EMPLOYEMENT OUTLOOK

Smart working, sprint in Italia. Ocse: “Ma troppe disparità tra vita privata e lavoro”

In un anno, su spinta della pandemia, lavoro agile è passato dal 5% al 40%. Al contempo sono cresciute disuguaglianze sul fronte del work-life balance, tra lavoratori in base al livello di istruzione. Permane il gender gap

Pubblicato il 07 Lug 2021

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Il telelavoro, con la crisi legata alla pandemia da Covid-19, è cresciuto in maniera importante in tutti i Paesi Ocse e anche in Italia, dove precedentemente era “era molto limitato e coinvolgeva meno del 5% dei lavoratori dipendenti” mentre nei mesi scorsi “ha raggiunto il 40%”. A sottolinearlo L’Ocse, che oggi presenta il proprio “Employment Outlook”.​

Il telelavoro “ha permesso di salvare milioni di posti di lavoro, ma ha anche generato tensioni sul fronte dell’equilibrio tra via privata e lavorativa” e ha anche generato disparità fra i lavoratori.

“Nell’aprile 2020, il 60% dei dipendenti con istruzione universitaria ha lavorato da casa, ma solo un numero trascurabile di lavoratori con bassi qualifiche ha potuto fare altrettanto”, evidenzia l’Ocse, secondo cui in Italia “il 58% dei lavoratori con basse qualifiche ha dovuto interrompere l’attività lavorativa”, un risultato “20 punti percentuali più alto rispetto alla media” dei Paesi membri dell’organizzazione.

Secondo l’Ocse, dopo le  diverse ondate della pandemia e le restrizioni che le hanno accompagnate, i progressi della campagna vaccinale permettono  di vedere la luce in fondo al tunnel anche nel lavoro, ma non  per tutti. In molti Paesi industrializzati – prevede l’Ocse – i tassi di occupazione  resteranno sotto i livelli pre-crisi almeno fino alla fine  del 2022, dopo che il Covid-19 ha cancellato in un mese dieci  anni di progressi compiuti dalla fine della crisi finanziaria  globale, ampliando le disuguaglianze sul mercato del lavoro,  delle competenze e delle opportunità. Alcune categorie, come  i giovani, le donne, i lavoratori poco istruiti o con  contratti atipici o precari, si sono trovate nell’occhio del  ciclone e hanno pagato il prezzo più alto in termini di perdita di occupazione e di reddito. Con l’avanzare della
ripresa nei prossimi mesi ed anni, se questo impatto  disuguale resterà irrisolto, rischia di tradursi in un  aumento ancora più duraturo delle disparità, ammonisce  l’Ocse.

Al tempo stesso – sottolinea lo studio – le misure  varate dai Governi dei Paesi industrializzati per proteggere  il lavoro hanno permesso di salvare fino a 21 milioni di  posti nel momento peggiore dell’emergenza. Al picco della crisi, sussidi analoghi alla cassa integrazione hanno  sostenuto circa 60 milioni di posti di lavoro nell’Ocse (20%  del totale), un livello dieci volte superiore a quello raggiunto durante la crisi finanziaria. L’uso di questi  sussidi è poi sceso al 6% dell’occupazione nella parte
iniziale del 2021.

Nei prossimi mesi, “i sussidi devono continuare a sostenere i settori la cui attività rimane  limitata e devono concentrarsi sui posti di lavoro con
maggiore probabilità di sopravvivenza nei settori che  possono riprendere l’attività”, è la raccomandazione dell’Ocse, con la sottolineatura che il sostegno dei “Job
Retention Scheme” “può essere solo temporaneo” e “non  dovrebbe diventare uno strumento per dare supporto ad aziende  con difficoltà strutturali perché questo rischia di minare  la creazione di posti di lavoro buoni’.

Il rapporto ricorda che in un solo mese, con lo scoppio della pandemia, il tasso di disoccupazione nell’Ocse è aumentato di 3 punti percentuali raggiungendo l’8,8%
nell’aprile del 2020. L’incremento iniziale è stato parzialmente riassorbito nel terzo trimestre del 2020, grazie  in gran parte alla ripresa di rapporti di lavoro temporaneamente sospesi. Il miglioramento del mercato del  lavoro, tuttavia, in seguito ha subito un rallentamento a  causa delle nuove ondate della pandemia e delle misure per  contenerle. Alla fine del 2020 circa 22 milioni di posti di lavoro erano svaniti nell’Ocse rispetto al 2019 e globalmente erano scomparsi 114 milioni di posti. A maggio 2021, il tasso di disoccupazione nell’Ocse era del 6,6%, con totale di 43,7 milioni di disoccupati, 8 milioni in più rispetto al periodo  ante-pandemia. E con 14 milioni in più di persone inattive.

Le ore lavorate

Nel marzo 2021 le ore lavorate erano ancora del 7% inferiori  al livello del dicembre 2019 nei dieci Paesi in cui sono  disponibili i dati, per quanto in recupero rispetto al -15%  del secondo trimestre 2020. Con le riaperture in corso in  molti Paesi, le proiezioni indicano che il livello di  disoccupazione Ocse scenderà di un altro punto percentuale per la fine del 2022 al 5,7%, ma gran parte dei Paesi Ocse a quella data avrà ancora un tasso superiore ai livelli pre-crisi. In Irlanda, ad esempio, sarà ancora di oltre 2 punti maggiore dell’ante-pandemia, in Gran Bretagna di 1,6 punti e in Svizzera di 1. La natura della crisi ha fatto sì che alcuni lavoratori siano stati più colpiti, mentre altri, oltre ad averne risentito meno, stanno beneficiando più rapidamente della ripresa.

Le ore lavorate, ad esempio, sono diminuite del 28% nell’Ocse nelle occupazioni a bassa retribuzione, 18 punti percentuali in più  rispetto alla  riduzione registrata nelle occupazioni altamente retribuite.

I numeri per istruzione e fasce di età

Tra le persone poco istruite, l’impatto della crisi sulle ore  lavorate è stato di quasi 3 volte superiore rispetto a quello delle persone con un alto livello di istruzione, con
metà delle ore perse legata a perdite del posto di lavoro,  mentre tra le persone istruite la riduzione riflette  semplicemente un minore orario di lavoro. Analogamente le ore lavorate dai giovani sono diminuite di oltre il 26%, quasi il  doppio rispetto al calo registrato tra i lavoratori delle fasce di età maggiori (15%) e – anche per loro – per la maggior parte a causa della perdita del lavoro, mentre tra i  lavoratori più maturi si è trattato per lo più di una riduzione dell’orario di lavoro. La disoccupazione tra i 15-24enni è passata dall’11,3% del febbraio 2020 al 18,9% in  due mesi. Negli Usa e in Canada è aumentata di 17 punti percentuali al 27% nell’aprile 2020.

Cifre che traducono  il fatto che i giovani sono più spesso impiegati nei settori  maggiormente colpiti dalla crisi, come la ristorazione e,  mancando di esperienza, sono spesso i primi ad essere  lasciati a casa. L’aumento della disoccupazione giovanile è  d’altro canto dovuto, oltre al flusso di quanti hanno perso il lavoro, a quello dei giovani che cercano un’occupazione  una volta finiti gli studi, ma non la trovano.

I tassi di  disoccupazione giovanile probabilmente resteranno elevati  ancora per qualche tempo, prevede lo studio. Dopo un decennio  di flessione, è così aumentato anche il numero di Neet, i  giovani che non sono né a scuola, né al lavoro o in  formazione. L’impatto del Covid-19 sulle ore lavorate è  stato poi più pesante sui contratti temporanei, cioè precari che sono oltre tutto concentrati sulle persone meno
istruite. In Europa la riduzione media è stata del 28% su  base annua, il doppio rispetto alla riduzione a carico dei  lavoratori a tempo indeterminato.

Pesanti anche le ricadute  sui lavoratori autonomi, che hanno visto le loro ore lavorate
diminuire del 19% durante la prima ondata della pandemia  rispetto all’anno prima, 12 punti percentuali in più  rispetto ai lavoratori dipendenti e in questo caso il livello
di istruzione non ha fatto differenze.

Il gender gap

Le donne, più spesso impiegate in settori colpiti dai lockdown, hanno risentito  soprattutto della prima ondata della pandemia, con una  riduzione delle ore di lavoro di oltre il 21% contro il 19%  dei loro colleghi uomini e un aumento del divario di genere occupazionale di 1 punto in media nell’Ocse, che tuttavia
in seguito hanno recuperato, anche se restano tra i gruppi  vulnerabili.

L’impatto settoriale

Un altro aspetto è stato l’impatto settoriale:  nelle attività alberghiere e ristorazione il numero delle  ore lavorate è dimezzato nel secondo trimestre del 2020, per poi ridursi a -20% nel terzo trimestre, ma con l’80% della riduzione causata dalla distruzione di posti di lavoro. Analogo l’andamento nel settore delle Arti, dove le ore  lavorate sono diminuite del 42% nel secondo trimestre 2020, prima di risalire a -14%. Costruzioni e immobiliare hanno visto un forte rimbalzo dal terzo trimestre 2020 e anche il
retail, inizialmente nel pieno della tempesta, ha beneficiato delle riaperture. I settori dell’informazione e della comunicazione come pure le attività finanziarie ed
assicurative, per contro, hanno registrato un aumento delle ore lavorate rispetto all’ante-crisi, dovuto probabilmente alla velocità con cui sono stati in grado di adattarsi alle mutate condizioni di lavoro, inclusa la riduzione dei tempi  di viaggio e il tele-lavoro.

Il telelavoro

L’uso del telelavoro è in effetti aumentato notevolmente con la crisi del Covid-19. La percentuale di lavoratori dipendenti in smart working è cresciuta dal 16% al 37% nei paesi Ocse con dati disponibili,  il che ha permesso di salvare milioni di posti di lavoro, ma  ha anche generato tensioni sul fronte dell’equilibrio tra via  privata e lavorativa. Esistono, inoltre, notevoli differenze  nell’accesso al telelavoro: il 55% dei lavoratori con  istruzione elevata ha potuto lavorare da casa contro solo il  19% tra i lavoratori con istruzione più bassa.

I sostegni

Nonostante il  forte impatto della crisi del Covid sull’occupazione e sulle  retribuzioni, i Governi dei Paesi industrializzati sono  riusciti a proteggere le famiglie con un ampio utilizzo di  forme di sostegno. Tra il quarto trimestre 2019 e il secondo  trimestre 2020, nonostante una contrazione del Pil pro-capite  del 12,4% nell’area Ocse, il reddito disponibile lordo reale  è aumentato del 3,9% grazie alle misure di sostegno statale.
Si tratta pero’ di dati – osserva lo studio – che dicono poco su come tale sostegno sia stato distribuito tra le varie classi di reddito e vi sono evidenze che mostrano come alcuni  gruppi siano stati lasciati “vulnerabili e esposti in modo  sproporzionato alle perdite di lavoro e reddito”.

Il futuro

Inoltre – ammonisce l’Ocse – il pieno impatto della crisi sul mercato  del lavoro non èalle nostre spalle. La distruzione di posti  di lavoro dipende non solo dalla durata delle restrizioni, ma  anche dalle aspettative e dai cambiamenti di lungo termine  nei consumi e nella tecnologia. Le aziende stanno  ristrutturandosi in modi che accelerano trend pre-esistenti,  quali l’automazione, la digitalizzazione e vedono una  maggiore domanda di professionisti nel settore sanitario e  “verde”. Guardando avanti, i Governi dovrebbero dare la  priorità al miglioramento delle competenze e alla formazione
dei lavoratori piu’ colpiti, ad affrontare i gap nella  protezione sociale, cogliendo l’opportunità veramente unica  offerta dai loro piani di ripresa di affrontare anche i
problemi strutturali che pesano sul mercato del lavoro.

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