LA RIFORMA

Copyright, appello di editori e giornalisti: “Colossi del web paghino le news”

Lettera al Parlamento europeo in vista del voto sulla proposta di riforma sul diritto d’autore: “Facebook, Google e agli altri saccheggiano il settore. Bene l’articolo 11 che tutela gli investimenti nei contenuti. Nessun pericolo per i lettori”

Pubblicato il 28 Ago 2018

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Il 12 settembre a Strasburgo il Parlamento Europeo è chiamato a votare su una proposta di direttiva per riformare le regole del copyright e in particolare il diritto d’autore in rete. Gli editori europei hanno inviato una lettera appello agli eurodeputati  per tentare di correggere l’attuale situazione che permette ai giganti di internet come Facebook, Google, Amazon e Apple di “saccheggiare” le pagine web dei media indipendenti per poi rilanciare liberamente sui propri siti notizie e contenuti.

Una pratica costante, che genera importanti entrate pubblicitarie a favore dei colossi della Silicon Valley ma rischia di mettere in serie difficoltà agenzie e testate on line. Per questo gli editori si sono schierati a favore della riforma (che ha raccolto adesioni anche del mondo del cinema, della musica e più in generale dei creatori di contenuti di tutto il mondo). Fortissima, invece, l’opposizione sia da parte dei giganti del web che degli attivisti delle libertà su internet. A luglio il Parlamento europeo si è spaccato in due al momento del voto: a favore 278 eurodeputati, mentre i no sono stati 318 e 31 gli astenuti. Tra pochi giorni il testo tornerà ad essere esaminato e votato.

“La riforma è stata ferocemente osteggiata da Facebook e Google, che hanno condotto una campagna mistificatoria – denunciano le agenzie di stampa – dicendo che in caso di approvazione della direttiva si verificherebbe una minaccia all’accesso libero e gratuito a Internet per i cittadini. In effetti, questo non è mai stato messo in discussione”.

Quello che la proposta di direttiva vuole cambiare “è in realtà molto semplice”, spiegano gli editori. Al momento Google, Amazon, Facebook e Apple utilizzano, senza pagare, grandi quantità di notizie prodotte e fotografie, con costi molto elevati, da editori e agenzie di stampa e in questo modo attraggono una quota crescente di risorse pubblicitarie che in precedenza permettevano ai media di vivere. La situazione, secondo i firmatari della lettera, è tale che Facebook e Google sono diventati un duopolio: nel 2017 hanno raccolto l’80% della spesa pubblicitaria globale su internet, a esclusione della Cina”. Secondo la proposta di riforma, i giganti di Internet dovrebbero condividere una piccola frazione delle loro entrate commerciali con chi effettivamente produce le notizie e le fotografie. Per i firmatari infatti, l’articolo 11, così come proposta dalla Commissione Juri rappresenta un “grande passo avanti”, dato che riconosce “la necessità di proteggere gli investimenti nei contenuti, di rendere la gestione del diritto d’autore adatta all’ambiente digitale, di far sì che lo sfruttamento digitale dei contenuti giornalistici sia equo e di assicurare l’esistenza di una stampa in salute, democratica, plurale e libera, a beneficio dei giornalisti europei, dei cittadini e della democrazia europea”.

L’articolo 11 così come proposto nel testo, ricordano le associazioni, contrariamente a quanto erroneamente affermato da più parti, “esclude chiaramente i collegamenti ipertestuali (hyperlinks o link) e non penalizza i lettori che condividono gli articoli” sui social, “dato che si applica unicamente agli utilizzi da parte dei fornitori di servizi della società dell’informazione”. In questo contesto, la Ifj “ha concordato in luglio con le associazioni degli editori un approccio comune e una formulazione del considerando 35, per assicurare ai giornalisti un’equa fetta dei benefici derivanti dal futuro diritto di vicinato”.

Si tratta insomma di adattare la legislazione sul copyright alla realtà attuale. L’ultima direttiva europea in materia, infatti, risale a un’epoca in cui Google Facebook YouTube e gli smarthpones non erano ancora nati.

A firmare l’appello sono la European Federation of Journalists (Efj), la International Federation of Journalists (Ifj), Emma (European Magazine Media Association), Enpa (European Newspaper Publishers’ Association), Epc (European Publishers Council), Nme (News Media Europe), che rappresentano decine di migliaia di testate e di giornalisti.

Sammy Ketz, capo dell’ufficio dell’agenzia di stampa France Presse a Baghdad, lancia l’allarme sul giornalismo di guerra  che rischia di morire nell’era digitale. Primo firmatario dell’appello è il che a corredo dell’appello stesso ha scritto una sua testimonianza pubblicata oggi dal quotidiano Le Monde. “Siamo concreti. In più di 40 anni di carriera, ho visto il numero di giornalisti sul terreno diminuire in maniera costante, mentre i pericoli non smettevano di crescere. Noi siamo diventati obiettivi e i reportage costano sempre più cari. Finita l’epoca in cui andavo alla guerra in giacca o in maniche di camicia, con un taccuino in tasca, al fianco del fotografo o dei videoperatore, oggi c’è bisogno di giubbotti antiproiettili, di elmetti, di auto blindate, talvolta di guardie del corpo per evitare di essere rapiti, di assicurazioni. Chi paga queste spese? I media, e costa”, racconta Ketz, dopo aver spiegato di aver più volte rischiato di perdetre la vita nella sua copertura di eventi bellici soprattutto in Medio Oriente.

I media, continua Ketz, hanno “a lungo subito senza reagire”, concentrandosi più sulle conseguenze che sulle cause. Hanno “licenziato giornalisti”, fino ad arrivare “alla caricatura: un giornale senza giornalisti, o quasi”. Per questo motivo, è necessario che i giornalisti facciano “valere i diritti per poter continuare a informare”, chiedendo che gli incassi commerciali siano condivisi con chi produce i contenuti, che si tratti di media o artisti. In questo consiste la richiesta dei diritti connessi. Ketz è duro nel puntare il dito contro gli over-the-top, principalmente Google e Facebook, i quali si sono opposti alla riforma europea del diritto d’autore, sostenedo che va a minacciare la gratuità di internet. Ketz dice che questa è una “menzogna”. La gratuità – scrive l’inviato di guerra – “esisterà su internet quando i giganti del net, che captano attualmente i contenuti editoriali gratuitamente e raccolgono gli introiti pubblicitari, retribuiranno i media senza far pagare i consumatori”.

Secondo il giornalista non né difficile né impossibile. “Facebook ha realizzato un profitto nel 2017 di 16 miliardi id dollari (13,8 miliardi di euro) e Google di 12,7 miliardi di dollari (10,9 miliardi di euro): bisogna semplicemente che paghino la loro parte. Così i media continueranno a vivere e parteciperanno al pluralismo e alla libertà di stampa ai quali si dichiarano legati”. In quanto agli europarlamentari che hanno respinto la riforma del diritto d’autore nella precedente riforma del diritto d’autore, Ketz ritiene che siano stati “ingannati da un’attività di lobby menzognera” ma che abbiano “ormai compreso che la gratuità di internet non è in discussione”. Perché “si tratta della difesa della libertà di stampa, perché se i giornali non avranno più giornalisti, non ci sarà più quella libertà alla quale i deputati, quali siano le loro etichette politiche, sono attaccati”. “Facebook e Google non impiegano alcun giornalista e non producono alcun contenuto editoriale, ma si remunerano con la pubblicità associata ai contenuti che i giornalisti producono”, ha ricordato Ketz. E’ quindi “tempo di reagire”. L’Europarlamento deve “votare massicciamente a favore dell’applicazione dei diritti connessi alle imprese di stampa in modo da tenere in vita la democrazia e uno dei suoi simboli più rimarchevoli: il giornalismo”.

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