In Italia la fruizione di video on demand veicolati da Internet sorpassa la visione di contenuti in broadcasting. Secondo l’edizione 2014 del report “Tv and media” stilato annualmente da Ericsson, infatti, l’80% degli italiani accede a video on line più volte alla settimana, mentre la percentuale di chi dichiara di accendere la Tv con la stessa frequenza si ferma al 79%. Bisogna precisare subito che non si tratta di un dato assoluto, ma di una rilevazione effettuata su un campione di mille persone rappresentativo di utenti con accesso alla Rete di età compresa tra 15 e 69 anni.
La ricerca completa, condotta in 23 paesi con 23 mila partecipanti, ha messo in evidenza le tendenze di un mercato che, sempre dal punto di vista di Ericsson, dovrebbe valere nel 2020 circa 750 miliardi di dollari a livello globale (una crescita media del 5% l’anno rispetto al valore attuale di 530 miliardi), con un significativo rimescolamento dei player in gioco e del loro peso specifico sullo scacchiere dei vari media. Nel 2020 il 36% del mercato sarà infatti gestito dagli operatori via cavo, il 28% dai broadcaster, il 19% dalle comunicazioni satellitari, il 12% dalle telco, e il 5% dai cosiddetti new aggregator. “Questo implica che i service provider dovranno fare di più a meno, soprattutto considerato il fatto che su Internet c’è bassa propensione a spendere tanto per l’acquisto di contenuti”, ha spiegato Aurelio Severino, direttore Content & Media Solutions di Ericsson, durante la conferenza di presentazione del report che si è tenuta stamani a Milano.
“Gli operatori tradizionali continueranno a crescere, ma l’incidenza percentuale tenderà a diminuire: dei 750 miliardi di fatturato complessivo, 460 afferiranno al sottoinsieme della pay tv e 40 saranno relativi al mondo degli Ott. Le opportunità dunque ci sono per tutti, ma bisogna individuare servizi in linea con le nuove richieste del mercato. Le piattaforme saranno infatti caratterizzate dalla necessità di comprendere in maniera chirurgica le esigenze dei clienti”, ha continuato Severino. “E occorrerà procedere per tentativi ed errori, proprio come sta facendo l’universo dell’e-commerce. Gli strumenti di analytics e di content discovery saranno fondamentali per capire in che modo l’utente reagisce ai servizi offerti e rappresenteranno un fattore competitivo primario”.
Sembra però che a grandi linee le richieste del mercato siano già piuttosto chiare. La parola d’ordine? Qualità, specialmente in Italia. Giovanni Zappelli, responsabile del ConsumerLab, ha illustrato i trend che contraddistinguono le dinamiche di fruizione audio video nel nostro paese, ed è emerso che, in linea col dato globale (48%), il 43% degli utenti italiani vorrebbe che i vari episodi delle serie televisive fossero rilasciati tutti contemporaneamente e resi disponibili per lo streaming on demand, senza più la necessità di aspettare l’appuntamento del broadcaster o dover registrare le puntate. “Un desiderio che oscilla tra i fenomeni delle maratone Tv e del place shifting”, ha precisato Zappelli. “C’è chi ama guardare tutti gli episodi di una serie uno dopo l’altro. Ma capita anche che lo stesso tipo di contenuto venga fruito in diversi momenti della giornata attraverso device e contesti differenti. In Italia il 36% del campione dichiara di tenere questo comportamento su base settimanale, il 13% lo fa tutti i giorni”.
L’altro aspetto è quello del second screen. Davanti alla Tv il 44% degli intervistati utilizza applicazioni su smartphone per approfondire i contenuti televisivi, il 29% invece chatta con i social peers per commentarli. Addirittura un italiano su quattro il secondo schermo per guardare un programma diverso da quello trasmesso in Tv. Tablet e telefonini vengono usati per guardare user generated content (nel 45% dei casi) ed eventi live (25%).
Dal report infine emerge il tema della trasformazione dei modelli di business. La pubblicità, e specialmente la pubblicità non mirata, deve già fare i conti con un mercato in cui gli utenti sono sempre più disposti a pagare (+25% rispetto all’anno scorso) per avere servizi e contenuti ad alta qualità (a partire dall’HD, considerato ormai uno standard per i video in streaming, e il 4K, che per il 40% degli italiani è già un elemento importante per poter definire premium un’offerta televisiva), ma la situazione rischia di farsi ancora più complessa. “Servono flessibilità e capacità di comprimere la finestra della distribuzione dei contenuti”, ha detto Zappelli. “L’advertising, meglio se profilato, è accettato soprattutto per gli user generated content, mentre ormai è in declino sulle Tv series e sugli eventi sportivi live, dove prevale la disponibilità a pagare un fee mensile. Secondo la nostra ricerca, il 40% degli italiani vorrebbe poter dichiarare quali spot commerciali non vogliono più vedere perché considerati poco attinenti con le proprie esigenze di consumo. Dunque la pubblicità è morta? No, dipende dal valore che si attribuisce al tipo di contenuto, in base al quale cambia anche il modello di business”.