altre parole, tutto questo settore, completamente nuovo e strettamente legato alla tecnologia, deve ancora dimostrare che i suoi modelli di business possono sopravvivere a una crisi di primaria grandezza.

Le banche digitali, che offrono sconti sui conti correnti, carte di credito e altri servizi finanziari, riescono a farlo perché non hanno filiali fisiche e attraggono nuovi clienti grazie ai tassi più bassi e conti-risarmio con interessi più elevati di quelli delle banche tradizionali. I tassi della statunitense Chine sono attorno all’1,5% mentre quelli delle più grandi banche americane si aggirano attorno allo 0,1%.

“Riuscire a tenere quei tassi così elevati – commenta Julie Chariell, analista fintech di Bloomberg Intelligence – sarà senza dubbio una vera sfida per questo banche. Hanno meno carico grazie al fatto che non hanno sportelli e filiali. Da questo punto di vista sono molto più flessibili. Ma quando il costo del denaro comincia a scendere a picco così tanto diventa davvero difficile mantenere i tassi di interesse per i clienti”.

La Federal Reserve ha abbattuto di 50 punti base il costo del denaro lo scorso 3 marzo, e per la prima volta l’intera curva dei tassi di interesse è scesa sotto l’1%. Un altro fattore che sta creando una minaccia per il settore è l’effetto panico creato dagli andamenti negativi del mercato. Le fintech potrebbero perdere clienti o non riuscire ad attrarne di nuovi perché le persone ritengono che sia più sicuro mettere i soldi in un posto più sicuro, cioè una banca tradizionale.

Ad esempio, secondo il suo responsabile della parte finanziaria Mark Mason, Citibank sta beneficiando da questa “ricerca della qualità” e attrae nuovi correntisti. Ma c’è da puntualizzare però che oltre alla crisi del coronavirus che sta facendo  soffrire il settore, già alcune problematiche tecnologiche si erano create in tempi non sospetti: la piattaforma di investimenti digitali Robinhood Financial Markets ad esempio ha patito una serie di problemi che l’hanno costretta a fermare l’accesso a tutti e 200 milioni di dollari di depositi dei suoi correntisti. Anche Chime si è confrontata con lo stesso tipo di problema che ha bloccato l’accesso al sito, e quindi ai soldi, di molti suoi clienti.

Infine, anche alcuni clienti di MoneyLion non hanno potuto entrare nella loro app, e quindi sostanzialmente nella loro banca, dopo un aggiornamento software che c’è stato a novembre.

Secondo Julien Courbe, partner di PricewaterhouseCoopers, “quella che viene messa in discussione è l’intera prospettiva del settore fintech. È la prima volta che attraversano una crisi come questa, molto dura. Ritengo che gli scettici sul modello e la tenuta del fintech potranno solo aumentare”.

Infine, le banche e le startup per i pagamenti possono essere in difficoltà anche per la preoccupazione riguardante il credito. Molte di queste società infatti basano la loro crescita sulla capacità di fare prestiti a singoli e piccole imprese che hanno difficoltà a trovare credito presso le banche tradizionali. Square ad esempio ha aumentato del 42% il volume dei suoi prestiti a piccole aziende tra il 2018 e il 2019. “Però – dice Chariell – è anche vero che le piccole azienda sono le prime ad entrare in crisi quando c’è una brutta crisi dell’economia. Ci si può domandare come faranno le startup e il resto del fintech a superare questa fase, che per la maggior parte di loro è completamente nuova”.

Senza contare che la maggior parte delle entrate per le banche digitali proviene da commissioni di transazione quando i clienti utilizzano carte di debito collegate ai loro conti. Queste aziende negli Usa sono legate alla volontà dei consumatori di spendere e una recessione significa meno spese e quindi meno commissioni.

 

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