L'ANALISI

Competenze digitali, italiani ancora sotto la media europea

Il 56esimo Rapporto Censis delinea uno scenario fortemente impattato dall’emergenza sanitaria e dallo smart working, con la crescita della fruizione di servizi online e l’evoluzione di una dieta mediatica sempre più ibridata. Ma il profilo del Paese, secondo l’indice Desi, rimane quello di un innovatore moderato

Pubblicato il 02 Dic 2022

Domenico Aliperto

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L’Italia in Europa si colloca ancora tra gli innovatori moderati. A dirlo è l’indice Desi, che misura la digitalizzazione di economia e società nel Vecchio continente. Con un punteggio pari a 49,3 rispetto a una media europea di 52,3, il nostro Paese risulta quindi indietro non solo sulle competenze digitali specialistiche, ma anche su quelle di base, possedute dal 46% dei cittadini contro un valore medio europeo del 54%.

Gli italiani e il rapporto con il web

Il capitolo ‘Processi formativi’ del 56esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2022, che contiene i dati dell’indice, rivela inoltre che a usare Internet è l’89,5% dei 55-74enni italiani laureati (media Ue corrispondente: 94,9%). L’83,4% dei 55-74enni laureati invia email per ragioni non lavorative (Ue: 88,1%), il 73,2% fa telefonate e videochiamate (Ue: 66,6%), mentre il 62,8% fruisce dei servizi di Internet banking (Ue 70,3%) e il 58,2% fa acquisti online (72,5%). Il 57,5% visita e interagisce con i siti web della Pa (75,5%) e il 40% accede a un social network (Ue: 42,1%).

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Secondo il rapporto, la possibilità di muoversi all’interno della rete ha consentito a molti italiani di spezzare l’assedio durante il lockdown. Non è dunque un caso che le attività quotidiane mediate da Internet abbiano registrato un incremento. Dal reperimento di informazioni su aziende, prodotti, servizi (lo fa il 64,9% degli utenti di internet), allo shopping online (51,6%), passando per l’ascolto di musica (48,1%) e la gestione di operazioni bancarie (46,6%), tutti i parametri indicano un incremento netto. Nel confronto con il 2019, la crescita più rilevante riguarda in particolare tre ambiti: la frequenza di corsi scolastici, universitari o di formazione (+8,9% rispetto al 2019), la prenotazione di visite mediche (+4,8%) e l’e-commerce (+3,5%). Al contrario, a causa delle restrizioni alla mobilità, è diminuita la ricerca di strade e località tramite i dispositivi digitali (-15,2%) e la prenotazione di viaggi (-13,2%).

L’impatto dello smart working

Gli effetti della digitalizzazione durante la pandemia, naturalmente, non sono stati riscontrati solo rispetto alle abitudini online. La transizione verso lo smart working coinvolge infatti spazi e beni di uso privato e collettivo all’interno delle città. Il 37,8% degli italiani dichiara di avere riscoperto il proprio quartiere e gli esercizi di prossimità. Il telelavoro favorisce il ribilanciamento tra i luoghi urbani: si svuotano i grandi quartieri impiegatizi e si ripopolano le periferie. E favorisce il rimescolamento delle persone nei luoghi (si pensi al fenomeno del south working) o alla competizione delle città e dei territori per attrarre i lavoratori digitali che operano da remoto. Senza trascurare la rivincita delle seconde case: oggi l’11,1% degli italiani è tornato a utilizzare immobili prima trascurati (tra i residenti delle grandi città la percentuale sale al 21,5%).

In generale, le opinioni degli italiani convergono sull’utilità dello smart working: il 53,0% si dice parzialmente d’accordo al suo utilizzo come modello stabile per i rapporti professionali, e il 23,9% pensa che la sua adozione possa aumentare la produttività aziendale. Il 49,6% vede in questo passaggio uno stimolo a profondere un maggiore impegno nel proprio lavoro, il 30,1% dei lavoratori dichiara che si trova già, di fatto, in questo tipo di situazione, e solo il 20,3% lo considera del tutto ininfluente rispetto al proprio impegno.

Come cambia la spesa per i consumi mediatici

La spesa delle famiglie per i consumi mediatici tra il 2007 e il 2020 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi abbia subito una drastica flessione, senza ancora ritornare ai livelli precedenti la grande crisi del 2008 (-13,0% in termini reali è il bilancio alla fine del 2020, aggravato dalla recessione dell’anno scorso), la spesa per l’acquisto di telefoni e equipaggiamento telefonico ha segnato un vero e proprio boom, moltiplicando per oltre cinque volte il suo valore (+450,7% nell’intero periodo, per un ammontare di 7,2 miliardi di euro nell’ultimo anno).

La spesa dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+89,7%), mentre i servizi di telefonia hanno conosciuto un assestamento verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-21,1%, per un valore comunque pari a 14,6 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno). Infine, la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo: -45,9% dal 2007.

I media e l’ibridazione nel post Covid

Rispetto alla dieta mediatica degli italiani, nel 2021 la fruizione della televisione ha conosciuto un incremento rilevante dovuto sia alla crescita degli usi tradizionali, sia degli impieghi più innovativi. Aumentano sia i telespettatori della tv tradizionale (il digitale terrestre: +0,5% rispetto al 2019) e della tv satellitare (+0,5%), sia quelli della tv via Internet (web tv e smart tv salgono al 41,9% di utenza: +7,4% nel biennio) e della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 a un terzo degli italiani oggi (33,4%), con un aumento del 5,2% solo negli ultimi due anni.

All’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media, anche la radio continua a rivelarsi all’avanguardia. Complessivamente nel 2021 i radioascoltatori sono il 79,6% degli italiani, stabili da un anno all’altro. Se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale perde 2,1 punti percentuali di utenza e l’autoradio 3,6 punti (penalizzata dalle limitazioni alla mobilità imposte dall’emergenza sanitaria), aumenta invece l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc (lo fa il 20,2% degli italiani: +2,9%) e attraverso lo smartphone (lo fa il 23,8%: +2,5%).

Nonostante la diminuzione della spesa, sembra essersi arrestata l’emorragia di lettori di libri: nel 2021 sono il 43,6% degli italiani, con un aumento dell’1,7% rispetto al 2019 (sebbene nel 2007 chi aveva letto almeno un libro nel corso dell’anno era il 59,4% della popolazione). Se si considera che chi ne ha letti più di tre costituisce una fetta pari al 25,2%, si può affermare che il lockdown ha senz’altro prodotto un riavvicinamento alla lettura. Sale anche il numero di lettori di e-book, pari oggi a un italiano ogni dieci (l’11,1%: +2,6%). Al contrario, si accentua la crisi ormai storica dei media a stampa, a cominciare dai quotidiani venduti in edicola, che nel 2007 erano letti dal 67,0% degli italiani, ridotti al 29,1% nel 2021 (-8,2% rispetto al 2019). Lo stesso vale per i settimanali (-6,5% nel biennio) e i mensili (-7,8%).

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