Irene Pivetti, la lobbista dell’Iptv

“Conosco il mondo delle Tlc”, sottolinea il neo-presidente dell’Associazione Iptv. “Per il decollo della nuova piattaforma Tv va cambiato il quadro regolatorio”

Pubblicato il 06 Apr 2010

Parlamentare della Lega, Presidente della Camera dei Deputati,
giornalista, presentatrice televisiva e, ultimamente,
imprenditrice. Una carriera multiforme. Eppure, il fatto che Irene
Pivetti sia diventata presidente dell’Associazione Iptv,
costituita a gennaio 2009 da Telecom Italia, Wind e Fastweb, ha
sorpreso più di qualcuno. “Che c’azzecca” la Pivetti con
l’Iptv? “Anche se non tutti lo sanno, da diversi anni curo le
relazioni istituzionali di aziende nel mondo delle
telecomunicazioni. E poi, con l’onlus che presiedo, Ltbf, learn
to be free, sto per aprire anch’io una Iptv. Ci servirà per
diffondere le nostre iniziative. L’argomento lo conosco”.

Non è, invece, che l’hanno scelta per fare
lobby?

Lo spero bene. L’Associazione ha spiegato la mia nomina con la
volontà di comunicare le potenzialità ed i servizi veicolati
attraverso l’Iptv ai più alti livelli istituzionali così come
al grande pubblico. Sarà il mio primo impegno. L’Iptv
rappresenta un’opportunità unica per mettere a disposizione dei
cittadini una piattaforma tecnologica che, oltre a consentire la
visione di servizi televisivi innovativi, permetterà loro
l’accesso facile ed interattivo a servizi di pubblica utilità
offerti dai privati ma anche dalla pubbliche amministrazione. E
questo va spiegato anche ai decisori. Questo è fare lobby.

Ha messo d’accordo soci fondatori in dura competizione
fra loro.

Avere un presidente super partes, indipendente dalle aziende
fondatrici, non espressione di nessuno dei tre gestori di rete
fissa che hanno dato vita all’associazione, non può che favorire
il ruolo e le iniziative dell’associazione sgombrando il campo
dalla possibile identificazione diretta tra gestori e
associazione.

Cosa è per lei l’Iptv?
È due cose: il futuro della tv e interazione. L’Iptv è la
risposta tecnologica all’integrazione della televisione con il
web, è lo strumento che offre la possibilità di essere
interattivi senza passare per il computer. È una grande
opportunità di democrazia perché consente di offrire i servizi
che viaggiano in Rete anche a chi il pc non lo ha e probabilmente
non lo comprerà mai o chissà quando. E poi, proprio per le enormi
potenzialità di offerta on demand, può dare una spinta anche
all’industria italiana dei contenuti.

Discorsi simili si sono sentiti anche per il digitale
terrestre.

Ma l’Iptv nasce dentro la Rete, è l’ingresso della Rete e
delle sue modalità nel televisore. Il digitale terrestre, invece,
non nasce interattivo. Bisogna farlo diventare tale: si tratta,
come si è visto, di un’operazione complessa dai risultati molto
incerti. Ed anche innaturale, se me lo consente: i servizi pensati
per la Rete sono per facilmente adattabili all’Iptv; non è così
per il Dtt. Ciò alza i costi e i tempi di implementazione dei
nuovi servizi. E poi l’Iptv è semplice, una sola piattaforma
facile da usare che integra tutto: tv lineare, on demand, Internet,
interattività.

Ma in Italia l’Iptv stenta a decollare.
È vero. Abbiamo soltanto 600.000 abbonati, a differenza di altri
Paesi dove il fenomeno è in forte crescita. Noi, invece, cresciamo
ad un ritmo contenuto.

Come lo spiega?
Con tre grandi limiti. Innanzitutto tecnologico. Non abbiamo
integrazione delle tecnologie: piattaforme diverse, decoder
diversi, strumenti che non si interfacciano facilmente. Ma il
consumatore tipo di televisione non ha la laurea in ingegneria. Né
ha voglia di leggersi tanti libretti di istruzioni. Dobbiamo
puntare ad un uso non soltanto semplice, ma anche comodo.
Altrimenti uno preferisce guardare un brutto film su un canale che
già conosce piuttosto che vedere un contenuto interessante ma
complicato da trovare. Semplificazione: è la parola d’ordine su
cui deve lavorare tutta la filiera. Come Associazione cercheremo di
aiutare una riflessione in questa direzione.

E l’altro limite?
È nei contenuti. Attualmente non sono particolarmente adatti
all’integrazione web-tv. Abbiamo i contenuti di produzione
televisiva, figli della storia iniziata con la nascita della Rai,
con una identità molto precisa fatta di format, durata, costo
all’interno di un processo produttivo “pesante”. Sul lato
opposto abbiamo i contenuti “ultraleggeri”, quelli del mondo
delle web tv: mi ricordano un po’ i contenuti delle radio libere
anni Settanta: costi bassissimi, ma anche qualità professionale
che lascia desiderare. Si fa fatica conquistare il consumatore Iptv
con prodotti troppo pesanti o troppo leggeri.

Forse c’è anche un problema di modello di
business.

Ma non è insuperabile, come dimostra l’esperienza di altri
Paesi. In Italia l’Iptv soffre di una struttura di mercato
inadeguata e discriminante. Sul consumatore gravano significativi
costi accesso: decoder, canoni Rai, abbonamenti alle pay tv. E poi
il mercato dei diritti non ci consente di offrire prodotti pay di
qualità in modo tempestivo. I contenuti sono accessibili
all’Iptv solo dopo che si sono esaurite tutte le altre finestre,
cinema, home video (DVD) e anche televisione free e pay, che spesso
prevedono delle esclusive. Inoltre, per il meccanismo spesso
penalizzante dei corrispettivi minimi garantititi, spesso il
contenuto non è neppure economicamente accessibile. Ciò rende
difficile la competizione dell’Iptv: è un quadro concorrenziale
a nostro svantaggio.

E allora?
Se vogliamo consentire il decollo dell’Iptv vanno tolte le
discriminazioni, va cambiato il quadro regolatorio, In altri Paesi
lo hanno fatto. In Francia, ad esempio, si è tagliata l’Iva. Ma
il tema vero è che altrove l’Iptv ha possibilità di accesso a
prodotti pregiati molto più che in Italia. Abbiamo fatto una
sperimentazione dando Gomorra e W. in anteprima. La risposta dei
nostri abbonati è stata ottima. Lo spazio di crescita c’è. E
guardi che il nostro ritardo pesa anche sull’industria dei
contenuti, condizionandola negativamente. Negli Usa ci sono più di
50 distributori online: hanno rivitalizzato il mercato mentre le
piattaforme over-the-top rappresentano uno dei principali motori di
innovazione tecnologica. In Europa esistono 140 servizi di Tv on
demand. In Italia per ora abbiamo solo i 3 operatori della nostra
Associazione.

Una rete broadband poco diffusa non aiuta.
Il tema esiste, certamente. Ma guardi che per l’Iptv ci vogliono
meno bit di quanto normalmente si pensa, almeno se non andiamo
nell’HD. Ma più che di broadband in generale, il vero problema
è il digital divide. Il servizio va offerto a tutti. Ma non si
può pretendere che siano le telco a pensarci da sole.

Soldi pubblici per portare la Tv?
Non per portare la tv, ma per consentire alle molte aree disagiate
del Paese di essere connesse alla Rete. E di poter usufruire di
tutti i servizi interattivi disponibili sul web. A partire da
quelli della pubblica amministrazione, come Reti Amiche lanciato da
Renato Brunetta. Come dicevo prima, l’Iptv è lo strumento che
può consentire di portare in Rete i milioni di italiani che non
usano il Pc ma che hanno confidenza con la tv come, ad esempio, le
persone più anziane. L’Iptv è uno strumento di democrazia
fondamentale per l’e-gov.

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