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Cambiamento climatico, la chiave è l’analisi dei big data

Secondo i risultati di un’indagine del Capgemini Research Institute, l’integrazione delle informazioni sulle emissioni nel processo decisionale ha aiutato un elevato numero di aziende a ridurre la Co2 annua fino al 4,6%. Un sondaggio di Ibm rivela un incremento di investimenti in intelligenza artificiale e automazione per favorire i progetti votati all’ecosostenibilità

Pubblicato il 20 Set 2022

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Le organizzazioni devono sfruttare al massimo il potenziale dei dati per raggiungere i loro obiettivi net zero. Dall’ultimo report del Capgemini Research Institute, intitolato Data for Net zero: why data is key to bridging the gap between net zero ambition and action (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO), emerge tuttavia che se da un lato la stragrande maggioranza delle aziende riconosce il valore dei dati sulle emissioni (85%), dall’altro la metà di esse sostiene di non riuscire a utilizzarli efficacemente nei processi decisionali.

Migliorare la Sustainability footprint grazie ai dati

Attualmente, le organizzazioni si avvalgono dei dati sulle emissioni soprattutto per misurare le performance di sostenibilità e solo in pochi casi anche per migliorare i processi esistenti o individuare le opportunità di riduzione delle emissioni attraverso strumenti di analisi avanzata. Sviluppando migliori capacità collaborative e di gestione dei dati a livello di settore, le organizzazioni hanno un’enorme opportunità di migliorare la propria sustainability footprint lungo tutta la catena del valore. Il report, che ha visto la partecipazione di oltre 900 aziende che hanno definito i loro obiettivi net zero, ha evidenziato che oltre la metà (53%) di quelle che utilizzano i dati sulle emissioni nel loro processo decisionale ha registrato progressi più rapidi verso il raggiungimento del net zero, come una riduzione media delle emissioni del 4,6% e una maggiore trasparenza.

Per la maggior parte delle organizzazioni, la gestione e la raccolta di dati sulle emissioni Scope 3 risulta particolarmente impegnativa: in media, si stima che queste ultime rappresentino fino al 95% della carbon footprint di un’azienda, ma solo il 24% delle organizzazioni dichiara di avere un sufficiente livello di consapevolezza circa i fornitori che producono la maggior parte delle emissioni. Inoltre, meno di un terzo (30%) delle organizzazioni misura le emissioni derivanti dall’acquisto di beni e servizi e solamente il 27% quelle derivanti dall’uso dei prodotti venduti. Questo si spiega in parte con una mancanza di fiducia nei dati raccolti, che spesso si basano su stime di settore e su fonti terze. Un altro motivo è da ricercarsi nella scarsità di competenze in materia di carbon accounting, che non permette alle organizzazioni di misurare efficacemente le emissioni e applicare i dati raccolti al processo decisionale.

L’importanza di competenze e collaborazione con i fornitori

Dal report si evince che una maggiore collaborazione a livello di ecosistema per ottenere dati affidabili sulle emissioni è essenziale per fare progressi verso gli obiettivi net zero. Attualmente, meno di un terzo (32%) delle aziende dichiara di prendere parte a iniziative di ecosistema per condividere i dati sulle emissioni con realtà esterne come Ong, competitor, fornitori e clienti. Per raggiungere le zero emissioni nette, le organizzazioni devono aumentare la collaborazione con i loro fornitori per aiutarli a migliorare le competenze di misurazione e gestione delle emissioni. Il report evidenzia inoltre la necessità di una solida base di gestione dei dati che consenta alle organizzazioni di raccogliere, consolidare e ottimizzare i dati provenienti da più fonti come parametro fondamentale per raggiungere gli obiettivi net zero in modo più smart. Questo richiede l’implementazione di meccanismi per individuare la responsabilità della decarbonizzazione all’interno delle organizzazioni, la definizione di chiari Kpi per i team aziendali e maggiori investimenti nelle competenze di carbon accounting. Inoltre, le organizzazioni devono assicurarsi che i dipendenti a tutti i livelli siano adeguatamente preparati e motivati a svolgere il proprio ruolo nel percorso verso il net zero, ma solo pochissime di loro (7%) stanno investendo per aumentare l’awareness e la formazione su temi legati alla sostenibilità e al cambiamento climatico: agire in questo senso potrebbe dare un contributo significativo per colmare la carenza di competenze.

“La sostenibilità non è un tema futuro”

“Anche se organizzazioni e governi hanno fissato i loro obiettivi net zero a cinque, dieci, trent’anni di distanza, ciò non significa che la sostenibilità sia un problema futuro – dichiara Marco Perovani, Coo di Capgemini in Italia -. Il nostro pianeta è in crisi e per monitorare i propri progressi, implementare nuovi requisiti normativi o rispondere alle richieste dei consumatori, i dati e la loro analisi sono fondamentali. Sono ancora troppo poche le organizzazioni che stanno adottando un approccio davvero basato sui dati nel loro percorso verso questi obiettivi. Anche la collaborazione gioca un ruolo cruciale, sia coinvolgendo l’intera catena del valore che attraverso alleanze globali per migliorare collettivamente i sistemi di gestione delle emissioni. Le organizzazioni devono inoltre investire in risorse dedicate alla contabilità del carbonio e definire chiari obiettivi in termini di emissioni, in modo da passare dall’ambizione all’azione”.

AI e automazione per migliorare la sostenibilità

Un nuovo studio dell’Institute for business value di Ibm, “Own Your Transformation” (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO) mette intanto in luce come i Chief supply chain officer (Csco) stiano affrontando le importanti sfide relative alla supply chain causate dalla pandemia globale di Covid-19, dall’inflazione, dal cambiamento climatico, e dagli eventi geopolitici, e come intendano mettere alla prova le loro supply chain in futuro. E quel che emerge è chiaro: i Csco stanno sempre più adottando le tecnologie di intelligenza artificiale e automazione per fornire interconnessione con partner e fornitori e per consentire operazioni sostenibili e prevedibili.

L’indagine condotta su 1.500 Csco e Chief operating officer (Coo) rivela in particolare che stanno aumentando gli investimenti in automazione, AI e flussi di lavoro intelligenti, ecosistemi e sostenibilità, e stanno re-immaginando le operazioni legate alla supply chain.  “Automazione e AI possono consentire ai Csco e alle loro organizzazioni di raccogliere dati, identificare i rischi, convalidare la documentazione e fornire audit trail, anche in periodi di forte inflazione, contribuendo nel frattempo alla gestione dei rifiuti e dei consumi di carbone, energia e acqua”, afferma Jonathan Wright, Ibm Consulting global managing partner.

I principali risultati dello studio dimostrano che il 20% degli intervistati si distingue per la capacità di accelerazione dell’innovazione, guidata dai dati, per prepararsi a un futuro incerto. Questo gruppo sta già superando i colleghi su parametri chiave tra cui una crescita del fatturato annuo superiore dell’11%. Inoltre i Csco intervistati classificano la sostenibilità come la terza sfida più importante nel prossimo futuro, dopo le interruzioni della supply chain e l’infrastruttura tecnologica

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