L'OSSERVATORIO

Svolta 4.0 anche per le Pmi: partnership tecnologiche driver di crescita

Osservatorio Mecspe: il digitale ha trasformato in modo significativo oltre 6 aziende del manifatturiero su 10 e il 56% degli imprenditori percepisce la propria azienda come innovativa. La spinta arriva dalla valorizzazione delle filiere. Oltre il 21% pronto ad investire fino al 20% del fatturato in ricerca e innovazione

Pubblicato il 03 Ott 2018

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Svolta 4.0 anche per le Pmi manifatturiere italiane. I dati dell’ultimo Osservatorio Mecspe sfatano il mito delle piccole e medie imprese “resistenti” all’innovazione. Nel primo semestre 2018 6 aziende su 10 si sono trasformate in modo signifcativo grazie al digitale, in un panorama che a livello generale le vede digitalizzate ormai in buona parte (47,4%), interamente (37,8%) o anche solo in pochi nodi (9,6%).

Il 55,8% degli imprenditori italiani percepisce la propria azienda molto o abbastanza innovativa, mentre 7 su 10 ritengono che tra i migliori strumenti di avvicinamento all’innovazione ci sia innanzitutto il trasferimento di conoscenza, a seguire la consulenza mirata (64,8%), le comparazioni con aziende analoghe (36,4%), i workshop (31,8%) e la tutorship di un’accademia o università (23,3%). L’87,6% ritiene di avere un livello di conoscenza medio-alto rispetto alle opportunità tecnologiche e digitali sul mercato, il 21,2% investirà nel 2018 dal 10% al 20% del fatturato in ricerca e innovazione, e in molti credono che l’innovazione abbia consentito alle aziende di fare sistema e di creare nuove filiere.

Seppure, infatti, una parte degli intervistati non abbia ancora attivato partnership tecnologiche, il 30,9% sta prendendo in considerazione di farlo, mentre il 30,4% ha fiducia nel concetto di filiera e ha già puntato su queste collaborazioni per favorire lo sviluppo tecnologico della propria azienda.

“Stiamo finalmente raccogliendo i frutti tangibili di un processo di trasformazione che ha attraversato il nostro Paese e di un senso di fiducia che guida le aziende italiane – spiega Maruska Sabato, Project Manager di MECSPE (Fiere di Parma, 28-30 marzo 2019) – Il sentiment tracciato dall’Osservatorio MECSPE sui primi sei mesi del 2018 ne è la conferma. La considerazione che gli investimenti attuati nell’ambito della tecnologia e innovazione siano serviti è positiva per la maggior parte degli imprenditori, convinti che questa sia la direzione giusta su cui proseguire. Formazione e trasferimento di conoscenza rimangono però gli asset fondamentali, senza i quali nessuna sfida può essere colta fino in fondo in modo efficace”.

Confermate le intenzioni di investimento nelle nuove tecnologie abilitanti, già in largo uso nelle Pmi della meccanica e della subfornitura, che ad oggi hanno introdotto soluzioni in particolare per la sicurezza informatica (89,2%) e la connettività (79,7%), il cloud computing (67,1%), la robotica collaborativa (35,4%), la simulazione (31%), i big data (29,1%), la produzione additiva (28,5%) e l’Internet of Things (27,8%). La realtà aumentata è stata privilegiata dal 15,2%, così come i materiali intelligenti, mentre le nanotecnologie dal 7%. Al momento, i principali fattori di rallentamento della digitalizzazione sono rappresentati da un rapporto incerto tra investimenti e benefici (per il 43,5% delle aziende), dagli investimenti richiesti troppo alti (35,7%), dalla mancanza di competenze interne (26,2%), dall’arretratezza delle imprese con cui si collabora (17,9%), nonché dall’assenza di un’infrastruttura tecnologica di base adeguata (14,3%), dalla mancanza di una chiara visione del top management (12,5%) e da troppi dubbi sulla sicurezza dei dati e sulla possibilità di cyber attack (4,8%).

In questo quadro che ruolo svolgono persone e tecnologia? Nel processo di trasformazione digitale, il rapporto uomo-macchina viene visto sotto più punti di vista. Oltre la metà del campione (54,8%), ritiene che le persone abbiano sempre un ruolo fondamentale, di centralità nei processi, e che la percezione umana sia il vero driver del cambiamento. Per il 36%, invece, è la tecnologia ad avere un ruolo di primo piano, ma solo se supportata da un’adeguata formazione umana e da un cambiamento culturale. L’8,6% ritiene la tecnologia fondamentale e l’unico fattore abilitante per la costruzione di soluzioni, che consentono di migliorare paradigmi di processo ormai obsoleti, mentre solo lo 0,5% ha una visione catastrofica, secondo cui le persone non assumono più un ruolo centrale e sono destinate ad essere sostituite dalle macchine. Alla domanda se le attuali figure professionali scompariranno, il 68,3% risponde “Non del tutto”, pronosticando che si assisterà alla nascita di nuove/specifiche figure con forti competenze in ambito IT; per il 24,3% alcune figure rimarranno insostituibili, rispetto al 7,4% che pensa che le professioni tradizionali non riusciranno a tenere il passo e saranno inevitabilmente sostituite.

Guardando al futuro, ai giovani e alle digital skill, i profili specializzati più richiesti entro il 2030 saranno  il Robotic engineer (30,3%), gli specialisti dei big data (17,9%), i programmatori di intelligenze artificiali (13,8%); a seguire lo specialista IoT (9,2%), il multichannel architect (7,7%) e gli esperti di cybersicurezza (6,2%). Dal punto di vista della preparazione complessiva che la quarta rivoluzione industriale richiede al personale nell’analisi e gestione dei dati, il livello di competenze è giudicato alto da quasi 6 imprenditori su 10 (56,2%) e medio dal 38,4% degli intervistati. Per la ricerca di nuove professionalità che facciano fronte alla sfida dell’industria 4.0, l’azienda si indirizza verso agenzie di ricerca del personale (53,4%), Università (38,9%), Istituti tecnici (36,1%), società di consulenza (24,5%), Istituti e scuole professionali (24%). Non mancano però come punto di riferimento anche le inserzioni (15,4%) e gli uffici di collocamento (9,6%).

Per quanto riguarda l’andamento economico delle Pmi tricolore questo risulta complessivamente soddisfacente per le imprese italiane del comparto della meccanica e della subfornitura, con il 74,8% degli imprenditori che parla di performance aziendale molto positiva, il 24,1% che si dice mediamente appagato e solo l’1,1% contrariato. Nella prima metà del 2018, rispetto allo stesso periodo del 2017, i fatturati hanno registrato una crescita per il 61,4% delle aziende, mentre il 32,4% dichiara stabilità e il 6,1% un calo. Un aumento significativo anche dal punto di vista del confronto con il 2017, con ben 12,6 punti percentuali in più. Il portafoglio ordini è giudicato “adeguato” ai propri livelli di sostenibilità finanziaria dall’89,6% delle imprese, contro un 10,4% per cui è insufficiente. Per quanto riguarda le previsioni per la restante parte dell’anno in corso, sul fronte dei fatturati il 66,6% si aspetta una crescita, il 28,5% stabilità e il 4,9% prospetta un calo. Numeri ancora in aumento rispetto a quelli di un anno fa, quando la percentuale delle aspettative positive era del 57,9%.

L’export resta fattore di traino per le Pmi italiane del manifatturiero con 7 su 10 (70,1%) che dichiarano di esportare i propri prodotti e servizi, con un’incidenza variabile. Il 25,4% dichiara di realizzare all’estero meno del 10% del proprio fatturato, il 12,9% “dal 10% al 25%”, il 15,2% “dal 26% al 45%”, il 12,1% “dal 46% al 70%” e il 4,5% “oltre il 70%”. Chi esporta punta prevalentemente verso gli Stati dell’Europa Centro-Occidentale (82,4%), seguiti da quelli dell’Europa dell’Est (49,5%) e dell’Asia (30,8%). Circa il 26,4% esporta in Nord America, mentre la Russia per il 14,3%, il Medio Oriente e il Sud America per il 12,6%, l’Africa Settentrionale per il 9,9%, l’Oceania per il 4,9% e l’Africa Meridionale per il 2,7% rappresentano gli altri mercati di sbocco. Non ci sono dubbi sul futuro del mercato in cui si trovano a operare le singole aziende: nei prossimi 3 anni, solo il 6,5% si aspetta una contrazione dello scenario in cui opera contro un 59,8% apertamente convinto dello sviluppo del proprio mercato di riferimento e un 33,7% che crede non ci saranno grosse variazioni rispetto all’andamento attuale.

 

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