È sempre più evidente la rilevanza della doppia transizione (twin transition) e il suo impatto sulla competitività delle imprese. Accanto alla digitalizzazione, già ben conosciuta dalle imprese, la sostenibilità ambientale emerge infatti come driver del cambiamento: questo aspetto è connesso alla transizione energetica che viene vista come un’evoluzione necessaria che porterà ad una riconversione industriale sul fronte delle competenze, delle tecnologie e della struttura industriale. In questo scenario, le imprese devono avere “una grande visione”, un piano e un percorso da seguire che venga definito a livello istituzionale per mantenere la competitività dell’Europa nel quadro globale.
Sono le evidenze che emergono dallo studio “Siamo pronti per il futuro? Percorsi e prospettive delle imprese metalmeccaniche”, realizzato da Federmeccanica, attraverso il lab “Liberare l’Ingegno”, con l’obiettivo di indagare la transizione digitale ed ecologica al fine di conoscere lo stato dell’arte delle aziende del settore e di condividere le migliori esperienze sviluppate.
Focus sulle competenze
Il focus ha riguardato le pmi metalmeccaniche «best in class», ovvero imprese che si sono distinte per positive dinamiche di performance economico-finanziario nel periodo 2021/2018. Emerge una certa chiarezza in merito alle competenze su cui investire internamente (reskilling) e su quelle invece da assumere (“la necessità di nuove figure professionali a cui l’azienda non è abituata”), con un investimento nello sviluppo delle persone a tutto tondo. Una trasformazione ed ampliamento delle competenze che include sempre più gli ambiti del digitale, con attenzione a figure professionali più “tradizionali” che possono garantire quella personalizzazione e processi di innovazione tipici della metalmeccanica (soprattutto per chi opera nelle nicchie di mercato).
Una sfida finanziaria
L’analisi rivela poi che le sfide competitive maggiormente sentite riguardano il mercato, sempre più dinamico e globale, che richiede una scala sempre maggiore. In questo senso la sfida per le imprese è anche finanziaria, di accesso al credito e di sostegno alla crescita (“sfide che richiedono una certa massa critica”). L’ambito geopolitico non tocca tutte le imprese, ma da segnalare la necessità di guardare ad una competitività globale.
Approccio collaborativo all’innovazione
Le imprese intervistate, inoltre, fondano la competitività sull’innovazione continua e sull’interazione con i clienti, ma anche anticipando le tendenze future con investimenti appropriati (“anticipare quello che potrebbe essere il bisogno del cliente”), con un orientamento di medio/lungo termine. Le “best in class” hanno un approccio collaborativo all’innovazione, aprendosi ad altre imprese attraverso partecipazione a cluster o reti di imprese in modo proattivo. Importante il rapporto con l’università (coinvolta in modo spesso sistematico), mentre limitata attenzione viene riconosciuta ai competence center. La trasformazione digitale è realizzata da tutte le imprese in ambito soprattutto di fabbrica 4.0, con un utilizzo pieno degli incentivi per l’innovazione, secondo però una visione strategica (“il bando non è l’obiettivo, noi abbiamo il progetto che è l’obiettivo e poi il bando deve seguire”).
Il nuovo senso del lavoro
L’altro studio realizzato da Federmeccanica, “Quality working: l’avvento della ‘qualità nel lavoro’, gli italiani e il nuovo senso del lavoro e dell’industria: mutamenti e nuove rappresentazioni”, rivela che l’Italia ha prefigurato l’utilizzo dello smart working più come una modalità adattiva all’emergenza, piuttosto che strategia per realizzare una nuova organizzazione del lavoro e dell’impresa. Attualmente, la quota di occupati che – con diverse formule – lavora al di fuori dell’ambiente di lavoro ammonta circa al 15-16%. E sono soprattutto concentrati in alcuni comparti del terziario, mentre nel manifatturiero – intuitivamente – è perlopiù ridotta alle funzioni di carattere amministrativo.
Quanto è avvenuto nel biennio 2020-2021 ha rappresentato uno spartiacque simbolico, introducendo nuovi codici con i quali le persone interpretano e rappresentano la propria vita. Oggi siamo al cospetto di quality working. Ben inteso: gli aspetti materiali (condizioni, tutele, salario) continuano a essere importanti. Ma, a parità di condizioni, diventano centrali e determinanti altre dimensioni, come le buone relazioni nel luogo di lavoro, le possibilità di prospettive di carriera, l’identificazione e il coinvolgimento nei valori dell’impresa, la formazione e così via. In una parola, gli aspetti “qualitativi” del lavoro. Guardando all’insieme degli aspetti considerati importanti nella vita degli italiani, al cui interno insiste il lavoro, otteniamo un primo scenario: il 53,8%, dispone sul medesimo piano di importanza le diverse dimensioni (famiglia/sport/tempo libero/impegno sociale/cultura e lavoro); altri due gruppi però, definiscono invece delle priorità nella propria vita: il 29,2% mescolano aspetti di fondo della vita (famiglia, lavoro, salute e cultura) con altri legati al loisir (tempo libero e amici) mentre il 17,0% individua nella religione, nella politica e nell’impegno sociale gli elementi cardine di riferimento. Tuttavia, per le giovani generazioni (18-35 anni), tutti gli aspetti suggeriti – tranne lo sport – hanno un grado di importanza inferiore rispetto a quanto dichiarato dai senior (over 65).
Valenza espressiva e strumentale del lavoro
È all’interno di questo quadro che si colloca anche il valore del lavoro. Rimane un elemento di identificazione sociale, anche per le giovani generazioni, sia la sua valenza “espressiva” (40,2%) in quanto dà significato alla propria vita, consente di avere soddisfazioni e raggiungere il successo, sia per una valenza “strumentale” (24,9%), come mezzo per guadagnarsi un salario e come sacrificio inevitabile. Ma, per una parte rilevante (il 32,2% della popolazione tra gli 18-34 anni), il lavoro è sopravanzato da altri valori. Si potrebbe sostenere che il lavoro ha una «centralità marginale» nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. È certamente importante, ma… deve potersi coniugare e relazionare con altri aspetti della vita. Infatti, il 66,9% degli intervistati ritiene che la ricerca di soddisfazioni sul lavoro (insieme ad una diversa organizzazione dello stesso) sia più importante dell’avere un’occupazione stabile e ben retribuita. Ancora una volta, la dimensione quality – come l’aspetto immateriale – del lavoro prevale.