L'INTERVISTA

Serie A e diritti tv, Campanini: “Tim-Dazn leva per spingere l’ultrabroadband in Italia”

L’Ad della unit italiana di Kearney: “Se l’offerta della piattaforma dovesse risultare vincente il ruolo di TimVision come aggregatore di contenuti ne uscirebbe molto rafforzato”. Ma i giochi sono ancora aperti: la proposta di Sky rimane competitiva

Pubblicato il 24 Feb 2021

Campanini

Analizzare l’asta per i diritti TV della Serie A per il triennio 2021-2024 prendendo in considerazione soltanto gli importi delle offerte sul tavolo (840 milioni nella busta di Dazn per l’esclusiva di 7 match di ogni turno e la condivisione degli altri 3 con Sky contro i 750 di quella di Sky per tutte le partite con esclusiva solo sul satellitare e la possibilità per la Lega di creare il proprio canale in streaming) potrebbe essere fuorviante. Perché attorno a questa vicenda si intrecciano una serie di variabili che rendono l’esito meno scontato di quanto sembrerebbe considerando i 90 milioni l’anno di differenza tra le due offerte. In ballo infatti ci sono la possibilità di creare un canale, la battaglia di posizione dei presidenti sul futuro della Lega, con all’orizzonte il possibile ingresso dei fondi di investimento e un rinnovato modello di business, fino ad arrivare alla “Super League” europea che divide le società del massimo campionato. Tutto questo senza dimenticare il futuro dell’ultrabroadband nel Paese. Claudio Campanini, amministratore delegato di Kearney Italia, società globale di management consulting, illustra in un’intervista a CorCom la propria visione sul futuro dei diritti televisivi della serie A e sulle questioni che ruotano intorno all’asta, che quest’anno ha registrato l’ingresso “indiretto” in campo di Tim come partner di Dazn, se la piattaforma di streaming di eventi sportivi dovesse aggiudicarsi la gara.

Campanini, cosa ha portato Tim a rendere pubblica la prospettiva di una partnership con Dazn, e che scenario si verificherebbe se a vincere fosse questa offerta?

La scelta di Tim è in coerenza con la sua strategia legata a TimVision, ovvero di renderla sempre più una piattaforma aggregatrice di contenuti terzi, dove si possono trovare il maggior numero di App di intrattenimento e sport insieme. Chi non ha la smart tv può usare il “box”, chi ce l’ha può contare su un’App in più che aggrega contenuti di vari provider. Se dovessero essere confermate le indiscrezioni che parlano della disponibilità di Tim di mettere in campo oltre 300 milioni di euro per un accordo sulla distribuzione in esclusiva di Dazn in Italia, è chiaro che si tratta di una mossa che rafforza la value proposition di Tim e che mira a stimolare un utilizzo sempre maggiore dell’ultrabroadband, potendo contare sulla trasmissione in esclusiva di 7 partite su dieci del massimo campionato. Sarebbe un’accelerazione ulteriore rispetto a quanto avvenuto finora, che aprirebbe anche nuove opportunità di business legate al calcio come driver per la diffusione di Internet e della banda ultra-larga.

Sullo sfondo rimane il tema del digital divide. Sarà un ostacolo?

Il problema del digital divide è legato alla configurazione di rete italiana. Le zone con pochi megabit di banda disponibile al cliente difficilmente potranno avere la qualità richiesta da un evento live in 4K o Uhd. Il tema della qualità di visione è peraltro legato sia all’accesso che alla disponibilità di una content delivery network dimensionata opportunamente per un evento fruito da milioni di spettatori in contemporanea. Ovviamente Tim e Dazn dovranno trovare contromisure a questi problemi non da poco, come avverrà ad esempio superando con il TimVision Box il problema di chi non ha in casa una smart Tv.

Quali sono gli elementi che la Lega serie A dovrà tenere in considerazione per assegnare i diritti?

I temi sul tavolo sono diversi. A partire dal fatto che in gara ci sono un operatore, come Sky, che ha fatto la storia del calcio in TV in Italia, avendo investito cifre importanti per tanti anni (800mln all’anno nell’ultimo triennio) e uno, Dazn, che è presente nel nostro Paese da soli tre anni, e che sta offrendo per i diritti una cifra superiore al proprio fatturato europeo. Sarebbe quindi fuorviante utilizzare come unico strumento per decidere la differenza di 90 milioni di euro l’anno che si registra tra le due offerte. Anche perché Sky, ad esempio, ha fatto un’offerta che include la possibilità per la Lega di creare un canale sportivo di trasmissione delle partite, che porterebbe risorse aggiuntive, grazie alla rivendita dello stesso ad esempio agli operatori di telecomunicazione sull’online. Questo perché Sky, come disposto dall’Antitrust, non potrebbe disporre del diritto in esclusiva su Internet per problemi di monopolio.

Quanto conta l’effetto “disruption” in una situazione come questa?

Credo che rimanga fondamentale fare una valutazione che vada oltre il prossimo triennio, per fare in modo che non debba ripetersi quello che è successo nel caso di Mediaset Premium, che dopo essersi aggiudicata i diritti per la Champions League non è riuscita a monetizzare commercialmente l’esclusiva, riducendo pesantemente l’offerta nella gara successiva. Sarà importante quindi prendere in considerazione anche il possibile assetto di mercato che potrà configurarsi tra tre anni. L’esempio può venire anche dall’estero, dove i “disruptor” ci sono stati, con offerte importanti poi ridimensionate nei giri successivi: nel Regno Unito e in Francia questa dinamica ha causato qualche problema. Sarà necessaria una riflessione attenta e strategica, anche sul fatto che potremmo trovarci in futuro di fronte a un mercato estremamente frammentato, che non sempre ha effetti positivi sulla domanda. Con una forchetta più ampia probabilmente il fattore economico sarebbe stato dirimente, ma nel caso specifico le differenze non sono così grandi come sembrerebbero.

Cosa cambierebbe per Sky se non dovesse aggiudicarsi i diritti per la serie A 2021-2024?

Questa eventualità avrebbe un impatto importante sul conto economico di Sky. Da una parte “risparmierebbe” 700 milioni di diritti spendendo molto meno per trasmettere soltanto tre partite per ogni turno in condivisione, dall’altro lato avrebbe il tema di come mettere in sicurezza i clienti “a rischio”, quelli cioè che si abbonano soprattutto per i contenuti calcistici. Molto dipenderà dalle strategie di Dazn, considerando anche che dopo aver speso 800 milioni per i diritti non mi aspetto possa attuare politiche di pricing particolarmente aggressive, e quindi rimarrà sempre il grosso punto di domanda di come espandere la domanda di calcio in TV facendo emergere il fenomeno della pirateria. Il mercato d’altra parte è in contrazione, in termini di clienti unici, rispetto ai numeri che si registravano quando sul mercato c’erano sia Sky sia Mediaset Premium, e il calcio era arrivato a un picco di cinque milioni di clienti. Oggi il dato è più basso, e il mercato si trova a fare i conti con una domanda che è in parte migrata verso la pirateria. In generale si può dire che, nel contesto di mercato italiano a questi valori dei diritti, il calcio per le pay tv non sembra essere così redditizio.

Quanto potrà pesare l’ingresso dei fondi di investimento nella Lega Serie A di cui si parla tanto in questi giorni?

La situazione è complicata, in generale, perché in questo momento tra i presidenti delle 20 società non c’è unanimità di visioni né sull’assegnazione dei diritti né sull’eventuale ingresso dei fondi. Alcuni sostengono che accettando l’offerta di Dazn non sarebbe necessario far entrare i fondi all’interno della Lega. L’offerta in campo è quella di acquisire il 10% mettendo sul tavolo cash da distribuire alle società in un momento particolarmente difficile come quello attuale, in cambio della cessione della gestione dello sviluppo commerciale del prodotto Serie A, in termini di internazionalizzazione, merchandising e sponsorship. Questo, insieme ai 500 milioni anticipati di pagamento proposti da Sky per i diritti, potrebbe essere una grande boccata di ossigeno per le società che versano in una condizione difficile a causa dell’emergenza Covid.

E quali sarebbero le controindicazioni?

Di contro però c’è il fatto che i fondi chiedono ritorni ben definiti ogni anno, in una sorta di “cessione di una quota di sovranità” che ha fatto storcere il naso a qualche presidente, pur non essendo ancor chiaro se siano previsti minimi garantiti alle squadre. Secondo me la presenza dei fondi servirebbe per dare una struttura ben definita alla media company, per spingerla verso il modello della Premier League britannica o della Liga spagnola. C’è bisogno di più managerialità e sviluppo commerciale rispetto a quanto fatto finora. Per il futuro, dal mio punto di vista, non è pensabile immaginare che dai diritti Tv nazionali arrivino un miliardo e 150 milioni, le offerte sul tavolo sono già un eccellente risultato per la Serie A, unite al risparmio ottenuto non coinvolgendo gli advisor di Infront. I margini di crescita possono ormai derivare solo dalla valorizzazione del prodotto sui mercati internazionali, e su questo ci sarebbe ancora molto da fare. Basti vedere cosa è successo alla Premier League e alla Liga, che raccolgono molto nei mercati asiatici, arabi e nel caso degli spagnoli del Sud America. Si è creato un divario enorme negli ultimi cinque o sei anni su questo tipo di valorizzazione perché la Lega ha avuto grandi difficoltà in tal senso. Infine, a rendere più difficile da sbrogliare questa matassa legata a fondi e diritti tv c’è anche il fatto che alcuni presidenti si stiano muovendo per ragioni “politiche”, considerando cioè le conseguenze che le decisioni prese oggi porrebbero avere sulle scelte future. Tra queste c’è senza dubbio il tema della cosiddetta “Super League”, il campionato che riunirebbe i più importanti club europei, ma che però rischierebbe di far perdere appeal ai singoli campionati nazionali.

A ogni tornata dell’asta ci si aspetta l’offerta di Amazon. Perché non arriva?

Il primo obiettivo di Amazon è di essere l’e-commerce dominante per le famiglie e per riuscire in questa sfida Amazon sta rafforzando il proprio portafoglio di servizi, sfruttando ovviamente la scala. Il video è sicuramente nelle corde e nella strategia di Amazon, ma in questo momento credo che sia più rilevante il rafforzamento dell’entertainment, ovvero contenuti come film e serie tv, prima di entrare massivamente nell’arena degli eventi sportivi in diretta. Detto questo, sono in corso una serie di tentativi, come succederà in Italia con la trasmissione di una partita di Champions League il mercoledì sera. Ma evidentemente l’investimento nello sport non è ancora maturo, sarebbe impegnativo anche per un colosso del calibro di Amazon, che si troverebbe a dover operare su molti mercati geografici per effetto della titolarità dei diritti, aumentando sensibilmente i costi fissi. Rimango convinto che il loro primo obiettivo in questo momento sia il potenziamento di Prime Video, dove il divario rispetto a Netflix è ancora importante, in termini di qualità e di volumi di produzione.

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