Modello iTunes anche per i contenuti del futuro?

New Media in cerca di business model: il convegno di RomaFiction Fest

Pubblicato il 06 Lug 2009

“Se l’industria e la politica non saranno in grado di trovare
modelli per la fruizione di contenuti multipiattaforma e se,
soprattutto, non saremo in grado di offrire in rete contenuti a
un ragionevole prezzo, rischieremo il fallimento”. Viviane
Reding non fa sconti alla platea di rappresentanti dei player
dell’audiovisivo riuniti da Fondazione Lazio al convegno sulla
“Strategie e poltiiche per l’audiovisivo del terzo
millennio”.  La commissaria Ue alla Società
dell’informazione e dei media promette che Bruxelles sarà in
grado già a settembre di presentare “una serie di proposte
concrete sulle strategie che industria e governi” potranno
adottare sulla gestione del copyright e il download illegale. Ma
quello che la commissaria chiede è impellente: di fronte
all’esplosiva mutazione nella distribuzione di contenuti serve
fare prestissimo. Senza calare leggi repressive dall’alto,
“destinate a non funzionare” perché figlie di vecchi
meccanismi, ma rimboccandosi le maniche per dare a produttori e
distributori un quadro certo che consenta al settore di risalire
la china in cui la crisi e la contrazione della pubblicità
l’hanno gettato e che, dice Martin Sorrell capo di Wpp,
“dovrà affrontare ancora nel 2010”.

La domanda che rimbalza è: quale modello di business? Cioè:
posto che Internet sta conquistando a ritmi vorticosi fasce
sempre più ampie della popolazione, come riuscire a convincere
queste masse a spendere per contenuti che riescono a trovare
gratis? Che ruolo troverà la tv, sia pure digitale terrestre,
nei nuovi scenari? La politica del “ragionevole prezzo”,
lanciata da Riccardo Tozzi presidente Anica (producer section) e
presidente della casa di produzione Cattleya, trova una conferma
nella ricerca Ipsos Mori secondo la quale due terzi di
utenti-pirati sono disposti a passare all’acquisto di contenuti
a patto che il prezzo sia “ragionevole” (-32% rispetto alle
tariffe online attuali). Riusciranno i broadcaster a concordare
un “ragionevole prezzo” e conquistare almeno quella fetta di
pubblico che è stata raggiunta dai micropagamenti di iTunes? Il
fatto è che “i new media non hanno ancora trovato un modello
di buisiness” dice Marco Bassetti consigliere di Apt e Coo di
Endemol, mentre la tv tradizionale continua a tenere banco,
probabilmente ancora fino al 2013: “Sarà una trasformazione
radicale”, ma non sappiamo ancora quali strade seguirà.
L’incognita europea sui new media, del resto, Bassetti spiega
che parte da lontano, “dalla mancata costruzione, come invece
è successo negli Usa, di un’industria a partire dal
prodotto”, ma al contrario dall’avere dato poteri forti al
broadcaster. Ora servono regole in grado di competere, ma tali
che sia consentiti meccanismi come il product placement che
favoriscano la ripresa della pubblicità.   

Per quanto la tv terrà banco? Sorrell prevede che “nei paesi
sviluppati, dall'attuale quota di mercato attorno al 30-35%
la tv scenderà al 20-25%”. E anche in Italia, dove la tv
comunque riuscirà a mantenere, in termini di introiti, quote di
mercato superiori rispetto alla media degli altri paesi, “la
tendenza è la stessa”. Quindi: fare presto per non perdere la
sfida con i Paesi orientali, più evoluti e più appetibili per
gli inserzionisti pubblicitari, anche dotandosi di regole soft in
grado di fare fiato agli investimenti. Il problema riguarda il
periodo di transizione: cosa rappresenta per l’Iptv, tv o
Internet? E come possono arrivarci i vecchi broadcaster?
“Andiamoci piano con le infatuazioni per fenomeni che rischiano
di tramontare: con Internet ancora non è chiaro da che parte
possano arrivare gli introiti” dice Fedele Confalonieri
presidente Mediaset. “Serve una rivoluzione mentale” dice il
presidente Rai Paolo Galimberti che ricorda come la tv pubblica
non stia godendo di buona salute non solo in Italia, ma in tutta
Europa (un vero peccato, dato che la tv pubblica,  dice Sorrell,
“è un brand che raccoglie la fiducia del consumatore, dunque
dell’investitore”). D’altra parte se è vero che Twitter e
Facebook rischiano di essere spazzati via dalla mancanza di
revenue, è anche vero “che per un euro investito in nuova
tecnologia sappiamo che ci sarà un euro e mezzo in termini di
sviluppo economico – dice il viceministro alle Comunicazioni
Paolo Romani -: questo significa stiamo facendo le scelte
giuste” sia sul fronte tv digitale terrestre che digital
divide.

Full Story nel numero 14 del Corriere delle Comunicazioni  in
uscita il 20 luglio

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