L'INTERVISTA

Corso: “Lavoro 4.0 sfida cruciale per l’Italia che cresce”

Intervista al direttore scientifico di P4I e docente al Politecnico di Milano: “Smart working e Industria 4.0 saranno il banco di prova per la trasformazione del mercato. Ma alla politica serve una visione di Paese”. Formazione chiave di volta

Pubblicato il 07 Mag 2018

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Il lavoro 4.0 sarà la sfida cruciale per un’Italia che sta tornando a crescere. Ne è convinto Mariano Corso, direttore scientifico di P4I e docente al Politecnico di Milano, che evidenziando gli effetti del Jobs Act sulla flessibilità del mercato del lavoro – più uscite ma anche più assunzioni – sottolinea come il prossimo governo debba rimettere il lavoro al centro delle politiche strategiche.

“Nei mesi di campagna elettorale tutte le forze politiche hanno dedicato ampio spazio al tema lavoro, con sfumature e accenti diversi – spiega Corso – Quello che ora va fatto è mettere in relazione la questione con l’altro grande tema che è quello della trasformazione digitale. L’innovazione, tecnologica ma anche organizzativa, è una leva per aumentare il livello di flessibilità sul mercato”.

Il Jobs Act ha portato risultati su questo fronte.

Certamente il provvedimento ha dato una scossa a un mercato caratterizzato, vuoi per motivi storici vuoi politici, da una forte rigidità. Che però non è stata del tutto eliminata.

Per quale motivo?

A mio avviso molto è dipeso da una certa resistenza dei lavoratori al cambiamento. O meglio dalla resistenza a far evolvere le competenze e le professionalità verso un modello che guardi al risultato invece che alle ore effettivamente lavorate. E’ tempo di gettare il cuore oltre l’ostacolo. È ovvio che la trasformazione non avverrà con uno switch off ma con una strategia complessiva che dia priorità anche alla sfida culturale o comunque di cambiamento di mentalità.

In questo contesto che ruolo gioca il digitale?

Cruciale, direi. Prendiamo, ad esempio, lo smart working: oltre a mettere i lavoratori nelle condizioni di riappropriarsi dei propri tempi e spazi, offre l’opportunità di “iniettare” nell’attività svolta pensiero critico, creatività e poi sperimentare nuove tecnologie. Quello che è mancato finora all’Italia è stata la capacità di sfruttare l’innovazione per aumentare la produttività. Ma per raggiungere questo obiettivo serve una svolta anche culturale. E qui la politica deve assumersi la responsabilità di elaborare una visione di Paese all’avanguardia.

Ci si è provato con il Piano Industria 4.0 a dare una prospettiva di cambiamento all’Italia…

Industria 4.0 sarà “IL” banco di prova per il mercato del lavoro. Si tratta di una rivoluzione che non investe solo la fabbrica ma tutto ciò che ruota intorno ad essa: le attività dei colletti bianchi, ad esempio, fino a quelle dei servizi al cliente finale.

Abbiamo le carte in regola per superare la prova?

Stanno accadendo cose interessanti. Oltre all’interesse del comparto manifatturiero che si è mosso per accompagnare la svolta – basti pensare ai progetti di formazione e riqualificazione messi in campo da Federmeccanica – anche i sindacati sono scesi in campo. Il patto per la fabbrica formato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil è un accordo sulla contrattazione collettiva che intende definire un nuovo modello di relazioni industriali, più efficace e partecipativo, per favorire la trasformazione industriale generata da Industria 4.0, rafforzare la competitività del Paese e rimettere, appunto, al centro il lavoro.

La digital disruption rompe gli schemi e rischia di far scomparire professionalità e competenze. Anche non volendo parlare di disoccupazione tecnologica nuda e cruda, certamente molti lavori andranno a scomparire. La politica, le imprese e i sindacati non possono stare a guardare.

Certamente no, ecco perché bisogna poi lavorare su questo fenomeno e su quello dell’esclusione dei lavoratori e delle lavoratrici più deboli. In che modo? Accelerando i percorsi di riqualificazione attraverso politiche attive, indispensabili per mettere i lavoratori in grado di reggere all’impatto della rivoluzione tecnologica più profonda, veloce e pervasiva che la storia ricordi.

Anche il mondo della scuola e dell’università si deve attrezzare.

ll nostro sistema educativo è palesemente inadeguato a fronteggiare il cambiamento: i programmi scolastici ed universitari sono rimasti per lo più immutati. Sono stati fatti passi nella giusta direzione: la riforma della scuola professionale ha dato alcuni timidi segnali positivi, ma siamo ancora lontani e procediamo davvero troppo lentamente per sperare di competere. Bisogna ricominciare ad investire nell’istruzione, rilanciare sull’alternanza scuola-lavoro e avvicinare le università. ai bisogni delle imprese, e viceversa. La trasformazione digitale genera occupazione solo dove si investe in competenza.

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